Israele uccide in Siria il comandante di Hezbollah, Samir Quntar

da lantidiplomatico 

Questa mattina, l’aviazione militare israeliana ha colpito un edificio residenziale nella città di Jaramana, uccidendo il noto combattente della Resistenza, Samir Quntar.

Secondo i corrispondenti di Al-Manar, aerei da guerra israeliani hanno colpito un edificio con quattro missili a lungo raggio, con la conseguente distruzione completa dell’edificio residenziale e danni parziale alle strutture circostanti, situato a Jaramana, nella campagna di Damasco.

Il dipartimento mediatico di Hezbollah ha rilasciato una dichiarazione, poche ore fa, annunciando il martirio di Quntar, insieme a suo fratello attraverso Twitter.

«Alle 10:15 Sabato 19 dicembre, aerei da guerra sionisti hanno colpito un edificio residenziale nella città di Jaramana nella campagna di Damasco», si legge ne comunicato di Hezbollah.

Samir Quntar era un famoso combattente della Resistenza, arruolatosi nell’Esercito di Liberazione della Palestina, fu arrestato dalle forze di difesa israeliane (IDF) all’età di 16 anni nel 1979 per il suo coinvolgimento in un’operazione militare palestinese.

Sin da ragazzo Samir Quntar era affascinato dalla causa palestinese; questo avrebbe in seguito sviluppato la sua partecipazione, in prima persona, nel conflitto palestinese.

Fu rilasciato insieme ad altri quattro prigionieri libanesi in uno scambio tra Hezbollah e regime israeliano, nel 2008, in cambio dei corpi di due soldati israeliani uccisi durante la guerra del 2006.

 

Organizzazioni palestinesi ribadiscono solidarietà alla Siria

da almayadeen

Gruppi e associazioni della Palestina occupata, dei campi profughi e della diaspora hanno firmato una dichiarazione di solidarietà con la Siria per esprimere il rifiuto totale della guerra contro il paese arabo.

Nel testo si esprime il sostegno alla lotta storica del popolo siriano per la propria sopravvivenza e identifica come proprie le sfide di oggi dei loro fratelli di Damasco.

Abbiamo capito che cosa vuol dire quando le nostre terre e le nostre proprietà vengono usurpate dagli stranieri, quando la nostra gente è espulsa senza possibilità di ritorno, i nostri interessi nazionali e i diritti diventano giocattoli dei paese più potenti della terra. Abbiamo capito cosa vuol dire soffrire e morire per la difesa della nostra sovranità e dei diritti umani, sottolinea il documento.

I firmatari palestinesi del documento riconoscono che i nemici della Siria sono gli stessi nemici della Palestina, e condannano i governi fantoccio al servizio di Israele che vogliono dividere e controllare la regione araba.

La dichiarazione, precisa che coloro che rapiscono, uccidono e commettono stragi in Siria, sono nemici della nazione araba, così come Israele, con i quali condividono gli obiettivi e la natura criminale, e rifiuta la violenza e l’omicidio contro il popolo e lo Stato siriano.

Esprime, inoltre, che la lotta dei palestinesi e dei siriani non sono religiose. Esse sono, aggiunge, le battaglie per il diritto di uno Stato che garantisce la libertà di religione senza preferenza per una sola fede piuttosto che per un’altra. La divisione delle comunità arabe in sette  può solo servire solo al regime israeliano nei suoi sforzi per dominare la regione, si ribadisce.

I rifugiati palestinesi accolgono la politica di fratellanza  del governo siriano nel dare il benvenuto nel loro territorio e di concedere gli stessi diritti dei cittadini, a parte l’esercizio del diritto di voto. Il minimo che possiamo fare è ricambiare la nostra solidarietà con quello che la Siria ha fatto per noi in questi tempi di grande bisogno.

Allo stesso modo, i gruppi palestinesi esprimono la loro opposizione alla politica cinica e genocida della NATO e il suo interesse a prendere in consegna il Medio Oriente. Essi avvertono che l’obiettivo primario dei suoi membri è quello di distruggere le ultime nazioni indipendenti che non sono complici del sionismo e delle forze imperialiste.

È nostro dovere stare accanto alla Siria e a tutte le nazioni e movimenti che resistono agli invasori e cercano un percorso indipendente e una politica per il bene e l’interesse dei nostri popoli per non diventare burattini delle potenze straniere.

A loro volta, i gruppi e le associazioni palestinesi riaffermano il loro impegno per appoggiare la Siria nei suoi sforzi per respingere gli invasori stranieri e dei paesi che stanno creando, addestrando e sostenendo gruppi terroristici in Siria e nella regione.

La dichiarazione chiede di espellere i gruppi terroristici che invadono i loro paesi e invita i suoi sostenitori a dedicare i loro sforzi per migliorare la vita dei propri popoli, piuttosto che distruggere la vita dei siriani e dei palestinesi.

Infine, si condanna Israele e i suoi lacchè per i loro crimini contro l’umanità, i governi che sostengono guerre illegali contro Stati e popoli sovrani, Palestina, Siria, Libia, Iraq, Libano e Yemen devono essere perseguiti.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

NSA: Israele responsabile dell’uccisione di un generale siriano

da al manar

Israele è responsabile per l’omicidio, avvenuto nel 2008, del generale siriano Mohammed Suleiman, un uomo molto vicino al presidente Bashar al-Assad. Lo rivela un documento dell’agenzia dell’intelligence statunitense, NSA, citato dal sito web The Intercept.

