(VIDEO+FOTO) João Pedro Stédile: un ambasciatore per la pace e la solidarietà tra i popoli

da labussola.org

Dal Brasile in Italia è venuto a portare un messaggio di pace, cooperazione, solidarietà e giustizia sociale, economica e ambientale.

Non è un rappresentante di un qualche governo, è piuttosto un autorevole portavoce dei movimenti popolari che reclamano in ogni angolo della terra il diritto ad una convivenza sostenibile sul nostro pianeta, che non può essere evidente garantito dai modelli dominanti di sfruttamento delle risorse naturali, compresi animali ed esseri umani.

Parliamo di João Pedro Stédile, fondatore e dirigente del Movimento Sem Terra, esponente della più grande organizzazione popolare del mondo, la Via Campesina.

Invitato a partecipare all’incontro di preghiera “Il Grido della Pace” a Roma dalla comunità di Sant’Egidio, alla presenza dei principali rappresentanti delle comunità religiose di tutto il mondo, di Capi di Stato, politici ed intellettuali, dal 23 al 26 ottobre 2022, è intervenuto presso il centro congressi “La Nuvola” (sede dell’evento) denunciando cause e responsabilità della grave crisi che il mondo sta attraversando.

Comprendere la complessità delle problematiche e riconoscerne le ragioni è il primo passo verso le soluzioni. L’esortazione rivolta ai settori popolari ad organizzarsi e lottare unitariamente contro il comune nemico dell’umanità: la voracità del capitalismo ed i suoi apparati politici, economici, industriali, è la via maestra che ci ha indicato.

Non possiamo aspettarci da governi ed istituzioni colluse ed interessate ai profitti derivanti da guerre e sfruttamento delle terre le soluzioni. Sono parte del problema.

JP2022_Parata051.jpgChi paga il costo di queste politiche scellerate, il 99% della popolazione nel mondo, è chiamato ad assumersi la responsabilità storica di costruire processi di trasformazione della realtà e della nostra società che rimettano al centro gli interessi comuni di tutti e non gli immensi profitti di un gruppo ristretto di persone.

Durante la visita in Italia Stédile ha potuto conoscere alcune realtà che, in diverse forme, resistono e si oppongono alle politiche dei governi antipopolari come manifestato il 22 ottobre nell’appuntamento nazionale di Bologna promosso dal Collettivo GKN e partecipato da decine di organizzazioni che hanno dato vita ad un corteo di 50.000 persone, cogliendo l’occasione per contribuire con un intervento in piazza.

JP2022 Parata083A Roma il 23 ottobre, gli amici del MST con la comunità brasiliana, hanno ospitato presso una sede di Rifondazione Comunista (che mantiene relazioni storiche con il PT, partito dei lavoratori brasiliano, impegnato nella campagna per le presidenziali a sostegno del candidato ex Presidente Lula) un incontro tra diverse associazioni, giornalisti, intellettuali e militanti, in cui l’attivista brasiliano ha offerto una chiave di lettura della attualità politica brasiliana e mondiale e della crisi di sistema che affligge il pianeta.

In particolare, il sostegno a Lula, che il 30 ottobre al ballottaggio sfiderà l’uscente Presidente del Brasile, Bolsonaro, è visto come la speranza di ridare una prospettiva al grande paese latinoamericano che negli ultimi anni ha subito una battuta d’arresto nel processo di crescita che i precedenti governi progressisti erano riusciti a dare nei diversi settori della società: economico, sociale, culturale, ambientale… Ma che con Bolsonaro e la sua scriteriata gestione della pandemia, dell’economia e delle relazioni interne ed internazionali, e con la sua retorica reazionaria, intollerante, omofoba e razzista, ha fatto sprofondare il paese in una grave crisi materiale (gli indicatori economici, le statistiche e i numeri sono impietosi) e valoriale, colta persino dal Papa Francesco che prega affinché il ”popolo brasiliano sia liberato dall’odio, dall’intolleranza e dalla violenza” di cui evidentemente è vittima a partire dai colpi di stato che hanno spodestato i legittimi governi progressisti degli ultimi anni.

Prima di tornare in patria, João Pedro Stédile si è incontrato con giovani e studenti presso l’Università Orientale di Napoli, occasione colta anche da rappresentanti di movimenti di allevatori e contadini delle nostre regioni, intellettuali, attivisti, religiosi e associazioni, prima di andare a visitare l’esperienza dell’Ex OPG (L’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli), convertito in centro di promozione sociale, culturale e politica, che restituisce un uso sociale, originale e creativo, ad un luogo di oppressione e sofferenza.
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Giovani, studenti, e collettivi, insieme ad una delegazione di Potere al Popolo, hanno accolto la visita del dirigente politico brasiliano, riaffermando il carattere unitario ed internazionalista delle battaglie per l’emancipazione dei popoli da guerre e sfruttamento.

 

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Con João Pedro Stédile del MST brasiliano presso la Università L’Orientale di Napoli.

Qui i video dell’incontro dai canali social di Medicina Democratica di Napoli:

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Contro il golpismo non si può rimandare il confronto

di Pedro Carrano

5sett2021, da Brasil de fato

Il 7 settembre scorso, in occasione delle celebrazioni dell’Indipendenza del Brasile, il Presidente Jair Bolsonaro ha convocato i suoi sostenitori sul piazzale del Planalto, a Brasilia, minacciando di attuare un colpo di stato contro il Tribunale Supremo, che lo sta investigando per gravi omissioni nella gestione della pandemia da sars-covid-19, le quali sono già costate alla popolazione brasiliana circa 580.000 decessi. Bolsonaro istiga i suoi sostenitori, molti dei quali “comprati” con miserevoli elemosine di stato o anche, direttamente, con bonus-presenza di 100 reais (circa 30 euro), ad armarsi e a resistere al grande complotto pluto-massonico-maoista, alimentato anche dal giornalismo “catastrofista” e da governatori locali poco inclini alle sue tirate no-vax e negazioniste. Vedendosi in caduta libera e sempre più impopolare e prevedendo un’inevitabile disfatta elettorale nel 2022 ad opera di Ignacio Lula da Silva, tenta la disperata carta della contro-offensiva, volta a una mobilitazione reazionaria delle masse disperate, come unica via di uscita dall’impasse attuale.

In contemporanea, nelle principali città brasiliane, le masse popolari sfilavano per le strade rispondendo alle parole d’ordine dell’empeachement e della condanna del Presidente per genocidio e corruzione. Nuove massicce manifestazioni sono annunciate per domenica prossima: la sfida oggi è costruire una solida piattaforma di resistenza (secondo la strategia della linea di massa) tra l’ala moderata, “social-democratica” e quella dei vari partiti e movimenti rivoluzionari presenti a sinistra, traendo preziosi insegnamenti dal precedente storico della resistenza armata (e non) alla dittatura militare del ’64-’82. 

Una delle lezioni in Brasile e in America Latina è che i colpi di stato non si combattono dopo che si sono consolidati.

È un grave errore considerare che le battaglie decisive della politica brasiliana si svolgeranno solo nelle elezioni del 2022, come se fosse possibile congelare l’attuale lotta di classe e i progressi che il governo Bolsonaro ha realizzato verso un golpe.

La maggior parte degli analisti sottolinea che il 7 settembre non è il “D-Day”, ma probabilmente rappresenta una radicalizzazione, nel discorso e nella pratica, del Bolsonarismo e della sua base neofascista. Tuttavia, i combattimenti e la resistenza dovrebbero svolgersi in questo giorno e continuare per tutto il 2021.

In questo senso, è corretto il mantenimento degli “Atti e del Grido degli Esclusi”, attività che ha la capacità di riunire settori delle comunità di base progressiste della Chiesa, sollevando le principali rivendicazioni e agende popolari.

Una delle principali lezioni della sinistra in Brasile e in America Latina è che i colpi di stato non si combattono solo dopo che si sono consolidati.

In effetti, questo consolidamento limita notevolmente la capacità di resistenza.

Il libro “Lotta nelle tenebre”, dello storico marxista Jacob Gorender, pur operando valutazioni esagerate dei leader del PCB, sia relativamente alla figura di Luís Carlos Prestes che a quella di Carlos Marighella, contiene comunque una nota essenziale: l’impianto principale di resistenza contro il colpo di stato economico e militare del 1964 avrebbe dovuto essere organizzato prima del colpo di stato.

Per quanto concerne le organizzazioni politico-militari, a cui Gorender partecipò come leader del PCBR, una frangia dissidente del PCB, lo storico ritiene che il risultato della resistenza armata dopo il 1968 sia stato un atto di eroismo. Questo perché la chiusura del regime rendeva già difficili le condizioni della resistenza e allontanava ulteriormente l’avanguardia dal livello di disposizione delle masse alla lotta. Il punto, allora, è che la sinistra avrebbe dovuto puntare su di un paziente lavoro di massa.

Analizzando un po’ la situazione attuale nella nostra America Latina, il recente esempio del colpo di stato in Bolivia contiene due lezioni essenziali per riflettere sulla nostra posizione di fronte alle minacce di Bolsonaro in Brasile:

  1. Il colpo di stato contro il governo di Evo Morales/Garcia Linera è stato guidato dal governo degli Stati Uniti, da settori religiosi reazionari, dalla polizia locale, da governi neoliberisti come quello di Macri in Argentina, da mercenari trasferiti dal precedente tentativo di destabilizzazione in Venezuela, un insieme di fattori che ha portato JeanineAñez al governo nel novembre 2019. Quest’azione, a breve termine, ha incontrato un’immediata e massiccia resistenza da parte del movimento popolare boliviano (che ha componenti particolari rispetto al movimento popolare di altri paesi), il che ha permesso una rapida erosione del governo golpista.
  2. I golpisti non avevano la maggioranza nella società, tanto che Evo Morales sarebbe ritornato vincitore nelle elezioni. Tuttavia, avevano un nucleo capace di eseguire il golpe, reprimere settori popolari e garantire momentaneamente il governo di transizione golpista.

