Il Venezuela ed il futuro delle comuni

di Marco Teruggi – 15yultimo.com

29mar2017.- Hanno ancora un futuro le Comuni? Le comuni sembrano un mito. Una parola d’ordine che ha condensato la strategia e non è potuta divenire realtà. Quando si riconosce la loro esistenza le si associa alla distanza: le comuni degli altipiani, delle montagne di Lara o Portuguesa, tutte contadine. Qualcosa di lontano, eroico, quasi romantico, che non ha a che vedere con la realtà delle grandi città, in particolare di Caracas. Comuni qui? Non si può.

Cos’è una comune? Detto meglio, cosa dovrebbe essere in funzione del progetto politico progettato? È più della somma dei passaggi legali. Significa dire, è più che vari consigli comunali che si riuniscono,  elaborano la carta fondativa della comune che sarà, la sottopongono a votazione della comunità, la registrano, e mettono in piedi il parlamento comunale, la banca, consigli di pianificazione, economia e controllo. Questa sarebbe la struttura formale, imprescindibile, ma incapace di dirci se al suo interno esiste ciò che indicava Chávez: lo spirito della comune.

 

La prima cosa è la partecipazione della comunità. Senza di essa non esiste democrazia radicale che tenga, né processo produttivo – di generazione di ricchezza – innovativo. Comunità significa qualcosa di più dei portavoce eletti per ogni compito comunale. Le comuni non corrispondono alle loro voci. Sono – dovrebbero essere – il governo di una comunità organizzata, che decide ed esegue politiche per ognuna delle aree che costituiscono la vita del proprio territorio: sport, salute, alimentazione, sicurezza, comunicazione, economia, trasporto, ecc.. Una strategia che non fu pensata per una comune isolata – questa idea degli anni ’90 del socialismo in un solo quartiere – bensì in vista di forgiare un tessuto comunale nazionale.

 

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Esistono in qualche luogo del paese comuni con tali caratteristiche? Quante delle oltre 1730 assomigliano ai pilastri del progetto di società progettato? Due terzi, la metà, un terzo? È difficile averne certezza. Gli indicatori rimandano alle strutture: se hanno o meno tutti gli organi di potere conformati. Non al livello di partecipazione, coinvolgimento della comunità, relazione tra consigli comunali e parlamento comunale, ad esempio. Per saperlo è necessario stare sul territorio, condividere, demistificare, comprendere i tempi dell’organizzazione popolare.

Così come non esiste un soggetto puro/ideale, tanto meno si danno processi sociali esenti da contraddizioni, da periodi di flusso e riflusso. La stessa comune che in un momento ha un alto livello di partecipazione può perderlo in un’altra tappa – e viceversa. Sono inserite in questa realtà fatta di una sovrapposizione di colpi, domande, resistenze, una tappa che attualmente è segnata dalla logica del ripiegamento, un fenomeno spiegato da Rodolfo Walsh (1):

“Le masse non ripiegano verso il vuoto, bensì verso il terreno cattivo ma conosciuto; verso relazioni che dominano, verso pratiche comuni; in definitiva, verso la propria storia, la propria cultura e la propria psicologia, i componenti della propria identità sociale e politica.”

Il ripiegamento – se accettiamo che sia una delle tendenze attuali – non è verso la costruzione di un’impresa di proprietà sociale (2), bensì verso la compravendita di qualcosa che generi un profitto straordinario in breve tempo. La gente cerca risposte nel modello socialista da costruire o nella cornice della logica rentier/petrolifera del mercato? Una gran parte pare aver optato, com’era stato previsto, per la seconda. In particolare nelle città, più esposte alla cultura del capitale, alla logica speculativa, al consumismo e alla soluzione individuale. Ma un’altra parte non ha ripiegato: ha scelto alcune delle trame organizzative costruite in questi anni di processo chavista.

Capire questi tempi sovrapposti è elemento chiave per analizzare la fase comunale, così come per progettare la forza popolare. Nulla accade nel vuoto.

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Un’autocritica: non abbiamo saputo, per ora, trasformare le comuni in tema di discussione. Non si dibatte in merito alle comuni, non sono nell’agenda militante, nell’opinione pubblica. Si può additare la linea ufficiale che le ha cancellate dal discorso per concentrare la forza unicamente nei CLAP (3). Non è un caso che accada, non c’è diritto all’innocenza politica. Senza dubbio, è poco onesto accusare l’altro senza assumere gli stessi limiti propri. Perché non siamo riusciti a “comunalizzare” il dibattito? Il movimento popolare non si è fatto in quattro per la costruzione delle comuni, non ha scommesso nel medio termine su di esse? A Caracas parrebbe di no – altro dibattito sarebbe sapere cosa sia il movimento popolare.

Nel Municipio Libertador esistono 44 comuni registrate. È difficile sapere quale sia il livello di partecipazione della comunità, che capacità produttiva abbiano. Quest’ultima è centrale, il bilancio è chiaro da anni: una comune che non produce è difficilmente sostenibile nel tempo. Deve poter generare lavoro ed eccedente comunale. Il tema produttivo emerge con chiarezza nelle zone contadine – si necessita di investimenti, semine collettive, camion, infrastrutture viarie, centri di approvvigionamento, punti di commercializzazione. In quei territori già esiste uno sviluppo della forza produttiva comunale.

Nelle città il panorama è complesso. Per la difficoltà dello stesso spazio fisico in cui installare un’impresa di proprietà sociale, e per capire in che campo concentrarsi. Si tratta di costruire una produzione sociale che si scontra con un’economia in stato di guerra. Produzione di pane, tessile, caffè, turismo, mercato, raccolta di immondizia? I tempi istituzionali – “mancano tanti progetti per domani” – sono soliti tradursi nell’urgenza non pianificata e, quindi, nella inattuabilità. Mancano avanzamenti, vittorie del quotidiano con obiettivi strategici.