L’attribuzione dell’assassinio ad Israele è stato rivelato in un documento interno della NSA, fornito dall’ex consulente Edward Snowden.

Il documento NSA, un estratto di Intellipedia, un database interno per il servizio di intelligence, indica che l’omicidio sia stato commesso da un commando della marina israeliana nella città costiera di Tartous.

Questo assassinio è il primo esempio conosciuto di un attacco di Israele contro un funzionario di un governo legittimo, secondo il documento NSA.

Nel 2010, WikiLeaks aveva pubblicato un cablogramma degli Stati Uniti sostenendo che la Siria già sospettava che Israele fosse responsabile per l’assassinio del generale.

Il Generale Sleiman è stato ucciso la notte del 1 agosto 2008 dai cecchini nella sua villa sul bordo delle acque di Tartous, mentre riceveva gli ospiti.

Il Generale aveva fama di essere un punto collegamento del governo siriano con Hezbollah in Libano.

Secondo gli USA affermano, Sleiman era legato al complesso di Al-Kibar, distrutto nel settembre 2007 da con il pretesto che fosse una centrale nucleare in costruzione.

Mohammed Sleiman è stato l’interlocutore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), nelle indagini sulle ambizioni nucleari siriane.

Secondo la rivelazione, NSA ha stabilito la responsabilità di Israele nella morte del generale attraverso l’intercettazione delle comunicazioni israeliane.

L’uccisione di Mohammed Suleiman, avvenne sei mesi dopo quella a Damasco di Imad Mughniyeh, il principale comandante militare di Hezbollah, rimasto ucciso in un attentato con un’autobomba, tipico marchio delle uccisioni di Israele.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Primo ministro siriano: La Palestina resta la causa principale della Siria

da sana.sy

Il Primo ministro siriano, Wael al-Halqui nell’incontro con il Seretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando generale, Ahmad Jibril, ha dichiarato che la Palestina resta la questione per la Siria, che difende le cause arabe cruciali.

Ha aggiunto che i siriani continueranno la loro battaglia con l’asse della resistenza, chiarendo che l’entità sionista è un partner principale nella guerra terroristica globale condotta contro la Siria, fornendo ogni tipo di sostegno alle organizzazioni terroristiche, in coordinamento con gli altri gruppi criminali di Erdogan e alcuni paesi occidentali e regimi arabi corrotti.

A sua volta, Jibril ha ribadito il sostegno dei siriani al popolo palestinese nella sua lotta contro il terrorismo, sottolineando che i palestinesi non dimenticano i sacrifici fatti dalla Siria per la Liberazione della Palestina,

Va notato che il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-CG aveva fatto un appello lo scorso marzo a tutte le fazioni palestinesi per adottare una posizione unitaria nell’affrontare le organizzazioni terroristiche nel campo palestinese di Yarmouk a Damasco.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Nasrallah: «Siriani, noi Hezbollah saremo sempre al vostro fianco»

da al manar

Il segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ancora una volta ha assicurato che l’offensiva contro le Yemen dell’Arabia ha subito una sconfitta schiacciante ed evidente, mentre il popolo yemenita è uscito chiaramente vittorioso.

Parlando in diretta sul canale televisivo Al-Manar, Sayyed Nasrallah ha chiamato coloro che sostengono il raggiungimento degli obiettivi dell’offensiva di nominare uno degli obiettivi raggiunti.

Per lui, l’offensiva saudita continua e ha preso una piega più pericolosa con il maggiore sostegno di al-Qaeda e il divieto di consegna degli aiuti umanitari al popolo yemenita.

In Iraq, Sayyed Nasrallah ha lanciato l’allarme contro gli Stati Uniti per la fornitura di armi ai curdi e ai sunniti scavalcando il governo iracheno. «Una misura che è un preludio alla divisione del paese e che tutti devono combattere», ha avvertito.

Ribadendo il sostegno iraniano, russo e degli Hezbollah in Siria, ha denunciato la campagna di notizie false da parte dei media, ha assicurato che «vincere una battaglia non significa vincere tutta la guerra».

Riguardo il Libano, Sayyed Hassan Nasrallah ha dichiarato che la battaglia del Qalamoun avrà luogo e che Hezbollah non fornirà dettagli. L’obiettivo è la protezione della popolazione, mentre lo stato non è in grado di farlo.

Di seguito, le linee essenziali del discorso televisivo di Sayyed Nasrallah:

«40 giorni fa, l’Arabia Saudita ha dichiarato guerra allo Yemen. 26 giorni dopo la coalizione ha annunciato la fine dell’offensiva dell’operazione” Tempesta”e il passaggio a “Restore Hope”».

«Hanno parlato degli obiettivi e hanno sostenuto che la coalizione li ha raggiunti per passare all’operazione successiva. Da allora, l’assalto continua. Siamo davanti a una grande e pericolosa campagna di disinformazione», ha aggiunto.

«Pretendere che il conseguimento degli obiettivi dell’offensiva è la più grande truffa che ha avuto luogo. Gli alleati dei sauditi hanno accolto con favore i risultati dell’offensiva. Sfortunatamente, i media hanno scatenato una loro offensiva. Hanno cominciato a celebrare la vittoria saudita, ma mi citatemi un solo obiettivo realizzato, un successo ottenuto».