La lezione per l’esperienza brasiliana è che, anche se Bolsonaro non ha di fatto una maggioranza nella società brasiliana, ha un nucleo dinamico, un livello di sostegno, che si è mantenuto dal 2020 ad oggi, intorno al 25 per cento, e che coinvolge proprio i settori evangelici, la polizia militare, oltre a fazioni criminali capaci di garantire il terrore di un golpe. Bolsonaro è stremato, ma comunque pericoloso.

Va mantenuta la sequenza di azioni della campagna di Fora Bolsonaro, nonostante gli atti abbiano raggiunto un limite per quanto riguarda la convocazione dei lavoratori, che si trovano in una fase difensiva, stretti trala disoccupazione, la precarietà e l’erosione del potere d’acquisto dei salari.

Dal 2020, con l’inizio della pandemia, è un dato di fatto che la sinistra brasiliana non ha approfittato delle linee guida concrete emerse dalla lotta dei lavoratori per espandere l’influenza e indirizzare il Fora Bolsonaro. La mancanza di sostegno ai dipendenti pubblici in sciopero, agli impiegati delle poste e contro i licenziamenti nei vari settori sono sintomi tangibili di questo ritardo.

La prospettiva di uno sciopero generale non è a breve termine, ma anche la sua mancanza di costruzione rende tutto più difficile.

La politica di solidarietà, invece, va ampliata e pensata con la creazione di cooperative di lavoro, che rafforzino la fiducia tra avanguardia, lavoratori e residenti delle aree occupate. Una tale politica permetterebbe di ampliare la comprensione dell’agenda di Fora Bolsonaro e la partecipazione delle comunità periferiche alle manifestazioni.

Bolsonaro è riuscito a superare il 2020, mantenendo una posizione dentro segmenti delle istituzioni combattivi, molti dei quali logori agli occhi della popolazione – come nel caso della Magistratura, del Congresso e di alcuni governatori della cosiddetta destra tradizionale. Il governo ha mantenuto un livello di sostegno del 30%, raggiungendo il 40% in agosto, grazie agli aiuti di emergenza. È un dato di fatto che, nel 2021, si è logorato e ha perso sostegno a causa della corruzione, del numero di morti per negligenza nella pandemia e del peggioramento delle condizioni di vita.

A ogni modo, il suo metodo per mantenere il potere fino al 2022 sarà questo, avanzare e ritirarsi. L’essenziale è che la sinistra non cada affatto nell’incantesimo della sirena sulla “stabilità delle istituzioni” in un contesto brasiliano e mondiale come quello attuale.

L’organizzazione e la resistenza popolare devono essere la regola per il mantenimento della democrazia e dei diritti sociali. Ciò che è essenziale in questo momento è la denuncia del golpe e l’appello all’organizzazione popolare deve essere un mantra permanente, soprattutto nei principali canali e tra i principali leader della sinistra. Relativizzare questo momento storico è molto pericoloso.

[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

La Libertadora del Libertador

di Romina Capone

L’analisi della corrispondenza epistolare amorosa tra Simón Bolívar e Manuela Sáenz. 

Capitolo 1: Manuela Sáenz e l’immaginario Bolivariano

È affascinante leggere la corrispondenza amorosa tra Manuela Sáenz e Simón Bolívar ma è ancora più travolgente comprendere attraverso lo studio di Silvia López, dottoressa in Letteratura Comparata all’Università del Minnesota e docente di Letteratura Latino americana presso il Carleton College, il ruolo dell’amore e allo stesso tempo della donna nella prima metà del 1800 in America Latina.

Tutto comincia nel 2007 quando il Ministero del Potere Popolare della Repubblica Bolivariana del Venezuela pubblica una parte delle lettere d’amore tra Manuela Sáenz e Simón Bolívar. All’interno del prologo di questa particolare edizione viene descritto Simón Bolívar come l’audace, il poeta, el Libertador dall’anima innamorata il quale si è lasciato riempire dall’unico sentimento che ci libera e ci salva: l’amore.

A lui le corrisponde la descrizione di Manuela Sáenz la coraggiosa, la dama, la regina […] colei dalle sublime parole che accarezzano la tempesta, la libertadora del Libertdor, l’unica che può permettersi di attraversare il cuore di sua eccellenza.

Questo epistolario si pone al centro di un nuovo immaginario collettivo in piena rivoluzione d’Indipendenza. Infatti nel breve incipit si invitano i lettori a ricordare che l’amore vince sempre: sia prima della vita, sia dopo la morte.

Per la prima volta si fondono gli affetti a un nuovo modo di fare politica.

Analizzando il materiale pervenuto si può notare che la struttura di questa corrispondenza è tipica delle lettere d’amore le quali racchiudono retorica ed estetica, caratteristiche tipiche del discorso epistolare amoroso. Un insieme di convenzioni ma allo stesso tempo di invenzioni.

La scrittura ha un carattere strettamente intimo; i due amanti si avvalgono di un linguaggio fortemente codificato; nel corpo del testo si risconta il ripetersi di parole appartenenti ad un contesto di idee e situazioni proprie dell’immaginario collettivo. Questa corrispondenza non fa eccezione. Il ricorso ai luoghi comuni è una continua, perpetua e rinnovata prova d’amore.

Scrive Bolívar a Sáenz il 29 ottobre 1823: “…Mi deseo es que usted no deje a este hombre su hombre por tan pequeña e insignificante cosa. Líbreme Ud. misma de mi pecado, conviniendo conmigo en que hay que superarlo… ¿Vendrá pronto? Me muero sin Ud. Su idolatrado, SB”

[Trad: Il mio desiderio è che non lasciate quest’uomo, il tuo uomo, per una cosa così piccola e insignificante. Liberatemi voi stessa dal mio peccato, concordando con me che deve essere superato… Verrai presto?

Sto morendo senza di te, il tuo idolo, SB.]

Il 16 giugno 1825: “…Todo esto es una obsesión, la más intensa de mis emociones. ¿Qué he de hacer? Tu ensoñación me envuelve el deseo febril de mis noches de delirio. Soy tuyo del alma, SB.”

[trad: Tutto questo è un’ossessione, la più intensa delle mie emozioni. Cosa dovrei fare? Il tuo sogno mi circonda con il desiderio febbrile delle mie notti di delirio. Sono tuo dall’anima, SB.]

Il 9 ottobre 1825: “Mi pasión hacia tí se aviva con la brisa que me trae tu aroma y tu recuerdo. Existes y existo para el amor, ¿o no? Ven para deleitarme con tus secretos. ¿Vienes? Tu amor idolatrado de siempre, SB”

[trad: La mia passione per te è ravvivata dalla brezza che mi porta il tuo profumo e il tuo ricordo. Tu esisti ed io esisto per amore, vero? Vieni a deliziarmi con i tuoi segreti, vieni anche tu? Il tuo amore idolatrato di tutti i tempi, SB.]

Scrive così invece Manuela in un’appassionante conclusione di una lettera dell’8 febbraio 1826 per Bolívar:

“Me reanima el saberlo dentro de mi corazón. Lejos de mi Libertador no tengo descanso, ni sosiego; solo espanto de verme tan sola sin mi amor de mi vida. Usted merece todo; yo se lo doy con mi corazón que palpita al pronunciar su nombre. Quien lo ama locamente, MS”

[Trad: Mi incoraggia saperlo nel mio cuore. Lontano dal mio Libertador non ho riposo, non ho pace; ho solo paura di vedermi così sola senza il mio amore per la mia vita. Tu meriti tutto; te lo do con il cuore che batte al pronunciare il tuo nome. Chi lo ama alla follia, MS].

Frasi, richieste, gesti comuni a tutti gli amanti. L’Amore è, all’interno di questi brevi periodi, puramente figurativo che continuamente non smette di avvolgere l’oggetto dei suoi desideri. Nel caso dei nostri due amanti possiamo azzardare a dire che il gesto del redigere le lettere si sostituisce all’atto amoroso in una visione romantica dove la pelle raffigura la carta e dove il desiderio sboccia dal contatto della piuma con essa. È un gesto di supplica che richiede soprattutto reciprocità. “Conteste Ud. aunque sea una sola línea” [Rispondete anche con una sola riga] chiede Sáenz ad alla cui preghiera Bolívar risponde: “contésteme, al menos ésta, que lleva la fiebre de mis palabras” [rispondetemi, almeno questo, che porta la febbre delle mie parole].

La rappresentazione scenica di questi due amanti in queste lettere obbedisce alle regole della scrittura epistolare amorosa e mostra una struttura stilistica che non va oltre un paragrafo, all’interno del quale compare come unico punto centrale il desiderio, l’evocazione o la promessa di rincontrarsi nel prossimo destino.

Ma l’interesse verso queste lettere non affonda le radici unicamente nel discorso amoroso.

È importante capire che la centralità della verità in queste dichiarazioni; una comunicazione legata alle dichiarazioni di Sáenz vista come soggetto politico-militare. Ruolo vietato alle donne dell’epoca. In questo caso l’amore nei confronti di Bolívar e per la causa libertaria coesistevano in una relazione reciproca.

