
di Sergio Rodríguez Gelfenstein
da Telesur
Dalla Colombia, (non si sa se Santos o lo stesso Tillerson), hanno ordinato all’opposizione venezuelana di non firmare l’accordo raggiunto con il governo a Santo Domingo.
10feb2018.- I media internazionali hanno riferito con grande stridore che il viaggio del segretario di Stato Rex Tillerson in America Latina e nei Caraibi è stato concepito per creare un consenso nella regione contro il Venezuela e fare pressione su Caracas attraverso l’aumento delle sanzioni economiche, sebbene Tillerson si proponesse anche di influenzare la visione dei leader della regione, per ottenere sostegno agli Stati Uniti e alla Colombia nel loro sforzo di produrre un’aggressione militare contro il Venezuela.
Pertanto, ha visitato alcuni dei suoi più stretti alleati, specialmente quelli che sono stati particolarmente aggressivi contro il Venezuela. La visita in Giamaica, uno stretto alleato degli Stati Uniti nei Caraibi, perseguiva l’obiettivo di attrarre i piccoli paesi del Golfo, che finora hanno resistito con fermezza e decisione alle minacce di ogni genere provenienti dagli Stati Uniti, affinché smettessero di supportare il Venezuela. Se, politicamente, la Giamaica era il paese meno importante del tour di Tillerson, in termini diplomatici era la meta più ambita del viaggio del Segretario di Stato.
Tuttavia, sulla base dei fatti (come dato a sapere dallo stesso Tillerson prima di iniziare il suo giro), lo scopo del suo lungo viaggio nella regione è stato quello di contrastare la crescente presenza di Russia e Cina in America Latina e nei Caraibi, che si è manifestata attraverso un ampio e progressivo programma di cooperazione. Non è un caso che il tour di Tillerson si verifichi quasi subito dopo il II Forum Ministeriale Cina-CELAC a Santiago del Cile, con la presenza del ministro degli esteri Wang Yi.
In questo quadro, l’obiettivo tattico della visita è stato il Venezuela. In questa logica e come espressione del suo disprezzo per i paesi dei Caraibi, il Messico ha chiesto di sapere quanto petrolio potrebbe fornire per ‘comprare’ i governanti di queste nazioni insulari, al fine di ‘liberarli dall’obbligo’ di continuare a ricevere il petrolio venezuelano e per poter continuare a provare la via diplomatica in vista del VII Summit delle Americhe, che si terrà a Lima, il prossimo aprile.
Lo stesso disegno perseguiva il suo passaggio per il Perù, paese il cui presidente, in alleanza con il partito dell’ex-dittatore Fujimori, farà da anfitrione all’incontro, dove ancora una volta si cercherà di espellere il Venezuela dal sistema panamericano. L’Argentina è stata sondata da Tillerson, perché garantisse di assumersi la responsabilità politica dell’ aggressione, in vista dell’imminente (questa sì, imminente) uscita di scena di Bachelet e di Heraldo, che hanno giocato finora quel ruolo, in base alla convinzione statunitense che Piñera, il suo ministro degli esteri Ampuero e il loro gabinetto pinochetista, che governeranno il Cile, non hanno la capacità di guidare l’attacco contro il Venezuela.
Proprio come Giamaica era la scala più importante del tour di Tillerson in termini diplomatici, in termini operativi, la Colombia era la tappa più strategica per mettere a punto i dettagli dell’aggressione. Basti citare i seguenti fatti.
Se accettiamo la ben nota massima di Von Clausewitz che ‘la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi’, cui Lenin aggiungerà ‘… con mezzi violenti’, ci sarebbe da dire che, per usare dei termini militari, ‘l’ordine di combattimento è stato dato’. Dalla Colombia (non è noto se Santos o lo stesso Tillerson) hanno ordinato all’opposizione venezuelana di non firmare l’accordo raggiunto con il governo a Santo Domingo, testimoni il presidente dominicano Danilo Medina e l’ex-primo ministro spagnolo Jose Luis Rodríguez Zapatero. Se le cose stanno così, dovremmo accettare il fatto che, quando Santos, Macri e altri vassalli vociferano che non riconosceranno i risultati delle elezioni venezuelane, stanno dicendo all’opposizione che, anche in caso di loro vittoria, non saranno riconosciuti, perché l’unica strada che accetteranno è quella della guerra. Da qui, l’ordine di non firmare l’accordo.