«L’Arabia ha restaurato la presunta legittimità nello Yemen? É riuscita a fermare l’avanzata dell’esercito yemenita? Ha disarmato Ansarullah come ha sostenuto? Nulla è stato fatto. L’Arabia è stata in grado di rafforzare la sua posizione in Yemen? No.»

«Datemi un obiettivo e o uno della lista che sostengono di aver raggiunto.

Siamo di fronte ad un fallimento plateale saudita e yemenita vittoria netta. La tenacia e l’unità del popolo yemenita sono dietro questa vittoria. Parliamo della prima operazione».

«La seconda operazione è stata chiamata “Restore Hope” per nascondere i primi fallimenti. Hanno creato grandi obiettivi che richiedono molto tempo e un’incursione terra. Essi fissano un nuovo elenco di obiettivi raggiungibili e modesti questa volta».

 Tra questi obiettivi, citiamo:

  1. Avviare il processo politico.
  2. Continuare a proteggere i civili.
  3. Garantire la fornitura di aiuti internazionali.
  4. Fermarei  movimenti militari Houthi e impedire loro di usare le armi sequestrate nei depositi.
  5. L’esecuzione di un’azione internazionale per privare di armi gli Houthi.

Il vero obiettivo è quello di portare lo Yemen alla dominazione saudita, altrimenti distruggerà il suo popolo.

I sauditi possono affermare che gli obiettivi sono stati raggiunti. In pratica, i sauditi hanno abbassato il target dei loro obiettivi. Essi sostengono di difendere il popolo yemenita, ma allo stesso tempo, lo stanno bombardando.

Dall’inizio dell’operazione Restore Hope, i sauditi hanno bombardato le case con l’uso di bombe a grappolo, vietate, armi molto pericolosi, che ancora soffriamo in Libano.

Lotta al terrorismo: essi forniscono armi ad al-Qaida e garantiscono la sua espansione. Bombardano le posizioni dell’esercito per evitare che la loro avanzata in zone controllate da al-Qaeda!

Hanno bombardato l’aeroporto per vietare agli aerei il trasporto di aiuti umanitari alla popolazione yemenita.

Invece di permettere agli organismi internazionali di organizzare un dialogo in un luogo neutrale, Abd Rabbo Mansour Hadi ha invitato al dialogo in Arabia Saudita. Ciò complica le cose e dimostra che l’Arabia non è alla ricerca di una soluzione politica alla crisi.

SIRIA

Quando  i gruppi armati hanno conquistato Idlib, abbiamo affrontato una campagna di false voci sulle pagine dei social network. La guerra psicologica è stata condotta per gioire di ogni exploit nemico per distruggere il morale della popolazione. Queste voci si basano su elementi confessionali.

Dopo la caduta di Jisr el-Choughour, hanno sostenuto che il governo siriano è finito,  che l’esercito è crollato, che gli alleati hanno abbandonato la Siria, che la situazione è molto complicata. Hanno detto che molti alawiti si dirigono verso il confine libanese e che gli Hezbollah metteno pressione sul governo libanese per consentire loro di entrare. Tutto questo è senza fondamento.

È una guerra psicologica che vuole fiaccare il morale del popolo siriano, al fine di raggiungere gli obiettivi che non sono stati raggiunti negli anni della guerra.

  1. Che nessuno presti attenzione a queste voci. I siriani devono rendersi conto che questa è una guerra psicologica, e non è nuova. Le circostanze in Siria quattro anni fa erano ancora più difficili e non sono girate queste voci.
  2. 2- Che cosa si dice circa la posizione iraniana non è vero. Alcuni giorni fa, Sayed Khamenei ha ribadito che il suo paese sta negoziando solo per il nucleare e non lascerà mai sola la Siria. Anche la Russia ha ribadito il suo sostegno al suo alleato. Cercate i fatti sul terreno per capire se il piano crolla. Come si può sostenere che il governo sta crollando, mentre nuovi successi sono raggiunti? In guerra, vincendo una battaglia non significa vincere la guerra. Ciò che accadde in Idlib è una vittoria di una battaglia non della guerra. Noi abbiamo vinto numerosi altri combattimenti. La situazione cambierà a Idlib inchallah con i continui combattimenti. Ma ciò che è incredibile, avviene in Libano, alcune partiti sono davvero ansiosi di festeggiare qualsiasi vittoria, e quando capiscono la situazione sul terreno, si rendono conto che non c’è nemmeno un grande risultato da celebrare.
  3. Caro popolo siriano, noi di Hezbollah, confermiamo che saremo sempre al tuo fianco, e saremo dove dobbiamo essere. Siamo andati in Siria sulla base di una valutazione chiara e logica, secondo cui i gruppi terroristici cercano di distruggere la Siria, il Libano e l’intera regione. Immaginate cosa avrebbero fatto se questi gruppi avessero trionfato in Siria.

 

LIBANO

Diverse questioni importanti da discutere: le minacce israeliane, la situazione interna, la paralisi degli organi costituzionali, la situazione della sicurezza nella periferia sud, gli omicidi di alcuni fratelli di Ain el-Helwe.

Oggi voglio parlare solo della situazione sul terreno Anti-Libano e vedere le altre domande per il prossimo discorso:

Per quanto riguarda Qalamoun: Quando dissi qualche tempo fa che la “neve che si scioglie”, ho detto che il Libano si trova ad affrontare una scadenza.