La figura di Manuela si va a definire man mano iniziando dalle costanti dichiarazioni d’amore fino allo svelarsi una donna patriota che cerca il suo posto all’interno della lotta d’Indipendenza. Il desiderio di stare accanto al suo amato è lo stesso desiderio di provargli la sua lealtà per la causa.

Vedremo nel corso della lettura come l’amore in questa corrispondenza è inteso come amore per la patria, per la libertà, per la rivoluzione. Simón Bolívar la amerà anche e soprattutto come patriota; tutti gli interventi di Manuela all’interno delle campagne politiche-militari lo hanno condotto alla vittoria. La sua lealtà, la sua amicizia e la sua complicità gli sono indispensabili sul terreno politico. Sáenz riesce a mantenere la sua posizione nel campo dell’intelligence e avverte più volte Bolívar sulle cospirazioni nemiche:

Tengo a la mano todas las pistas que me han guiado a serias conclusiones de la bajeza en que ha ocurrido Santander, y los otros en prepárarle a Ud. un atentado. Horror de los horrores, Ud. no me escucha; piensa que solo soy mujer” (7 de agosto de 1828).

[Trad. Ho a portata di mano tutti gli indizi che mi hanno portato a conclusioni serie sul degrado che Santander ha raggiunto con gli altri nel preparare un attacco contro di te. Orrore degli orrori, non mi ascolti, pensi che io sono solo una donna”.] Con l’intensificarsi dello scambio di lettere Sáenz cerca di convincerlo che il desiderio dei loro corpi si accompagna al desiderio di affrontare insieme le sfide della campagna militare. La retorica dell’amore, della lealtà e dell’amicizia politica esige di essere confermata in lettere e azioni che lo salvino dai tradimenti dei suoi rivali. Il più mitico di questi interventi è stato quando lei gli ha salvato la vita aiutandolo a fuggire da una finestra da qui l’appellativo che la ritrae come la libertadora del libertador. Amare Bolívar è amare una causa ed esserne protagonisti, sempre sotto il segno dell’estasi amorosa. Bolívar, riconoscendo la sua lealtà e la sua capacità militare, alla fine la nomina a Capitano di Húzares, mettendola a capo delle truppe, e alla fine le chiede di diventare segretaria della sua corrispondenza nonché dei suoi documenti personali, accompagnandolo nella sua campagna.

[…] visto su coraje y valentía de usted; de su valiosa humanidad en ayudar a planificar desde su columna las acciones que culminaron en el glorioso éxito de este memorable día, me apresuro, siendo las 16:00 horas en punto en otorgarle el grado de Capitán de Húzares; encomendándole a usted las actividades económicas y estratégicas de su regimiento […]

[Trad: vedendo il suo coraggio e la sua valorosità, la sua preziosa umanità nell’aiutare a pianificare dalla sua colonna le azioni che sono culminate nel glorioso successo di questa giornata memorabile, mi affretto, essendo le 16:00 in punto per conferirvi il grado di Capitano degli Húzares; affidandovi le attività economiche e strategiche del suo reggimento.]

L’ostacolo principale di questa unione sul campo di battaglia era la condizione di Manuela Sáenz come donna sposata. Il matrimonio ha dato alle donne il loro posto nell’ordine patriarcale, ponendole sotto la tutela dei loro mariti e trattandole come minorenni secondo la legge spagnola. Non potevano, quindi, partecipare pienamente alla società o essere incluse nella vita civile o pubblica delle colonie. Ma a differenza delle donne in Francia e in Europa, in questi primi decenni del XIX secolo, le donne delle province ispano-americane godevano di una certa libertà nel poter mantenere la propria identità legale, essendo riconosciute come separate e distinte dai loro mariti, senza l’obbligo di rimanere in casa o di dedicarsi esclusivamente alla sfera domestica. Anche se erano sotto la tutela legale dei loro mariti, avevano il permesso di redigere il proprio testamento, di testimoniare in tribunale e di accettare l’eredità senza il consenso del coniuge. E, sebbene Bolívar temesse lo scandalo che Sáenz lasciasse il marito, lei sembrava molto sicura di quello che stava facendo. Come moglie di un ricco straniero, Sáenz aveva goduto di poteri legali per gestire gli affari e le proprietà del marito quando era in viaggio. Era stata una donna d’affari, che prendeva decisioni finanziarie e gestiva il personale. L’insolita libertà di movimento di Sáenz, come quella di altre donne ricche di Lima, ha sorpreso gli uomini europei. Robert Proctor osserva nel suo viaggio del 1823/24 a Lima che non era insolito osservare donne rispettabili parlare in pubblico e socializzare in piazza, disdegnando le faccende domestiche, e in generale regolando il loro comportamento, arrivando persino a nominarle come i principali attori della città. Se leggiamo tutte le lettere tra Sáenz e Bolívar, Manuela non solo afferma di voler stare al fianco del suo amante ma di essere lì per unirsi alla campagna militare; ritrae sé stessa come un’amante che è soprattutto un’amica fedele, una donna fedele e quindi essenziale come suo consigliere politico. Mostra così una chiara consapevolezza del suo ruolo storico nelle società in cui la partecipazione aperta delle donne alla sfera politica era limitata, ma dove le donne godevano anche di un’insolita libertà di movimento.

Capitolo 2: La corrispondenza come mezzo di soggettivazione

In questa peculiare selezione possiamo ricostruire come attraverso la loro corrispondenza amorosa si inverte e si riconfigura la lettura del privato e del pubblico. Il discorso epistolare è un discorso ambiguo porta in scena i suoi affetti privati con la proiezione pubblica: l’amore dalla sua fedeltà alla causa politica.

Una volta affermatasi nel suo ruolo pubblico e privato a fianco del Libertador, Sáenz rivendica un ruolo politico dopo la morte prematura di Bolívar. Lei visse un altro quarto di secolo dopo la morte di Bolívar esiliata nel porto di Paita in Perù, dove morì in povertà. Vista come una minaccia politica in Colombia, in Ecuador e accusata di essere una Madame de Staël, si rifugiò in un luogo sperduto al confine tra Perù ed Ecuador dove prestò servizio come spia del generale Juan José Flores. E, sebbene molti storici considerino quel lungo periodo della sua vita come un epilogo, la corrispondenza di questi decenni con Juan José Flores, presidente dell’Ecuador, così come con altri personaggi politici e letterari che l’hanno visitata anche in quella remota località (Herman Melville, Giuseppe Garibaldi, e persino Ricardo Palma) rivela il suo impegno attivo nella politica ecuadoriana, anche se l’esilio ne ha limitato la portata. La sua attività politica e intellettuale è documentata anche nel suo Diario di Paita. Come soggetto epistolare continua a costruirsi soprattutto come amica fedele e al servizio del Paese, distinguendosi dagli uomini di potere cospiratori e ambiziosi che difendevano le loro riserve di potere lontano dalla passione liberatrice di Bolívar e dai generali che erano seguaci fedeli come il presidente ecuadoriano Juan José Flores.

L’importanza delle lettere come mezzo di espressione politica e il loro significato per i posteri è qualcosa che Sáenz ha sperimentato in prima persona essendo stata responsabile della corrispondenza di Bolívar e di cui ha curato l’archivio fino alla sua morte.

La sua corrispondenza con Flores affronta questioni di politica, strategia e intelligence sui movimenti delle truppe peruviane, chiedendo spesso che le sue lettere fossero distrutte dopo essere state lette per paura di essere identificato come informatore. Come nelle sue lettere a Bolívar, si affretta ad avvertire Flores di chi lo tradisce e si rammarica che non reagisca in tempo a possibili cospirazioni.

Alla morte di Bolívar si è già consolidata come fedele amica del progetto bolivariano in ambito sociale, raggiungendo la credibilità politica acquisita per la prima volta nell’ambito di una passione amorosa. In una lettera a Flores, chiarisce la sua lealtà al di là delle condizioni partigiane: “Non ho un partito, sono solo un’amica degli amici del Liberatore, e siccome tu sei uno di loro, sono tuo amica”.

Non esita a spiegare a Flores che il suo interesse per la politica di un Paese è legato solo al rapporto che la politica ha con lei e con i suoi amici, poiché una donna “non può prendere le armi, né comprare armi, tanto meno avere influenza”, ma può “avere amici, uomini e donne”.

L’amicizia e la fedeltà alla causa bolivariana, una riserva propria degli uomini che potevano sacrificare interessi privati per il bene pubblico, divenne lo spazio soggettivo da cui si costituì Sáenz.

Alla fine della sua vita, le lettere dell’esilio sono la prova della sua continua costituzione come soggetto politico attraverso la scrittura epistolare. Un ruolo che mai l’allontana dalla legittimità della passione, perché come afferma nella lettera a Giuseppe Garibaldi del 25 luglio 1840, a Bolívar:

lo amé en vida con locura; ahora que está muerto lo respeto y lo venero”

Trad: [lo amai in vita follemente e ora che è morto io lo venero]

Questa affermazione, forse la più citata di Sáenz, è il segno che anche dopo la morte la storia d’amore con Bolívar è ciò che legittima il suo posto. Un luogo insolito per una donna che fino alla fine dei suoi giorni rinuncia ad avere una casa, alla riproduzione della specie ed alla tutela di qualsiasi uomo che non sia stato suo compagno di cause e di passioni. Alla fine della sua vita, nel suo Diario di Paita, le sue riflessioni indicano un’altra coscienza di sé.