La preparazione della guerra è già iniziata. Nella regione di Catatumbo, dipartimento Norte de Santander, al confine con il Venezuela, in particolare nelle città di Tibu e Tarra, gruppi armati illegali hanno preso il controllo della sicurezza, senza che i militari, la polizia o le istituzioni statali facciano nulla per evitarlo, come le vittime di queste bande armate hanno denunciato. Questi gruppi terroristici hanno approfittato della scomparsa del 33° Fronte delle FARC, che operava in quella zona, per compiere le loro azioni in totale impunità. Nel frattempo, a Villa del Rosario, nello stesso dipartimento, il gruppo armato ‘Los pelusos’ e le sedicenti Autodefensas Gaitanistas de la Colombia (AGC) combattono per cercare di prendere il controllo di sei quartieri (Galán, La Palmita, Pueblito Español, Montevideo, Primero de Mayo e San José) di questa città di 90 mila abitanti, dove sono stati dispiegati per preparare l’invasione del Venezuela sotto gli occhi dell’esercito e delle autorità dello Stato colombiano.
Nella stessa Cúcuta, in otto delle dieci municipalità che conformano il casco urbano della città, si segnala la presenza di bande armate. Allo stesso modo, i paramilitari hanno aree sotto controllo in Los Patios, Villa del Rosario, San Cayetano, La Parada, Juan Frío, Uchema, Palo Gordo, Ragonvalia e Puerto Santander, sotto il comando di ‘Cochas’, alias Luis Jesús Escamilla Melo, capo dell’Esercito Paramilitare di Norte de Santander (EPN). Anche nelle città di frontiera operano Los Rastrojos. In Venezuela c’è già una presenza a Llano Jorge e a San Antonio del Táchira. Nonostante le numerose richieste della cittadinanza al governo nazionale, ai governi regionali e municipali, le autorità chiudono sospettosamente gli occhi su quest’evidente oppressione della cittadinanza e sulla minaccia al Venezuela.
Per giunta, si sono osservate mobilitazioni nelle basi militari statunitensi in Colombia e l’arrivo di un contingente di 415 membri della forza aerea degli Stati Uniti a Panama, giunti nel paese in modo illegale, senza che il governo autorizzasse la loro presenza nel paese, come denunciato dall’analista politico panamense Marco A. Gandásegui; come anche si devono considerare come parte di questi preparativi le manovre navali Tradewinds 2017 nelle Barbados nel giugno dell’anno passato (a meno di 1100 km dalle coste venezuelane) e le esercitazioni militari AmazonLog17 nell’Amazzonia brasiliana, con la partecipazione delle truppe di questo paese (oltre a quelle della Colombia e del Perù) a novembre dell’anno scorso, a solo 700 km dalla fronteira con il Venezuela.
La teoria più elementare mostra che, indipendentemente dalla definizione un’aggressione militare straniera, il successo dipende dall’esistenza di un fronte interno. Così è stato in Afghanistan, in Iraq e in Libia. Lo Yemen non l’hanno avuto e hanno dovuto assoldare mercenari per fare la guerra, guarda caso il più grande reclutamento è avvenuto in Cile (ex-membri delle forze repressive di Pinochet) e in Colombia (membri dei numerosi gruppi paramilitari che pullulano in quel paese). Il problema è che in Venezuela, gli Stati Uniti non sono stati in grado di costruire quel necessario fronte interno. Nessuno si immagina che Henry Ramos Allup, Julio Borges o Henrique Capriles possano comandare truppe dalla clandestinità o da una qualsiasi montagna sul territorio nazionale. Per questo motivo, hanno cooptato Óscar Pérez, che ha dovuto interpretare il ruolo che, per incapacità dei leader, l’opposizione non riusciva ad assumere. Coloro che non sono stati in grado di dirigere la mobilitazione contro il governo, guidare un parlamento democratico, portare l’insurrezione nelle piazze in vista della vittoria e tanto meno attrarre un settore delle forze armate verso i loro oscuri disegni, difficilmente potranno guidare i destini di un contingente di guerra.