 

Contrariamente alle affermazioni dei media di opposizione, queste osservazioni sono state fatte prima degli ultimi sviluppi in Jisr el-Shughour, e quindi, non hanno nulla a che fare con gli eventi recenti.

 

Eravamo consapevoli delle intenzioni dei gruppi armati che stavano progettando di compiere attentati in Libano. Vedete dopo lo scioglimento della neve, questi gruppi hanno lanciato attacchi e uccidono persone in Libano, come è il caso in Aarsal.

Circa l’Anti-Libano, non stiamo parlando di una minaccia virtuale, ma un’offensiva efficace attraverso attacchi contro postazioni dell’esercito, l’occupazione di gran parte del Jurd, gli attacchi permanenti contro l’esercito contro i civili ad Aarsal, il protrarsi della prigionia dei soldati libanesi, il bombardamento della regione e le minacce di continuare tali attentati. Quindi, queste minacce sono effettive, reali.

INCAPACITÀ DELLO STATO LIBANESE

Lo stato non è in grado di affrontare questa minaccia. Non è in grado di liberare i soldati o proteggere le aree esposte ad attacchi terroristici. È chiaro che lo Stato non è in grado di proteggere la patria.

Di fronte a questo fallimento, noi ci assumeremo questa responsabilità. Non abbiamo fatto alcuna dichiarazione ufficiale sui piani di Hezbollah. Sì, ci sono i preparativi che il popolo osserva. Non abbiamo parlato della grandezza di questa battaglia, o quando avverrà e dei suoi obiettivi. Questa battaglia si svolgerà, e Hezbollah non vuole aggiungere dettagli.

Quando l’operazione inizia, tutti potranno comunicare i fatti sul terreno. Non è nel nostro interesse parlare dei dettagli della prossima battaglia.

Certamente stiamo assistendo all’intimidazione e alle critiche, come quella che la resistenza deve garantire l’unanimità delle forze politiche. Se aspettiamo l’unanimità, non ci sarà alcuna resistenza, né contro l’occupante sionista né contro gruppi terroristici.

Si tratta di un dovere religioso e patriottico che tutti devono prendere. Alcune forze politiche ci sostengono, che ringraziamo. Quanto a noi, ci sacrifichiamo per proteggere il nostro popolo.

A coloro che hanno finanziato i gruppi armati non hanno alcun valore, applicano una versione distorta dell’Islam, e sono una minaccia per tutti e una minaccia per l’Islam.

Nel frattempo, e fino a quando l’altra parte non si capirà il pericolo dei gruppi takfiristi, ci affidiamo a Dio ed è Lui che ci darà la vittoria in ogni grande battaglia che ha l’obiettivo di proteggere i luoghi santi e la patria. La vittoria è quindi una vittoria divina.

La pace di Dio sia con voi.

[Trad. dal francese per ALBAinformaizone di Francesco Guadagni]

 

Siria: i media rivelano l’appoggio di Israele ai terroristi

da hispantv

Il canale 2 della TV del regime israeliano ha pubblicato, ieri, una relazione che documenta come un terrorista, ferito in Siria, abbia finito il processo di cura e riabilitazione in un ospedale nel nord dei territori occupati ed è tornato a combattere nel paese arabo.

«Preciso che i feriti (i terroristi) vanno in Siria dai territori palestinesi occupati per ricevere le cure e non in Giordania», ha spiegato alla televisione israeliana, Hisham, membro di un gruppo terroristico.

Secondo il presentatore del programma, l’equipe medica ha inventato un nuovo metodo, evitando di tagliare il piede ferito a Hisham.

D’altra parte, come ha documentato il canale di notizie in lingua araba Al-Alam, l’analista degli affari militari del Canale 1 israeliano, Amir Barshalom ha rivelato, nella sua relazione pubblicata lo stesso giorno, ha rivelato che l’esercito israeliano non ha risposto a un proiettile lanciato dalla Siria che ha colpito una regione a nord dei territori palestinesi occupati.

«L’esercito utilizza sistema di intercettazione che traccia il percorso da cui è stato lanciato il missile, si trattava di una zona sotto il controllo degli oppositori l governo siriano, per questa ragione si è preferito non rispondere», ha dichiarato Barshalom

Dall’inizio della crisi in Siria nel 2011, il regime di Tel Aviv, secondo la stampa israeliana, ha fornito assistenza medica a più di 1.400 terroristi nei loro ospedali nei territori palestinesi occupati, per un costo di circa 10 milioni di dollari.

Nel mese di settembre 2014, Il canale di notizie Vice News ha trasmesso un video in cui si vede come che i soldati danno assistenza medica per i terroristi feriti in Siria.

Il quotidiano israeliano Haaretz nel mese di gennaio ha confermato i rapporti sull’ampio sostegno del regime israeliano ai gruppi terroristici legati ad Al Qaeda sulle alture del Golan, che il regime di di Tel Aviv ha annesso nel 1981 ai territori occupati.

Il sostegno ai terroristi sionisti è stato evidenziato ancora una volta nel mese di marzo, quando il canale di notizie iraniano, in lingua inglese, Press Tv, ha rilasciato nuove immagini in merito.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformaizone di Francesco Guadagni]

Siria, i terroristi si congratulano con Israele per il giorno della Nakba

da hispantv

Il gruppo terroristico Ahrar Siria, ieri, si è congratulato con il regime israeliano per il 67° anniversario dell’occupazione sionista delle terre palestinesi.