Ci dice: “All’inizio, oh amore desiderato, … ho dovuto recitare il ruolo di una donna, di una segretaria, di uno scriba, di un soldato Húzar, di una spia, di un inquisitore e anche di un intransigente. Ho meditato sui piani. Sì, mi sono consultata con lui, quasi imponendomi; ma si è lasciato portare via dalla mia follia di amante, e lì è rimasto tutto.”

Ma una volta consolidato il suo posto nella lotta militare non esita ad assicurarlo:

Yo le dí a ese ejército lo que necesitó: ¡valor a toda prueba! Y Simón igual. El hacía más por superarme. Yo no parecía una mujer. Era una loca por la Libertad, que era su doctrina […] Difícil me sería significar el porqué me jugué la vida unas diez veces. ¿Por la patria libre? ¿Por Simón? ¿Por la gloria? ¿Por mi misma?

[Trad: Ho dato a quell’esercito ciò di cui aveva bisogno: coraggio infallibile! E Simón lo stesso. Stava facendo di più per superarmi. Non sembravo una donna. Ero una fanatica della libertà, che era la sua dottrina …

Sarebbe difficile per me dire perché ho messo a rischio la mia vita dieci volte.

Per il paese libero? Per Simón? Per la gloria? Per me stessa?]

Nel suo diario esplicita che, sebbene “fummo amanti dagli spiriti superiori”, lo fummo perché “vivemmo nella stessa posizione di gloria davanti al mondo, perché vivemmo nello stesso sacrificio e nello stesso modo di vedere le cose e nella stessa diffidenza verso tutti”.

Il suo amore-passione non era solo un comportamento o un linguaggio leggibile e legittimo, anche per Bolívar stesso, ma la codificazione di una passione personale che superava quella di donna innamorata. La raccolta di lettere pubblicata dal Governo Bolivariano del Venezuela in omaggio al Libertador e alla sua Libertadora si intitola “Le più belle lettere d’amore tra Simón e Manuela“. Quello che abbiamo davvero tra le mani è un raro e prestigioso mezzo di comunicazione; ci invita a pensare al discorso epistolare amoroso come a un importante dispositivo di soggettivazione politica, uno strumento che combina le vuote enunciazioni proprie del discorso amoroso ai contesti enunciativi propri del riconoscimento pubblico delle virtù private.

Videoconferencia: Cava de’ Tirreni-Santiago de Cuba

por Emilio Lambiase 

6abr2020.- En primer lugar, quiero actualizar los datos del coronavirus a Italia: alrededor de 120 mil infectados; unos 20 mil recuperados y unos 15 mil muertes.

Entre estos, hay que me hace pensar: 80 médicos muertos y 10 mil trabajadores de la salud infectados. ¡Ningún político!

En comparación, en China murieron 14 médicos.

La respuesta a todo esto es que los últimos 20 años, Italia, con cualquier gobierno, ha desmantelado la salud pública dándola a privados.

Seguí la llegada de los médicos cubanos a través del canal del Caribe.

Por un momento queria ser médico por el alto valor humano que asumió para toda la Humanidad.

Percibí al ejército de médicos cubano como un ejército de Liberación y, al aplaudirlo, mi emoción llegó al llanto.

Orgulloso de los médicos cubanos.

Quien me ezplica como hace una isla embargada, boloqueada por 60 años para tener una de las mejores medicinas del mundo, uno de los mejores sistema de salud y exportar médicos que andan por el mundo salvandos vidas?

Cuba formó 14 brigadas internacionalistas en siete dias: un heco che tiene en la historia humana solo un precedentes, ¡quien descansó el septimo dia!

El Che dijo: Creemos que la cultura y la atención médica son servicios en los que nunca gastaremos lo suficiente, y cuanto más dinero podamos asignarles, mejor será para todos. Y continuaremos invirtiendo todo lo posible en esta dirección.

Hoy, se ha creado un frente de solidaridad mundial en salud a través de Cuba, China y Rusia, por un lado, y los Estados Unidos de Trump, que confisca barcos y alimentos destinados a países como Cuba y Venezuela, por el otro.

En mi opinión, en este momento Cuba va más allá de las fronteras geográficas de una Isla y se ha convertido en un Continente de Solidaridad y de Paz, al servicio de la Humanidad.

Italia también se detuvo con las industrias, a excepción de las prioritarias que sirven para apoyar la supervivencia de la población.

Sin embargo, me pregunto, ¿por qué se han dejado abiertas las industrias de armas?

Una palabra sobre el último movimiento de Trump contra la humanidad al enviar la flota para bloquear el Caribe.

Declaro que ni Trump, Merkel y Boris no pusieron en cuarentena de inmediato a la población para no bloquear las ganancias de las empresas.

Una verdadera contradicción del capitalismo que permitió que el virus saltara de las personas a la economía.

En medio de una pandemia con la mitad de la población mundial en cuarentena, Trump, después de recibir ayuda de Rusia, bloquea los aviones a Cuba y hoy libró una guerra inventada al narcotráfico contra Venezuela, con el objetivo de apoderarse de los recursos energéticos.

Digamos que ningún virus es revolucionario y ningún virus ha derribado el capitalismo.

Las clases oprimidas deben organizarse contra la burguesía imperial.

Hoy China bloqueó la pandemia y Estados Unidos no.

Quien soy yo:

Nací pobre y en mi hogar fue la vanguardia del hambre.

Mi familia con 22 hermanos, soy el único que estudió.

Mi padre me dejó la única riqueza en su poder: la pobreza.

Todo esto me forjó como Comunista.

Sobreviví toda mi vida profesional como comunista sin doblegarme al engaño liberal.

Afortunadamente para mí, un dia, conocí a Armando Hart Dávalos y me convertí en Martiano.

Luego, con la contribución de todos los cubanos que he conocido, nadie excluido, y aquí es difícil hacer una lista, incluidos los niños, me convertí en Fidelista.

Hoy debo agradecer especialmente a Vicente González Díaz quien ha fortalecido mi amor por Cuba y con su ejemplo me hizo Santiaguero.

Cuba esta escribiendo una de las paginas mas hermosas de la Revolución cubana para el bien de la Humanidad.

¡Hasta la Victoria Siempre!

Monteroni D’Arbia (SI) 2feb2020: Un nuovo Plan Condor?

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Napoli 19dic2019: Cosa sta accadendo in sud America?

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Fanno sempre più notizia gli ampi sommovimenti popolari che stanno scuotendo l’America latina negli ultimi mesi, tanti sono i fronti di questo sommovimento: le ampie mobilitazioni in Ecuador e in Cile, la rielezione di Evo Morales in Bolivia e i recenti sviluppi della resistenza antimperialista venezuelana, un paese che sempre più si pone alla testa dei popoli non allineati a Washington in sud America.

Ma cosa sta accadendo davvero in sud America? Qual è il contributo che noi possiamo dare a quei popoli per sostenerli nella lotta che stanno conducendo?

Ne parliamo con Antonio Sparano e il Partito dei CARC – Campania il 19 dicembre in Galleria Principe di Napoli a partire dalle ore 18:00.A seguire aperitivo di autofinanziamento.

Geopolítica de la liberación

Risultati immagini per marcha chavistapor Julio Escalona 

10dic19.- En nuestros lares, nace con Francisco de Miranda, sigue con Bolívar y la consolidó el presidente Chávez con firme aporte de Fidel Castro. Surgen el Alba, Unasur, Petrocaribe y la Celac, base para procesos de integración con África, Asia, China, Rusia, Irán, India, Turquía, Cuba, países árabes… La guerra contemporánea es mundial, perpetua, con formas y contenidos que se alimentan de las ciencias y tecnologías contemporáneas y condiciona la geopolítica de hoy. Su campo de batalla no tiene límites: tanto en extensión (hasta el último rincón del espacio exterior, hasta la luna y otros planetas…), como en profundidad pues desde el cerebro humano hasta la última célula planetaria pueden ser convertidos en instrumentos de guerra.

En tiempos de Clausewitz la guerra era continuación de la política por otros medios. Hoy la política es continuación de la guerra por otros medios. La decisión de ir a la guerra está tomada, la política la hace posible. Hay una interrelación permanente entre guerra y política, conectadas por la diplomacia para la guerra, que desarrolla Trump y la diplomacia para la paz, de Chávez y continuada por Maduro.

El principio: si quieres la paz prepárate para la guerra, lo he cuestionado. La guerra es diaria, perpetua para derrotar la solidaridad y los imaginarios solidarios y convertirlos en predominio de lo individual.

Destruir los beneficios materiales y espirituales de la vida cotidiana y llevarnos a estado de schok pues según Friedman en ese estado lo políticamente imposible se hace políticamente inevitable. Una población privada de servicios básicos, inflación desenfrenada… Más guerra mediática y psicológica, puede irse refugiando en el egoísmo y el rechazo al otro.

El presidente Bush, organizó un golpe de Estado mundial, mediante el derrumbe de las torres gemelas de Nueva York, y creó un nuevo enemigo, el terrorismo. Colocando en schok a la gente para aprobar como un “homenaje” a Milton Friedman, a quien considero un criminal de guerra: la “legalización” de la tortura, cárceles clandestinas, “desaparición” de presos políticos, detención de cualquier “sospechoso” sin presentarlo ante un juez… Se va anulando la Declaración Universal de Derechos Humanos, la Carta de las Naciones Unidas y todo el orden jurídico y espiritual que se vino construyendo desde la derrota del fascismo en la II Guerra Mundial.