È difficile, non potrebbe essere in altro modo. In particolare quando il processo comunale si scontra – oltre al ripiegamento e alla situazione economica – con due fattori nel territorio: l’acutizzazione della logica della politica clientelare attraverso i CLAP – denunciata dallo stesso Maduro – e la presenza di quadri di partiti di destra che hanno fatto un lavoro di penetrazione. Il secondo elemento era prevedibile. Il primo  è complesso, porta la tensione all’interno del chavismo: “tutto il potere ai CLAP” si traduce in una legittimità della negazione del processo comunale. Il processo sarebbe diverso se il PSUV (4) scommettesse sul potere delle comuni anziché guardar loro come ad una minaccia, qualcosa che debba essere controllato. Attraverso di esse avrebbe la possibilità di recuperare legittimità perduta, costruire leadership genuine, ricomporre forza popolare. Parlo per la realtà del territorio in cui militiamo nelle comuni a Caracas, per quelle che conosco nel paese, per quello che accade negli altri luoghi da cui ci arrivano informazioni.

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Un’ipotesi non tanto negata: se il chavismo perdesse il potere politico, da quali spazi si resisterà? Non ci saranno borse CLAP, né ministeri, né vicepresidenze, né gestione di risorse materiali per convocare le persone. Questa è epoca per accumulare, tanto in vista della transizione al socialismo, quanto nella prospettiva di trovarsi di fronte ad un governo di destra che applichi un piano neoliberista frontale e una politica repressiva selettiva e/o di massa. Le comuni aumentano la potenza di risposta dinanzi a questi due scenari.

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Quando indiciamo i tavoli di lavoro, nel processo di costruzione comunale, la risposta è buona.

Esiste un soggetto di quartiere che, malgrado riflussi e disillusioni, è disposto a darsi da fare. Soffre un certo abbandono. Se si mettono da parte le parole d’ordine, gli atti pubblici per gli applausi, cosa propone loro il chavismo? Di certo oggi non si può fare politica al di fuori della richiesta centrale che riunisce centinaia di persone in pochi minuti: il cibo. Per questo i Clap. È uno dei nodi centrali e si deve dare risposta, con la complessità che viene dal presentare una cassa di cibo come una vittoria politica – fino a che punto lo è?

Le comuni hanno la capacità di garantire mercati settimanali di verdure ortaggi e frutta carne pesce. Accade in varie parti del paese, anche a Caracas. È una risposta concreta ad una necessità concreta; ma manca solo il cibo? Si è ridotto tutto a questo? Si chiede anche, ad esempio, formazione politica, strumenti pratici per la battaglia nei territori, strumenti di comunicazione. Cosa chiede la gioventù nei territori? Non tutto è cibo.

Ci sono possibilità di consolidare e creare nuove comuni. Questa è la tappa per farlo, per gettare braccia, intelligenza, volontà in questo compito strategico. Questo pare essere lo spazio per la costruzione di una correlazione di forze migliore all’interno del chavismo, per dotare il processo del suo senso socialista, impegnarsi a ricomporre forza etica, trame che resistano al processo di distruzione dei legami di solidarietà popolare allentati dalla guerra.

Esiste un soggetto comunale che chiede di più. Non è un mito, e non succede solo sugli altipiani e sulle montagne di Lara e Portuguesa. Siamo dinanzi alla sfida di dibattere e contendersi i significati della rivoluzione, il futuro del processo che ha impostato le ipotesi di società più avanzate di questo secolo. Abbiamo l’obbligo di vincere: se la destra riprendesse il potere politico questo ciclo non aprirebbe un processo di chiarificazione delle contraddizioni – come a volte si sente dire – che permetterà poi di ritornare al governo con maggior chiarezza. La politica non è una partita a scacchi e il nemico non perdona.

Mettere il meglio di noi stessi nelle comuni invertirà la rotta attuale? Forse no, ma sicuramente non farlo toglie possibilità di vittoria al presente e a ciò che verrà.

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(1) Rodolfo Walsh, giornalista e scrittore argentino, considerato padre del giornalismo investigativo per il suo libro Operación Masacre (1957). Entrato a far parte dei Montoneros, fu ucciso nel marzo 1977 in un’imboscata di agenti della giunta militare argentina mentre era cercava di spedire alla stampa nazionale ed internazionale la sua Carta Abierta de un Escritor a la Junta Militar , documento di denuncia dei crimini e delle depravazioni della giunta militare.

(2) Un’impresa di proprietà sociale è un’unità socio-produttiva costituita in un ambito territoriale di una o più comunità, in una o più comuni, a beneficio dei suoi integranti e della collettività, attraverso il reinvestimento sociale dei suoi utili a in cui i mezzi di produzione sono di proprietà comunale o più comuni, a beneficio dei suoi integranti e della collettività, attraverso il reinvestimento sociale dei suoi utili a in cui i mezzi di produzione sono di proprietà comunale o pubblica. 

(3) I CLAP, Comités Locales de Abastecimiento y Producción (Comitati Locali di Approvvigionamento e Produzione), sono un sistema di distribuzione di alimenti creato dal governo venezuelano nell’aprile 2016 per arrivare in maniera diretta alle famiglie. Si tratta di un tentativo di sconfiggere il problema del “bachacheo”, vale a dire del fenomeno per cui speculatori acquistano beni a prezzi calmierati per poi rivenderli al mercato nero a prezzi molto più alti.

(4) Il PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) è il partito creato da Chávez per riunire le forze politiche che appoggiavano il processo. Al momento, con più di 5 milioni di iscritti, è il più grande partito politico latinoamericano.

[Trad. dal castigliano a cura di Giuliano Granato]

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