Secondo il quotidiano israeliano Maariv, Musa Ahmad al-Nabhan, un alto funzionario dell’ufficio politico del gruppo terrorista ha inviato un messaggio a nome dell’organizzazione, nel quale si congratula con le autorità israeliane per i 67 anni di mantenimento dell’occupazione dei territori palestinesi. Il 23 aprile è considerato il giorno dell’indipendenza del regime Israele.

Nella sua lettera ha anche espresso la speranza che il prossimo anno questa giornata si celebri presso l’ambasciata israeliana a Damasco.

Si noti che, secondo il calendario ebraico, gli israeliani considerano 23 aprile come il giorno della creazione del regime israeliano, mentre, per il calendario gregoriano, è il 15 maggio, giorno della fondazione di questo regime, tuttavia, i palestinesi lo conoscono come la Giornata della Nakba (la catastrofe).

Nel messaggio del gruppo terrorista citato da Maariv, si legge: « A nome mio e per conto del movimento Ahrar Souriyya, mi congratulo con Israele e il suo rispettabile popolo per commemorare il 67° anno di indipendenza, nella speranza che si celebrerà questa importante occasione l’anno prossimo nel parco di l’ambasciata israeliana a Damasco, dopo aver lasciato dall’asse del male guidato dall’Iran e dai suoi adepti nella regione, con il regime nazista di Assad alla sua testa che ha portato in Siria e milizie terroristiche per mettere in cattiva luce la rivoluzione siriana al mondo libero ed impedire così di portarle solidarietà, che minaccia la sicurezza e la stabilità nella regione e in tutto il mondo».

Questo contatto dell’opposizione siriana con il nemico sionista non è il primo del suo genere. Durante le ultime elezioni israeliane, questo gruppo è stato tra i primi a congratularsi con il primo ministro Benjamin Netanyahu. Compreso Abu Adnan, Presidente dell’Unione dei Rivoluzionari siriani de l’Avenir.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

(VIDEO) Naji: «La Causa palestinese è centrale per la Siria»

da sana.sy

Sotto il patrocinio del Ministero degli affari esteri e della riconciliazione nazionale, si è svolta l’assemblea popolare palestinese, a Damasco, con il titolo “I nostri campi sono la porta d’ingresso al nostro ritorno”, per riaffermare il diritto al ritorno e il supporto per la Siria.

Nel comunicato finale della riunione, i partecipanti hanno chiesto di unificare la posizione politica palestinese sulla guerra alla Siria respingendo quella negativa che mina la causa palestinese.

Inoltre, i partecipanti hanno condannato la posizione ambigua adottata da alcune fazioni palestinesi e la marginalizzazione del loro ruolo nella battaglia nazionale condotta dalla Siria contro il progetto coloniale di dividere la patria araba.

Nel suo intervento, il ministro siriano per la Riconciliazione nazionale, Ali Haydar, ha dichiarato che la causa palestinese resterà la questione centrale per la Siria, rendendo noto che i siriani e i palestinesi affrontano lo stesso terrorismo.

«Entrambi i popoli, palestinese e siriano, hanno lo stesso progetto rappresentato dalla Resistenza e non intendono fare sconti» ha aggiunto.

Da parte sua, il vice segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale, Talal Naji, ha affermato che il diritto al ritorno è l’essenza della causa palestinese e l’attaccamento a questo diritto garantirà la vittoria.

Inoltre, ha indicato che l’obiettivo delle reti terroristiche nei campi profughi palestinesi in Siria è quello di annullare il diritto al ritorno del popolo palestinese.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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Israele, Arabia Saudita, USA, Iran e la nuova congiuntura politica

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di Achille Lollo, da Roma, per il Correio da Cidadania, 10 Aprile 2015  

Nel giorno in cui, a Losanna, il Segretario di Stato degli U.S.A. John Kerry si incontrava con il Ministro degli Affari Esteri iraniano, Mohammed Javad Zari, per definire i punti dell’accordo sulle limitazioni delle attività dei centri di ricerca nucleare iraniana e, quindi, per impostare i termini per il riesame graduale delle sanzioni economiche, l’Arabia Saudita, con il sostegno politico dell’Egitto, del Bahrain, degli Emirati Arabi Uniti, della Giordania e del Sudan, e il supporto logistico della Gran Bretagna, della Francia e della Turchia, ha trasferito 12.000 soldati lungo il confine con lo Yemen, mentre i suoi cacciabombardieri hanno attaccato ripetutamente la capitale Sana’a e altre città controllata dai ribelli Houthi.

Dopo una settimana, il 1 aprile, il presidente yemenita Abd Rabbo Mansur fuggiva in Arabia Saudita, mentre le milizie Houthi finivano di conquistare la città portuale strategica di Aden, nel sud. Eppure, l’aviazione dell’Arabia Saudita ha intensificato “il bombardamento a tappeto” usando piloti egiziani, pakistani e giordani, che si sono alternati con i sauditi nella guida dei sofisticati F-15 e F-16 della Forza Aerea Saudita, monitorati da ufficiali della US Air Force (statunitense), di stanza nelle basi aeree di Woomern, Dhahra, Taif e Ryiad. Da parte loro, i piani di volo sono stati preparati nella base segreta che la CIA ha creato in Arabia Saudita nel 2011, per guidare le missioni degli aerei telecomandati detti “droni”, contro i campi di AlQaeda della penisola arabica (AQAP).