El unilateralismo de Trump es una máscara para ocultar un multilateralismo centrado en la OTAN, que por supuesto, el Pentágono puede controlar para subordinar y dejar fuera la ONU para cualquier tema relevante e imponer las estrategias de un entramado de poder mundial fundado en la fuerza militar, la dominación del poder financiero de los grandes bancos hacia donde confluye el capital del narcotráfico, que parece ser el denominador común de todos los poderes. Este súper poder es el ejecutor de la estrategia imperial del caos global, en Hong Kong, en medio oriente, en Caracas… que podría conducirnos a guerras locales que eventualmente podrían generalizarse caotizando al planeta por los cuatro costados. ¿Es posible un curso de esta naturaleza? ¿Hacia dónde nos conduciría? La humanidad debe derrotar esta estrategia e ir estableciendo un mundo de paz.

Casalbruciato (Roma) 28nov2019: Che accade in America latina?

L'immagine può contenere: testodi Giuliano Granato

Le rivolte a Haiti, in Ecuador, Cile, il golpe in Bolivia, la lotta che continua da anni in Honduras, la novità delle minacce alla piccola Dominica. E la liberazione di Lula in Brasile. Le elezioni in Argentina e Uruguay. E il conflitto tra esecutivo e legislativo in Perù.

L’America Latina è un territorio in disputa. Mettere i fatti l’uno dietro l’altro può aiutare a fare una cronologia degli eventi, ma non permette la comprensione dei fatti né consente l’analisi degli scenari. La storia e la politica non sono aritmetica. Non basta sommare per avere la chiave di volta che ci permette di capire.

Eppure comprendere è così importante, non solo per studiosi e accademici, non tanto per avere consapevolezza, ma perché quanto sta avvenendo sull’altra sponda dell’Atlantico tocca anche noi.
L’esito degli scontri e dei conflitti in corso, dei quali occorre riuscire a riconoscere il movimento comune, ma anche le enormi differenze, per evitare equiparazioni che distorcono e offuscano anziché schiarire, darà impronta anche allo scontro qui, ne risentiremo le conseguenze, in termini di confezione dello Stato, del ruolo dei movimenti sociali, della possibilità di redistribuire la ricchezza, di rapporto pubblico/privato, del futuro dell’austerity, del ruolo della comunicazione e dei sicial.

La disputa ha mille terreni di scontro. Anche quello internazionale. Ne siamo chiamati in causa. Guardare oggi all’America Latina significa guardare a un pezzo del nostro futuro. E lo possiamo disegnare anche noi. Perché la distanza geografica non ci rende meri spettatori. Volenti o nolenti siamo pezzo in disputa anche noi.

All’EX-OPG “Je So’ Pazzo” Alessandra Riccio e i nuovi scenari in America Latina

di Romina Capone

Calma nel porsi, sicura nel ragionamento ed elegante nell’esprimersi: i tratti che la contraddistinguono. Alessandra Riccio, corrispondente esteri per il quotidiano L’Unità a Cuba (L’Avana dal 1976 al 1987), ispanista e condirettrice della rivista Latinoamerica insieme a Gianni Minà, ci ha portato con sé, attraverso i suoi racconti, in America Latina. Un incontro non a caso, organizzato a Napoli il 14 novembre 2019 presso l’Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario (EX OPG- Je so’ Pazzo) proprio in questi giorni in cui emergono e giungono nuovi scenari geopolitici dall’America a sud degli USA. Un sub continente che si alza “En pie de lucha”.

Venezuela, Ecuador, Cuba e Bolivia uniti dal 2005 sotto il segno dell’ALBA, insieme ai popoli del Cile, dell’Argentina, del Brasile, dell’Honduras (tra gli altri) riuniti in altri organismi regionali come UNASUR e CELAC,  in lotta nel 2019 per questioni interne anche molto diverse da paese a paese ma con un unico comune ostacolo: l’imperialismo degli Stati Uniti d’America. Ed è proprio con l’intento di fare chiarezza su quanto lì sta accadendo e su quanto i media mondiali riportano che – spiega Giuliano Granato dell’ EX-OPG- abbiamo voluto che a parlarcene fosse Alessandra Riccio per evitare confusione nell’opinione pubblica.  Ed è con un excursus storico-politico e geografico che Alessandra spiega che l’America Latina in effetti cerca “altro”.  

Sei focolai che non sono affatto accomunati da uguali fatti di politica interna ma che a maggior ragione meritano attenzioni poiché a rischio di strumentalizzazioni mediatiche mondiali e vede riversarsi in strada la popolazione sul piede di lotta.

Cile: il presidente Piñera aumenta il prezzo dei biglietti del trasporto pubblico.

Bolivia: il presidente Evo Morales si è dimesso a seguito di un Golpe da parte delle Forze Armate e del Comandante Generale della Polizia. Ora Morales è rifugiato politico in Messico. 

Brasile: la scarcerazione dell’ex presidente Lula fa vacillare i piani del neo eletto Bolsonaro con la sua politica di estrema destra ai confini col nazifascismo.

Argentina:  il presidente Alberto Fernandez tenta di ristabilire gli equilibri economici dopo che l’ex presidente Mauricio Macrì ha portato sull’orlo della bancarotta il Paese; l’inflazione lievita e l’economia è in caduta libera.

Venezuela:  l’autoproclamatosi presidente Guaidó filo-usa tenta di spodestare il Presidente Maduro. Il petrolio e le mille ricchezze che il Venezuela possiede attirano l’attenzione degli Stati Uniti i quali applicano condizioni subdole di guerra psicologica ai danni della popolazione sperando in una rivolta sovversiva popolare. Manca l’energia elettrica, la grande distribuzione non mette in vendita i medicinali (favorendo il mercato nero e l’accaparramento) creandone una scarsità di beni strategica; Stati Uniti che costruiscono “casus belli” per invadere il Paese sostenuti dalla politica di estrema destra, dalle multinazionali e dai grandi imprenditori.   

Ecuador:  il presidente Lenin Moreno aumenta il costo del carburante; una delle manovre contenute nel “Paquetazo” ossia una serie di misure di austerity per rilanciare l’economia a scapito della popolazione poiché prevede il taglio dei salari e l’aumento delle imposte.

Questo il quadro completo, in sintesi. Decine di morti, vittime della violenza  dei “carabineros” tentando di reprimere le proteste antigovernative. Nelle piazze cilene appare un enorme striscione con su scritto a caratteri cubitali: NO ESTAMOS EN GUERRA! La popolazione resiste alla repressione disumana perpetrata dai militari degni eredi di quelli pinochettisti;  sparano, colpiscono, perseguono, rapiscono e torturano la gente. Piñera è in guerra, il popolo no. Il popolo balla, danza, canta, suona in faccia ai gorilla e non si spaventa. L’America Latina è territorio di Pace. In ognuno di questi Paesi, Stati, ci sono storie e vite a sé. La tenacia, la forza e la resistenza che sta dimostrando l’intero popolo bolivariano non ha eguali; nonostante le pressioni psicologiche, nonostante i disagi, nonostante i soprusi, nonostante l’ombra nera di Trump che aleggia nei cieli azzurri della Nuestra América.  La dignità di un popolo che dagli albori della storia ha sempre lottato e lo ha tramandato da generazioni in generazioni. Simón Bolívar, Hugo Chávez, Fidel Castro. Simboli di un unico fronte comune per l’autodeterminazione dei popoli. Perché il popolo latino americano non è mai stato spettatore passivo della propria vita bensì l’ha costruita secondo il principio della democrazia partecipativa.

Torino 16nov2019: La Resistenza Antimperialista contro le “Rivoluzioni colorate”

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Agonía y muerte del neoliberalismo en América Latina

Risultati immagini per chavismo en marchapor Atilio Alberto Borón
atilioboron.com

30 Octubre 2019.- En las últimas semanas el neoliberalismo sufrió una serie de derrotas que aceleraron su agonía y en medio de aparatosas y violentas convulsiones desencadenaron su deceso. Tras casi medio siglo de pillajes, tropelías y crímenes de todo tipo contra la sociedad y el medio ambiente, la fórmula de gobernanza tan entusiastamente promovida por los gobiernos de los países del capitalismo avanzado, las instituciones como el FMI y el BM y acariciada por los intelectuales bienpensantes y los políticos del establishment yace en ruinas.

La nave insignia de esa flotilla de saqueadores seriales, el Chile de Sebastián Piñera, se hundió bajo el formidable empuje de una protesta popular sin precedentes, indignada y enfurecida por décadas de engaños, artimañas leguleyas y manipulaciones mediáticas.

A las masas chilenas se les había prometido el paraíso del consumismo capitalista, y durante mucho tiempo creyeron en esos embustes. Cuando despertaron de su sonambulismo político cayeron en la cuenta que la pandilla que las gobernó bajo un manto fingidamente democrático las había despojado de todo: les arrebataron la salud y la educación públicas, fueron estafadas inescrupulosamente por las administradoras de fondos de pensión, se encontraban endeudadas hasta la coronilla y sin poder pagar sus deudas mientras contemplaban estupefactas como el 1 por ciento más opulento del país se apropiaba del 26.5 por ciento del ingreso nacional y el 50 por ciento más pobre sólo capturaba el 2.1 por ciento.

Todo este despojo se produjo en medio de un ensordecedor concierto mediático que embotaba las conciencias, alimentaba con créditos indiscriminados esta bonanza artificial y hacía creer a unas y otros que el capitalismo cumplía con sus promesas y que todas y todos podían hacer lo que querían con sus vidas, sin que se inmiscuyera el estado y aprovechando las inmensas oportunidades que ofrecía el libre comercio.