Questo è il compito che il cancelliere imperiale ha dato a Santos, all’oligarchia colombiana e al loro governo. Prima, ai tempi di Obama, gli fu ordinato di fare la pace con le FARC, per smobilitare l’unica forza militare, con l’ELN, che avrebbe potuto contrastare le azioni armate dell’esercito paramilitare protetto da Uribe e Santos.
Eppure, lo show era iniziato prima dell’arrivo di Tillerson a Bogotà: già nel novembre dello scorso anno, Lorenzo Mendoza era in quella città; un mese dopo l’ex-procuratore Luisa Ortega; suo marito; un tale Ferrer; la ‘leader sindacale’ Marcela Maspero e i ‘giudici’ spediti da Ramos Allup e Borges, che vanno in giro per il mondo alla ricerca di cosa fare e come sopravvivere, si sono incontrati sempre a Bogotà prima della fine dell’anno, per cercare di fornire un supporto legale all’invasione. Un mese più tardi, noti personaggi dell’opposizione venezuelana hanno viaggiato a Bogotà e nel comune di Usaquén si sono incontrati con gruppi radicali venezuelani che sono lì concentrati, con il sostegno delle autorità colombiane.
Nello stesso tempo, il ministro dell’Economia della Colombia Mauricio Cardenas diceva a Davos, in Svizzera, ancora una volta, che la caduta di Maduro era imminente e parlava della necessità di un piano economico per affrontare la situazione. Questo è lo stesso ministro, lo stesso governo che non hanno fatto nulla per risolvere il problema degli 8 milioni di deportati e ricollocati del proprio paese, e che non hanno dato risposte alla ricostruzione della città di Mocoa, capitale del dipartimento di Putumayo, quasi un anno dopo la tragedia che l’ha devastata.
Nella stessa ottica, monsignor Héctor Fabio Henao, segretario nazionale della Pastorale Sociale della Colombia e membro dello stesso partito politico che forma la Conferenza Episcopale Venezuelana (la quale, sotto la guida del cardinale Parolin, fa opposizione al Papa Francesco nel Vaticano) cova il suo piano di ‘aiuti umanitari’ per il Venezuela, senza spendere una parola per le migliaia di bambini Wayuu che muoiono tutti i giorni per malnutrizione, le centinaia di attivisti sociali e dei diritti umani uccisi nelle ultime settimane in Colombia, l’ultimo dei quali, Temistocle Machado, ha commosso il paese per la sua leadership e lealtà verso la sua comunità. Né Henao e il suo mentore Santos parlano dei maltrattamenti ai Colombiani che vogliono rientrare dal Venezuela nel loro paese e che sono segregati e torturati, perché hanno accettato di acquisire anche la cittadinanza venezuelana.
Mentre la Colombia cade a pezzi, con una disoccupazione che sta per raggiungere il 10%; una sospensione virtuale del sistema formativo nei prossimi giorni; il crollo del ponte Chirajara, che è caduto, anche se era il progetto vincitore del Premio Nazionale di Ingegneria, ma su cui nessuno dirà nulla (nonostante 9 colombiani innocenti siano morti), perché è stato costruito da Coviandes, una società di proprietà di Carlos Sarmiento Angulo, il più grande miliardario del paese; e quando un personaggio del paese molto, molto in alto (così in alto che si dice che se cade, tutto il paese sarà percorso da un brivido) è protetto vilmente e impunemente dalla sua immunità, in seguito a una denuncia di stupro presentata contro di lui da una nota giornalista, Santos si preoccupa per il Venezuela. La verità è che il suo partito è scomparso, non ha nessun candidato e non si sa cosa farà per garantirsi l’impunità in vista dell’imminente disastro… o, per meglio dire, sì che lo sa: pensa di riscattare le proprie colpe, guidando l’attacco contro il Venezuela per cercare protezione al nord. Ha tempo fino al 10 agosto. Bisogna impedirlo, il popolo venezuelano lo impedirà!
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]
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