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), i bombardamenti della prima settimana hanno provocato la morte di 361 persone e il ferimento grave di altre 1.345. Tuttavia, il 7 aprile, i morti già erano più di 600, mentre 2.200 persone sono state ricoverate in ospedali con gravi ferite. A causa dei continui attacchi aerei, il personale dell’OCHA stimava il numero di rifugiati in una decina di migliaia di persone.

Immediatamente, il New York Times, la CNN, Al-Jazeera TV e il quotidiano Al Sharq al Awsat, (pubblicato a Londra), interagendo con le “eccellenze dell’intelligenza” della Casa Bianca e della Casa Reale saudita, sono riusciti a guidare il 90% della stampa mondiale, creando la favola dell’”intervento armato dell’Arabia Saudita, per tenere fuori l’Iran dallo strategico Yemen e quindi difendere la libertà di movimento nel Mar Rosso, in particolare del petrolio destinato ai paesi dell’Unione Europea.

Una favola, che è, in realtà, il coronamento di una serie di azioni politiche e militari che gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, e soprattutto Israele hanno praticato negli ultimi trenta anni, per realizzare i loro progetti strategici e tenere sotto diretto controllo la situazione politica del Medio Oriente. Tuttavia, questa situazione, nel corso degli ultimi quattro anni, ha subito numerosi cambiamenti – alcuni traumatici da un punto di vista umanitario e anche istituzionale – tanto che oggi nel Medio Oriente abbiamo:

1) una guerra confessionale, promossa dall’ISIS (Stato islamico) in Iraq e in Siria;

2) una guerra tribale in Libia, dove l’Arabia Saudita finanzia l’Egitto per difendere il governo di Tobruk, mentre la Turchia e il Qatar finanziano il governo islamico di Tripoli e le milizie jihadiste;

3) una guerra fondamentalista in Mali e in Nigeria;

4) una guerra di aggressione in Siria promossa e alimentata dalla Turchia, dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dalla NATO;

5) una “guerra di liberazione” in Afghanistan, promossa dai talebani contro la presenza delle truppe americane e della NATO;

6) una guerra a bassa intensità nel Bahrain, con un perenne stato di assedio non dichiarato, in cui l’opposizione sciita chiede riforme istituzionali ed economiche, nei confronti di un governo monarchico che sopravvive grazie alla “copertura” dell’intelligentia saudita;

7) una guerra di liberazione nella regione curda della Turchia, organizzata dal PKK, che propone anche la formazione di una confederazione di Stati curdi, formata con pezzi di territorio della Turchia, della Siria, dell’Iraq e dell’Iran;

8) una guerra di liberazione in Palestina e a Gaza, fortemente repressa da Israele con l’appoggio degli Stati Uniti e della NATO, in modo da evitare la creazione dello Stato palestinese;

9) una ribellione diffusa in Yemen, dove il movimento ribelle degli Houthi (che rappresenta il 40% della popolazione di religione sciita) ha rovesciato il corrotto presidente Abd Rabbo Mansur Had, sostenuto dall’Arabia Saudita e, per motivi religiosi, riconosciuto dalla maggioranza sunnita;

10) una guerra di polizia in Egitto (finanziata dall’Arabia Saudita), dove l’esercito, dopo il colpo di stato contro il presidente Morsi, perseguita spietatamente i membri della Fratellanza Musulmana e delle sette salafite.

È basandosi su questo scenario che il presidente degli U.S.A. Barack Obama ha autorizzato l’apertura di negoziati con l’Iran, a Losanna in Svizzera, per definire la trasformazione dei centri di ricerca nucleare militare iraniana in centrali nucleari ad uso civile, ma sotto il controllo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Accordo che i tecnici degli U.S.A. e dell’Iran, sotto la supervisione di membri della Russia, della Cina e della Gran Bretagna, della Francia e della Germania rappresentanti l’Unione Europea, dovranno portare a termine nel mese di giugno. Dopo, l’accordo sarà ratificato a Washington e a Teheran, per diventare operativo nel 2016. Quando anche le sanzioni economiche cominceranno a essere abolite.

Dopo 12 anni di inutili tentativi, l’accordo finalmente firmato a Losanna, ha fatto esplodere le contraddizioni, politiche e geo-strategiche, che la diplomazia e l’opportunismo politico degli Stati Uniti, di Israele, dell’Arabia Saudita e della Turchia erano riusciti a tenere nascoste e rimosse con il beneplacito dei “media mainstream“.

L’azione pragmatica degli U.S.A.

Prima di entrare nei dettagli dell’accordo e delle questioni congiunturali del Medio Oriente, è necessario prendere in considerazione un nuovo elemento: lo sfruttamento massiccio dei depositi di scisto bituminoso negli Stati Uniti, con la tecnica del fracking, che pur distruggendo l’ambiente di intere regioni, garantirà agli U.S.A. l’auto-sufficienza energetica, permettendo loro in tal modo di liberarsi dalla dipendenza dalle forniture di petrolio e di gas dell’Arabia Saudita e di altri produttori del Medio Oriente.

Tuttavia, il lavoro di ricerca e l’estrazione di shale gas e shale-oil sono economicamente vantaggiosi solo quando i prezzi dell’Arabian-light, dell’Iran-light e del Brent Oil fluttuano sui mercati tra i 90 e i 120 dollari al barile.