Pero ninguna utopía, aún la del mercado total, está a salvo de la acción de sus villanos. Y éstos aparecieron de súbito personificados en las figuras de unos adolescentes de escuela secundaria que, con ejemplar audacia y filial solidaridad, se rebelaron contra el aumento en las tarifas del metro que perjudicaba no a ellos sino a sus padres. Su osadía hizo trizas el hechizo y quienes habían caído en la trampa de resignar su ciudadanía política a cambio del consumismo se dieron cuenta que habían sido burlados y estafados, y salieron a las calles para expresar su descontento y su furia.

Se convirtieron, de la noche a la mañana, en “vándalos”, “terroristas” o en una revoltosa banda de “alienígenas” –para usar la elocuente descripción de la mujer del presidente Piñera– que avizoraron los límites infranqueables del consumismo y del endeudamiento infinito y el carácter grotesco del menú democrático que ocultaba, bajo prolijos ropajes y vacías formalidades, la implacable tiranía del capital. Comprobaron en ese violento despertar que una de las sociedades antaño más igualitarias de Latinoamérica ahora compartía, según el Banco Mundial, el dudoso honor de ser junto a Ruanda uno de los ocho países más desiguales del planeta.

Nada volverá a ser igual en Chile

Como un relámpago advirtieron que habían sido condenados a sobrevivir endeudados de por vida, víctimas de una plutocracia –insaciable, intolerante y violenta– y de la corrupta partidocracia que era cómplice de aquélla y gestora del saqueo contra su propio pueblo y los recursos naturales del país. Por eso tomaron las calles y salieron en imponentes manifestaciones a luchar contra sus opresores y explotadores, y lo hicieron –y aún hoy lo hacen– con una valentía y heroísmo pocas veces vistos. Ya son por lo menos veinte los muertos por la represión de las fuerzas de seguridad y los desaparecidos reportados suman más de cien, amén de los centenares de heridos y torturados y los miles de detenidos que marcan, con lúgubres tonalidades, los estertores finales del tan admirado modelo.

Después de esta espontánea insurrección popular ya nada volverá a ser igual, nada revivirá al neoliberalismo, nadie lo señalará como la vía regia hacia la democracia, la libertad y la justicia social. Eso aunque Piñera continúe en La Moneda y prosiga su brutal represión. Pese a lo cual ni la OEA, ni los gobiernos “democráticos” del continente –presididos por turbios personajes de frondosos prontuarios– ni tampoco los hipócritas custodios de los valores republicanos tendrán un átomo de decencia para caracterizar a su gobierno como una dictadura, calificación que sólo merece Nicolás Maduro aunque jamás haya habido en su gobierno una represión tan bestial y sanguinaria como la que quedó documentada en infinidad de videítos grabados en Chile y que se viralizaron por internet.

Para Donald Trump, Piñera es amigo, vasallo y sicario político de la Casa Blanca, imprescindible para atacar a la Venezuela Bolivariana y esas son razones más que suficientes para defenderlo y protegerlo a cualquier precio. Obedientes, las ONG del imperio y sus sucursales en Europa y Latinoamérica –inverosímiles defensoras de los derechos humanos, la democracia, la sociedad civil y el medio ambiente– mantendrán un silencio cómplice ante los crímenes que cometa el ocupante de La Moneda. Algunas expresarán otras opiniones, más no aquellas que son los tentáculos ocultos del imperialismo. Impertérritos, los publicistas del sistema seguirán señalando a Nicolás Maduro como el arquetipo de la dictadura y al chileno como la personificación misma de la democracia. Pero todo será inútil, y lo que murió –la receta neoliberal– bien muerta está.

El traidor se revuelca en su estiércol

Claro que la historia no comienza ni termina en Chile. Poco antes del estallido social todavía en curso, el Ecuador del traidor y corrupto presidente Moreno había sido convulsionado por inmensas protestas populares. El detonante, la chispa que incendió la pradera fue la quita de los subsidios a los combustibles. Pero el factor determinante fue la implementación del “paquetazo” ordenado por el FMI al servil agente instalado en el Palacio de Carondelet.

La reacción popular, iniciada primero entre los transportistas y sectores populares urbanos y luego potenciada por la multitudinaria irrupción de las poblaciones originarias en las principales ciudades del país, se extendió poco más de una semana y obligó al cobarde presidente a trasladar la sede del Ejecutivo a Guayaquil. Poco después tuvo que suspender la cruel represión con que había respondido al desafío y abrir una fraudulenta negociación con los autoproclamados líderes de la revuelta indígena.

Astuto, pactó una tregua con la desprestigiada y también ingenua dirigencia de la CONAIE y derogó el decreto relativo al subsidio a los combustibles, prometiendo revisar lo actuado. Nada de eso ha ocurrido, pero logró desarticular la protesta, por ahora. Como le cuadra a un traidor serial como Moreno, el jefe de los negociadores indígenas, Jaime Vargas, está siendo judicialmente perseguido por el gobierno.

El “paquetazo” será puesto en práctica porque el mandato del FMI es inapelable y Moreno es un peón más que obediente: es obsecuente. Es sabido que estos programas del Fondo sólo son factibles si se los gestiona con una mezcla –variable según los casos– de engaños y represión. Pero ahora la pasividad ciudadana tiene mecha corta y en pocos meses más, en cuanto se dejen sentir los rigores del ajuste salvaje, no sería extraño que estalle una nueva rebelión plebeya que esperemos no caiga en las trampas de Moreno y sus compinches y culmine exitosamente con la destitución del presidente y la refundación de la democracia en el Ecuador.

El presidente está entrampado: si aplica el programa del FMI la poblada popular probablemente acabe con su gobierno; si no lo hace, el imperio puede decidir que llegó la hora de prescindir de sus servicios por inútil. Y como la Casa Blanca “sabe demasiado” de las trapisondas y los negocios sucios de Moreno no tendrá más remedio que aceptar el ultimátum imperial y acogerse a un “desempleo involuntario”, como decía Keynes. Pero, pese a su inutilidad y a los crímenes perpetrados durante la represión de las protestas populares Washington se encargará de esconderlo y protegerlo. Como lo hizo con otro asesino, Gonzalo Sánchez de Lozada y con tantos otros. En poco tiempo sabremos cual será el desenlace.

Evo, siempre vencedor

El neoliberalismo sufrió otra derrota en Bolivia, cuando el presidente Evo Morales fue reelecto con el 47,08 por ciento de los votos contra el 36,51 por ciento obtenido por Carlos Mesa, el candidato de Comunidad Ciudadana. El presidente le sacó una ventaja de 10.57 por ciento de los votos a su contrincante (más del 10 % que señala la legislación boliviana para declararlo ganador en primera vuelta) y pese a que no hubo ninguna denuncia concreta de fraude sino tan sólo gritos y aullidos de la oposición, ésta exige que se proceda a convocar al balotaje.

Quienes manejan desde Estados Unidos a los enemigos de Evo en Bolivia cuentan con la previsible connivencia de la OEA y algunos desastrados gobiernos de la región como los de la Argentina de Macri, Brasil, Chile, Colombia. Dicen que las irregularidades habidas en la transmisión y difusión del escrutinio (explicada convincentemente por las autoridades bolivianas) unido lo exiguo de la diferencia obtenida por Evo (pero por encima del 10%, por supuesto) obliga a proceder de tal manera.

Si este fuera el caso, estos virtuosos vestales de la democracia deberían ordenar sin más dilaciones la anulación de la elección presidencial de 1960 en Estados Unidos, cuando John F. Kennedy aventajó a Richard Nixon por 0.17 centésimos (49.72 versus 49.55 %) y Nixon fue investido como presidente sin enfrentar reclamo alguno.

Mesa, que perdió por una diferencia de 10.57 por ciento, haría bien en llamarse a silencio. No lo hará, porque en un prodigio de adivinación (que, por supuesto, le salió mal) había anticipado su victoria y que desconocería otro resultado que no fuera ese, como corresponde a un demócrata “made in the USA”: Si gano, la elección fue limpia; si pierdo, hubo fraude. Nada nuevo: la derecha jamás creyó en la democracia, mucho menos en estas latitudes, y está de modo irresponsable llamando a la desobediencia civil y promoviendo desmanes para “corregir” el resultado que le fuera negado por las urnas.

Evo, en un gesto que lo enaltece, desafió a la OEA a que realice un peritaje íntegro del proceso y que si encuentra evidencia de fraude, convocaría de inmediato al balotaje. Será inútil, pero igual el capataz Almagro enviará una misión a Bolivia para agitar el avispero y entorpecer la labor del gobierno. Desgraciadamente habrá gente que morirá o sufrirá graves heridas a causa de los disturbios que ocasionará esa misión.

Claro está que los movimientos sociales de Bolivia no van a permitir que una victoria de más de diez puntos obligue a un balotaje o empine como ganador al perdedor. Además, no es un dato menor que ya los gobiernos de México y el nuevo de Argentina reconocieron el triunfo de Evo, al igual que los de Cuba, Nicaragua y la República Bolivariana de Venezuela. En suma: la restauración del neoliberalismo en Bolivia parece haberse frustrado de nueva cuenta, por más esfuerzos que hagan el imperio y sus lugartenientes locales.

Los Fernández derrotan a Macri

En línea con este marco regional signado por un generalizado clima ideológico de repulsa al neoliberalismo imperante, en la Argentina la experiencia neoliberal de Mauricio Macri fue repudiada en las urnas. Ampliamente, porque lo que hubo el 27 de octubre no fue la primera vuelta de una elección presidencial. Ésta, en realidad, tuvo lugar el 11 de agosto, en las PASO (elecciones primarias, abiertas, simultáneas y obligatorias) y allí las distintas alianzas políticas midieron sus fuerzas.