Pertanto, è necessario ricordare che la prospettiva dell’autosufficenza energetica degli U.S.A. è svanita con la caduta del prezzo del barile di petrolio, che è sceso fino ai 50 dollari. Un avvenimento che, secondo Thomas Friedman, l’editorialista Premio Pulitzer del New York Times, “ha molto a che vedere con l’Arabia Saudita, le cui banche sarebbero dietro le operazioni di ribasso del prezzo del barile e del gas nel mercato, con lo scopo di provocare una crisi finanziaria in Russia, responsabile per l’irriducibile resistenza del presidente Bašhār al-Assad in Siria, dopo quattro anni di sanguinosa guerra civile e della crescita dell’influenza politica dell’Iran in Medio Oriente”.

Il celebre editorialista del NYT non ha precisato che l’eminenza bianca di questo gioco al ribasso, che ha quasi distrutto l’economia del Venezuela, è il potente ministro degli Interni dell’Arabia Saudita, il principe Mohammed bin Nayef, nominato lo scorso mese di febbraio vice-principe ereditario, cioè secondo nella linea di successione al trono del re Salman. Anche i “media mainstream” non dicono che i prezzi del barile sono scesi subito dopo che Barack Obama ha rifiutato l’appello del potente principe Mohammed bin Nayef a invadere la Siria e, così, ad abbattere definitivamente il regime del presidente Bašhār.

Questo fatto ha stimolato le eccellenze della Casa Bianca e lo stesso Barack Obama ad avanzare nella complessa congiuntura del Medio Oriente, utilizzando sempre più le arme del pragmatismo geo-politico, al posto dei rigidi concetti delle alleanze strategiche con Israele e con l’Arabia Saudita. Un pragmatismo necessario, anche, a cancellare l’illogica e a volte inconcepibile capricciosità di Hillary Clinton, come anche l’intervenzionismo di George W. Bush.

È stato in questo contesto che il Secretario di Stato degli U.S.A., John Kerry, ha appoggiato la rivendicazione del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen (originariamente Mahmud Abbas), provocando una dura reazione in Israele. In secondo luogo, la Casa Bianca ha autorizzato i generali del Pentagono a predisporre il rafforzamento dei Pasdaran (guerriglieri) del Curdistan, la rapida riorganizzazione dell’esercito iracheno e la formazione di un corpo di intervento aero-tattico per iniziare a bombardare le posizioni dell’ISIS in Iraq e in Siria.

Al di là di questo, è stato dato un beneplacito ufficioso a che il generale iraniano Qassim Suleimani si piazzasse nella regione di Tirkut, con un importante distaccamento di truppe speciali della Guardia Rivoluzionaria, per spezzare la resistenza degli uomini dell’ISIS. Anche questo fatto ha provocato dure reazioni a Ryad, soprattutto da parte del principe Mohammed bin Nayef, ministro degli Interni, secondo il quale, “in questo modo, l’Iran aumenterà la sua sfera di influenza in Medio Oriente”.

In seguito, gli U.S.A. si sono allontanati definitivamente dal caos della Libia, vietando qualsiasi intervento da parte dei paesi della NATO. Un atteggiamento che ha fatto infuriare il ministro degli Interni dell’Arabia Saudita, il principe Mohammed bin Nayef, visto che il re Salman aveva, finalmente, ufficializzato l’aiuto finanziario per la sopravvivenza del governo di Abdullah al-Thani, rifugiato a Tobruk, insieme con l’intervento dell’esercito egiziano e il sostegno delle operazioni delle milizie dell’ex-generale Khalifa Haftar nella regione di Benghazi.

In seguito e senza chiedere l’opinione dei governanti dell’Arabia Saudita, di Israele e della Turchia, la Casa Bianca ha riconosciuto che per sconfiggere definitivamente l’ISIS bisognava estendere il raggio d’azione dei caccia-bombardieri F-15 e F-16 al centro e al nord della Siria. Questo fatto ha riabilitato la collaborazione tattica con l’esercito di Bashar al-Assad, nonostante la necessità di bombardare gli accampamenti della maggioranza delle bande dei ribelli siri, che avevano disertato dall’ELS (financiato dal 2012 dalla CIA) per aderire all’ISIS.

In questo contesto, anche i combattenti sciiti dell’Hezbollah libanese (Partito di Dio), impegnati a contenere l’avanzamento dell’ISIS in direzione del Libano, come anche il generale iraniano Qassim Suleimani, sono stati momentaneamente ritirati dalla lista dei gruppi terroristi ricercati dall’ONU. Per questo, il leader della destra sionista Benjamin Netanyahu ha criticato duramente il presidente Barack Obama che, in risposta, il giorno 17 marzo, si è rifiutato di incontrarlo a Washington.

L’esplosione di rabbia del sionista Benjamin Netanyahu e del saudita Mohammed bin Nayef, di fronte ai microfoni dei giornalisti in seguito alla firma dell’accordo di Losanna, ha stimulato ancora di più lo spettacolo mediatico, dal quale Barack Obama è uscito vincente, recitando il ruolo del buon pacifista, mentre Netanyahu, il suo ministro della Difesa, Moshe Yaa/lon, e l’ex-direttore dell’IDI (Israeli Defense Intelligence), il Maggior-Generale Amos Yadin, sono rimasti discreditati per avere minacciato di bombardare i centri di ricerca nucleare iraniani. Non soddisfatto, Yadin ha rivelato che Israele aveva pianificato l’attacco all’Iran nel 2005 e, adesso, lo stesso (piano) si è guadagnato l’appoggio dell’Arabia Saudita, che ha autorizzato l’uso di uno speciale corridoio aereo per permettere agli aerei israeliani di sopravvolare il territorio saudita e attaccare l’Iran.