Dado que en esa ocasión quedó demostrado que sólo Mauricio Macri poseía los votos como para desafiar el poderío electoral del Frente de Todos, el presidente atrajo las preferencias de electores de derecha que en las PASO habían optado por otras candidaturas (Juan José Gómez Centurión o José Luis Espert, y algunos de Roberto Lavagna) y probablemente con un segmento mayoritario de la mayor afluencia ciudadana que concurrió a los comicios este domingo.

De todos modos quedan algunas incógnitas de difícil resolución y que despiertan cada vez más fundadas suspicacias sobre el genuino veredicto de las urnas. Por ejemplo, el hecho de que la fórmula Fernández–Fernández sólo hubiera acrecentado su caudal electoral en unos 250,000 votos, disminuyendo su gravitación porcentual con relación a las PASO en casi un uno y medio por ciento es difícil de entender. Sí que su rival lo acrecentase, pero que lo hiciera en 2,350,000 votos y casi siete y medio por ciento provoca. por lo menos una cierta curiosidad.

Es obvio que el macrismo se benefició con la fuga de votos hacia su candidatura, pero su crecimiento luce como excesivo al igual que el muy poco que experimentó el Frente de Todos en un contexto de profundización de la crisis económica como la vivida por la Argentina en los últimos dos meses.

Otro misterio de la aritmética electoral lo ofrece el paradero de los 900,000 votos obtenidos en las PASO por las dos candidaturas presidenciales del trotskismo y que se redujeron a poco más de 550,000 el domingo pasado. ¿Qué ocurrió con esos 350,000 votos faltantes? ¿se evaporaron, votaron a Macri? Son demasiadas interrogantes que no podremos resolver aquí pero que alimentan la sospecha de que pudo haber habido un muy sofisticado fraude informático que seguramente será descubierto en cuanto se termine el escrutinio definitivo de los comicios.

De todos modos, más allá de estas disquisiciones, los casi ocho puntos porcentuales que separan a Fernández de Macri (que pueden acrecentarse cuando se conozcan los datos definitivos) son, para un balotaje, una diferencia muy significativa. Recuérdese que en la segunda vuelta de la elección presidencial de 2015, Macri se impuso a Daniel Scioli por dos puntos y medio, 2.68 % según el escrutinio definitivo.

Lo cierto es que la ardua tarea de reconstruir a la economía y sanar las profundas heridas que el macrismo dejó en el tejido social, sólo será posible abandonando las recetas del neoliberalismo. Éste ocasionó en la Argentina la crisis más grave de su historia, peor aún que el traumático desplome de la Convertibilidad en el 2001. Será como remontar una empinada cuesta, porque Macri deja al país en profunda recesión, acribillado por la inflación y un desempleo de dos dígitos, con casi cuarenta por ciento de gente en la pobreza y una deuda descomunal y a corto plazo, nada menos que con el FMI. Pero los estallidos sociales de Chile y Ecuador son un elocuente disuasivo para desalentar a quien quiera aconsejar al nuevo presidente que lo que hay que hacer es emular los logros del neoliberalismo tal cual se conocieran en Chile.

El uribismo y el Frente Amplio

No podría concluir esta mirada panorámica sobre la agonía del neoliberalismo en Latinoamérica, sin mencionar el serio revés sufrido el domingo pasado por esta corriente ideológica en las elecciones regionales de Colombia. En ese país, el autodenominado Centro Democrático (que no es ni lo uno ni lo otro, sino una derecha radical y visceralmente antidemocrática), partido al que pertenecen Álvaro Uribe y el actual presidente Iván Duque, sufrió una dura derrota en la disputa librada en las dos principales ciudades del país, Bogotá y Medellín. En ambas se impuso la oposición de centro izquierda y el uribismo sólo prevaleció en dos de las 32 gobernaciones de Colombia. Si bien es prematuro anticipar previsión alguna acerca de lo que podría acontecer en las elecciones presidenciales de 2022, lo cierto es que si algo no se esperaba en Colombia era un tropiezo tan contundente de la derecha ultraneoliberal en aquellas ciudades. Una señal muy positiva, sin dudas.

Tampoco podría poner fin a estas líneas sin compartir en este caso la preocupación que genera el proceso electoral en el Uruguay, en cuya primera vuelta el candidato del Frente Amplio y ex intendente de Montevideo, Daniel Martínez, obtuvo un 39,2 % de los votos contra el 28,6 % de Luis Lacalle Pou, del conservador Partido Nacional. Esto pronostica una reñida contienda en el balotaje que tendrá lugar el próximo 24 de noviembre, porque las restantes fuerzas políticas de la derecha han comprometido su apoyo a Lacalle Pou, incluyendo a la desgraciada novedad de la política uruguaya: el “bolsonarismo” encarnado en el partido Cabildo Abierto liderado por el ex Comandante del Ejército Nacional Guido Manini Ríos, ardiente opositor a cualquier pretensión de revisar los casos de violación de los derechos humanos perpetrados por la dictadura en Uruguay y duro crítico de toda la legislación progresista aprobada por el Frente Amplio a lo largo de quince años de gobierno.

No está todo perdido, pero quedan sólo cuatro semanas para persuadir al electorado del Uruguay que elegir un gobierno neoliberal en momentos en que esa corriente se desbarranca en medio de tremendas convulsiones sociales –en Chile, en Ecuador, en Haití y antes en México, con el triunfo de López Obrador– condenaría a ese país a internarse en un sendero que terminó en un rotundo fracaso en todos los países de la región. Sería ingenuo pensar que lo que produjo un holocausto social sin precedentes en México, luego de 36 años (1982–2018) de cogobierno FMI–PRI–PAN; o la gravísima crisis que azota a la Argentina y la debacle que devora a Chile y Ecuador pueda dar nacimiento a un resultado virtuoso en la nación rioplatense. Mucho tendrá que trabajar el Frente Amplio para hacer que sus compatriotas observen con cuidado a la escena regional y extraigan sus propias consecuencias.

Lo muerto, muerto está

Ponemos punto final a esta mirada panorámica sobre las vicisitudes de la agonía y muerte del neoliberalismo en América Latina. Lo muerto, muerto está, pero lo que brotará de sus cenizas no es fácil de discernir.

Será dictado, como todos los procesos sociales, por los avatares de la lucha de clases, por la clarividencia de las fuerzas dirigentes del proceso de reconstrucción económica y social; por su audacia para hacer frente a toda clase de contingencias y preservar la preciosa unidad de las fuerzas políticas y sociales democráticas y de izquierda; por su valentía para desbaratar los planes y las iniciativas de los personeros del pasado, de los guardianes del viejo orden; por la eficacia con que se organice y concientice al heteróclito y tumultuoso campo popular para enfrentar a sus enemigos de clase, al imperio y sus aliados, al capitalismo como sistema, que cuenta con enormes recursos a su disposición para conservar sus privilegios y continuar con sus exacciones.

Será una tarea hercúlea, pero no imposible. Se avecinan “tiempos interesantes” y preñados de grandes potencialidades de cambio. La incertidumbre domina la escena, como invariablemente sucede en todos los puntos de inflexión de la historia. Pero donde hay una certeza absoluta es que ya más nadie en Latinoamérica podrá engañar a nuestros pueblos, o pretender ganar elecciones diciendo que “hay que imitar al modelo chileno”, o seguir los pasos del “mejor alumno” del Consenso de Washington. Esto fue lo que por décadas recomendaron –en vano, visto el inapelable veredicto de la historia– el antes locuaz y ahora silente Mario Vargas Llosa, junto a la pléyade de publicistas del neoliberalismo que imponían con prepotencia sus falacias y sofismas gracias a su privilegiada inserción en los oligopolios mediáticos y aparatos de propaganda de la derecha.

Pero esto ya es pasado. Y no cometeremos la imbecilidad de pretender hacer gala de una inverosímil “neutralidad” o de buenos modales a la hora de despedir a esta corriente ideológica en sus exequias deseándole que “descanse en paz”, como se hace con quienes dejaron una huella virtuosa en su paso por este mundo. Lo que diremos en cambio es: “¡vete al infierno, maldita, a purgar por los crímenes que tú y tus mentores han perpetrado!”.

Argentina: Una elección difícil entre la soberanía y un retorno al pasado colonial

por Dmitry Pavlenko, especialmente para News Front

Las estructuras globalistas controladas por Estados Unidos y Washington están tratando de evitar la victoria de los patriotas de izquierda en las elecciones en Argentina

Dos semanas después, el 27 de octubre de 2019, se realizarán elecciones presidenciales en Argentina. Diez personas aspiran al puesto de jefe de Estado, pero la lucha principal se desarrollará entre el actual presidente del país, el líder de la coalición liberal «Juntos por el cambio» Mauricio Macri y el candidato del bloque de centro-izquierda «Frente para Todos» (Frente de Todos) Alberto Fernández.

Durante las elecciones primarias celebradas el 11 de agosto de 2019, el candidato de la oposición Fernández obtuvo una victoria aplastante con más del 47% de los votos. El actual presidente, Macri, obtuvo un poco más del 32%. Para ganar la primera ronda de la etapa principal de las elecciones, el candidato a la presidencia necesita obtener más del 45% de los votos o más del 40%, siempre que la brecha con el segundo lugar supere el 10%.

La victoria en las elecciones presidenciales en Argentina de la oposición Fernández causó un verdadero pánico en las estructuras globalistas controladas por Estados Unidos y Washington. Los prestamistas mundiales, a quienes Macri le asignó el país, comenzaron a presionar activamente a Argentina para evitar la venganza izquierdista. El día después de que se publicaron los resultados de las primarias, el tipo de cambio del peso nacional cayó un 30%, comenzó la salida de capital del país. Todo tipo de expertos financieros, que representan al equipo de servicio del FMI, comenzaron a hablar sobre el hecho de que Argentina está esperando otro incumplimiento en toda regla.

Entonces, ¿qué preocupaba a los globalistas?

El opositor Alberto Fernández es un ex primer ministro de Argentina y miembro del Partido Peronista, cuyo líder es la ex presidenta Christina Kirchner. En las elecciones de 2015, Kirschner, quien ocupó la presidencia por dos períodos seguidos, no tenía derecho a postularse, y su nominado Daniel Sioli perdió un ligero margen en la segunda vuelta ante el protegido, neoliberal y líder de bloque de los EE. UU.

«Cambiemos» Mauricio Macri, quien había servido anteriormente como alcalde de Buenos Aires durante ocho años.

Lo que trajo el macrismo a la Argentina
La política interna y externa de Macri era fundamentalmente diferente de las políticas de sus predecesores, los cónyuges Nestor y Christina Kirchner. El rechazo de las medidas proteccionistas en la economía, la abolición de los aranceles a la exportación, la reducción de muchos programas sociales para la población, la alta inflación, un aumento de las tarifas eléctricas de 4 a 6 veces, la devaluación de la moneda nacional, un aumento de la tasa clave al 70%, todo esto arrojó a la tercera economía en América Latina En un estado de profunda recesión, causó un empobrecimiento catastrófico de la población y un aumento de la tensión política y social.

La situación se agravó al esclavizar la dependencia del FMI, que en 2018 aprobó la concesión de un préstamo de $ 57 mil millones a Argentina. Uno de los países más ricos del mundo, como resultado de las reformas neoliberales, se encontró en la posición de un mendigo con la mano extendida. Sin embargo, los fondos que podrían utilizarse para revivir la economía nacional, los argentinos no vieron. Los tramos recibidos se destinaron a las cuentas de inversionistas y acreedores extranjeros, lo que condujo al país aún más al abismo económico y al agujero de la deuda.

En política exterior, Macri abandonó el curso soberano de Kirchner, quien se caracterizó, entre otras cosas, por las relaciones amistosas con Rusia, a favor de la dependencia neocolonial absoluta de los Estados Unidos. Los estadounidenses recibieron no solo preferencias económicas en forma de libre acceso al mercado argentino y el derecho a comprar los activos más valiosos, sino también una oferta generosa en forma de despliegue de tres bases militares en el territorio del país, en la provincia de Neuquen, donde se encuentran los depósitos de gas de esquisto, en la provincia de Misiones, en la frontera con Brasil y Paraguay, así como en Tierra del Fuego, desde donde se brinda una oportunidad verdaderamente única para ejercer el control sobre el Estrecho de Magallanes y la Antártida. Esto sin mencionar el hecho de que Buenos Aires se convirtió en un participante activo en el «grupo de Lima» latinoamericano organizado por Washington,

Fernández, en caso de su victoria en las elecciones, ya ha anunciado su disposición a retirar a Argentina del «grupo de Lima» pro estadounidense y junto con

México y Uruguay abogan por una resolución pacífica del conflicto en Venezuela a través del diálogo entre el legítimo presidente Maduro y la oposición. Los países amigos de Venezuela, incluidos Rusia, China y Cuba, respaldan esta opinión.

“Argentina debería estar entre los países que quieren ayudar a los venezolanos a encontrar una salida. Estar en el «grupo Lima» contradice esto «, dijo Fernández en una reunión con el candidato presidencial de Uruguay del Frente Amplio de centro izquierda, Daniel Martínez.

También promete abolir las reformas impopulares del mercado y estimular la economía aumentando el gasto social en salarios y pensiones. Al mismo tiempo, Fernández tiene la intención de mantener un presupuesto equilibrado y evitar un incumplimiento previsto.

Quiere decir que tales iniciativas no causan entusiasmo en Washington, donde todavía se sigue la doctrina Monroe, consideran a América Latina como su «patio trasero» y perciben cualquier frente por parte de los políticos latinoamericanos como una amenaza para su seguridad nacional.

Regresa Kirschner: cómo se hizo realidad la pesadilla de Washington

Sin embargo, el propio Fernández parece ser una figura bastante flexible, bajo la cual, bajo ciertas condiciones, puede presionarlo, hacer que obedezca las reglas del juego establecidas por el jugador global y, por lo tanto, desacreditar a todos los herederos ideológicos de Juan Domingo Perón. El pánico de los globalistas es que, junto con Fernández, está la insumergible Christina Kirchner, en la que Argentina realizó con éxito un curso socialmente orientado y, lo más importante, soberano, dirigido a proteger los intereses estatales, apoyando al productor nacional y la protección social para los pobres. En política exterior, el país mantuvo estrechas relaciones con los gobiernos de izquierda de Venezuela, Bolivia, Ecuador y Brasil, y mantuvo relaciones amistosas con Rusia y China.

Ejemplos típicos de cooperación ruso-argentina fueron la cooperación en el campo de la energía nuclear y la firma de un memorando entre Gazprom y la Corporación Nacional de Petróleo y Gas del Estado argentino sobre la participación de la compañía rusa en el desarrollo de los campos de petróleo y gas argentinos. También en 2014

Putin y Kirchner lanzaron la transmisión las 24 horas de la versión en español de Russia Today. Dos años después, el nuevo gobierno de Macri, para complacer a sus patrocinadores estadounidenses, detuvo la transmisión gratuita de RT, que en Washington se considera «el portavoz principal de la propaganda rusa».

No se pueden decir algunas palabras sobre la posición de Christina Kirchner sobre la reunificación de Crimea con Rusia. Argentina se abstuvo en la votación de la ONU sobre el no reconocimiento del referéndum de Crimea. Al mismo tiempo, Kirchner condenó a Occidente por doble rasero, trazando paralelos con la situación en torno a las Islas Malvinas (Malvinas), que son reconocidas como el territorio de ultramar de Gran Bretaña.

Si Fernández gana, Christina Kirchner asumirá el cargo de vicepresidenta, lo que garantiza al menos un retorno parcial al kirchnerismo en la economía y el rechazo del papel del títere estadounidense en la política exterior.

No es casualidad que durante la presidencia de Kirchner y los últimos cuatro años, cuando los peronistas fueron a la oposición, los medios controlados por los neoliberales denunciaron activamente a Kirchner, acusándola de corrupción y todos los pecados posibles. WikiLeaks publicó documentos curiosos: cuando Macri era el alcalde de la capital, tenía estrechos vínculos con el establecimiento estadounidense y exigía una presión externa más activa sobre el gobierno de Kirchner por parte de sus patrocinadores. En particular, en enero de 2010, en una conversación con el ex embajador de Estados Unidos en Buenos Aires, Macri se quejó de lo «demasiado blando», en su opinión, de la actitud de Washington hacia el gobierno argentino y pidió ayuda para demonizar a Kirchner.

Para desacreditar a la ex presidenta, privándola de inmunidad senatorial, seguida de encarcelamiento o al menos una prohibición de actividades políticas contra Christina Kirchner, se inició un proceso penal (siguiendo el ejemplo de la ex presidente de Brasil Lula da Silva, que también es objetable para los estadounidenses). El mismo Macri en uno de sus discursos acusó a su predecesor de haberle dejado un «legado pesado». Es cierto que Kirschner no buscó palabras en su bolsillo e invitó al neoliberal a devolverle esta herencia.

Estados Unidos listo para sumir a Argentina en el caos para evitar otra derrota geopolítica
Y ahora Washington y sus instituciones financieras globales bajo su control están organizando una intervención directa en las elecciones argentinas para evitar la victoria del tándem Fernández-Kirchner, lo que significará la próxima derrota geopolítica de Estados Unidos en América Latina después del golpe fallido en Venezuela y el comienzo del fin del llamado «giro a la derecha», proporcionando la hegemonía de los Estados Unidos en la región.

Por lo tanto, no es casualidad que Trump ya haya expresado su apoyo demostrativo a Macri en su confrontación política con los peronistas. Cabe esperar que los llamados «fondos buitre» estadounidenses, que compran deudas argentinas y luego a través de los tribunales estadounidenses que exigen su reembolso inmediato sin demora y reestructuración, se unan activamente a la presión externa. En 2014, una situación similar ya era la causa del incumplimiento técnico. Ahora, cuando Argentina se encuentra en un estado de dependencia crítica del FMI, esto podría resultar en consecuencias financieras, económicas y políticas mucho más graves para el país y su soberanía.

“Podemos esperar que si Alberto Fernández y Christina ganan, el FMI arreglará una obstrucción completa para Argentina. El país se encontrará en un bloqueo financiero «, dijo Valentin Katasonov, Doctor en Economía.

Los intentos de Estados Unidos de implementar el escenario venezolano sin el reconocimiento de los resultados electorales y los intentos de mantener con fuerza las palancas del gobierno en manos de los títeres pro-estadounidenses no deben descartarse.

Deseamos que los argentinos no sucumban a la presión externa, resistan todas las pruebas con honor y defiendan su derecho a implementar un curso soberano.

 

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