Ma la rabbia mediatica di Netanyahu è rientrata, quando il presidente Barack Obama ha dichiarato: “Gli Stati Uniti sempre difenderanno Israele e le sanzioni economiche contro l’Iran saranno ritirate solamente quando i responsabili dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica confermeranno che l’Iran ha implementato tutto il processo di desmilitarizzazione dei suoi centri di ricerca nucleare, secondo quanto stabilito a Losanna”. Dichiarazioni che hanno fatto rientrare il discontento del leader sionista Benjamin Netanyahu, ma hanno fatto infuriare ancora di più il potente principe Mohammed bin Nayef.

I prossimi tre mesi saranno determinanti per il destino politico del presidente Barack Obama e, soprattutto, per il futuro del Partito Democratico, che pretende di candidare Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del 2016. Per questo, la firma dell’Accordo Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP) con l’Unione Europea, la continuazione delle negoziazioni per la definizione dell’Accordo Transpacifico per il Commercio e gli Investimenti (TPIP) con i paesi asiatici (escludendo la Cina, il Vietnam, la Corea e e l’India), la chiusura dell’Accordo Generale sui Servizi Pubblici (TISA), la campagna per la sconfitta dell’ISIS in Iraq e in Siria, come anche la ratifica dell’ Accordo con l’Iran, saranno gli elementi politici fondamentali dell’attività politica di Barack Obama nel suo ultimo semestre alla Casa Bianca, quando, per legge, non potrà più presentare decreti o prendere iniziative senza l’approvazione del Congresso.

In relazione al Trattato con l’Iran, bisogna dire che le “eccellenze” della Casa Bianca, questa volta, hanno optato per affidarsi totalmente agli studi strategici forniti dagli analisti del Pentagono, senza, per questo, consultare i governi di Israele e dell’Arabia Saudita. In pratica, per i generali statunitensi, in questo momento, il nemico principale non è più l’Iran o la Siria, ma, sì, l’ISIS. È stato in quest’ ottica che il Pentagono ha anteposto tre condizioni per poter annientare i battaglioni di Al-Bagdabi:

1) nella retroguardia irachena e siriana, i movimenti e i partiti sciiti e curdi devono accettare il ruolo della Coalizione anti-ISIS guidata dagli U.S.A., come anche la funzione del sostegno aereo e organizzativo degli Stati Uniti all’esercito iracheno (sciita) e al curdo;

2) il governo dell’Iran parteciperà alla campagna contro l’ISIS, inviando “volontari” nella regione di Tirkut, al fianco delle unità dell’esercito regolare dell’Iraq;

3) i combattenti sciiti dell’Hezbollah libanese (alleati dell’Iran) dovranno difendere la frontiera sirio-libanese, insieme ai battaglioni del presidente siriano Bašhār al-Assad.

Oltre a ciò, gli analisti della CIA hanno presentato vari rapporti sull’opportunità di promuovere, già all’inizio del 2015, la negoziazione con l’Iran, per i seguenti motivi:

  1. a) se gli sforzi diplomatici degli U.S.A. e dell’Unione Europea non riescono a congelare i progetti nucleari iraniani, nei prossimi cinque anni l’Iran sarà in condizioni di costruire piccole bombe atomiche;
  2. b) se, durante il governo del moderato Hassan Rouhani – che è stato eletto il 4 giugno 2013 con appena il 52,7% -, le relazioni con gli U.S.A. e l’Occidente non si normalizzassero, nel 2018 i conservatori rieleggeranno alla presidenza Mahmud Ahmadinejad e, con lui, l’Iran potrà avere la bomba atomica, creando una situazione difficilissima per Israele, la Turchia e l’Arabia Saudita;
  3. c) la borghesia iraniana, che ha votato in massa per Rouhani, spera che l’accordo con l’Occidente sulla riconversione dei progetti nucleari possa finalmente liberare i fondi iraniani bloccati nelle banche europee e statunitensi, oltre a poter ritornare ad esercitare in Iran un importante ruolo politico e economico;
  4. d) il governo iraniano ha bisogno di un accordo con gli U.S.A. e l’Unione Europea per tornare a sfruttare tutte le sue riserve di gas e di petrolio, che attualmente hanno ridotto la sua produzione a quasi il 65%, a causa delle sanzioni economiche.

Il risultato delle negoziazioni di Losanna ha dato ragione a Obama, che ha conquistato la fiducia (e il voto) dell’influente elettorato degli Ebrei liberali statunitensi, riuscendo a dividere il fronte dei conservatori repubblicani, dal momento che il prossimo presidente degli U.S.A. dovrà sciogliere tra il mantenimento del trattato, o correre il rischio dell’esplosione di una guerra nucleare tra Israele e l’Iran, a partire dal 2018.

Il blábláblá elettorale, ahimè efficace, di “Bibi”

Il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu, notoriamente soprannominato “Bibi”, dopo la quarta vittoria elettorale a capo del partito della destra sionista, il Likud, può essere considerato il principale rinnovatore delle campagne elettorali israeliane che, dal 1996, sono diventate più statunitensi nello stile coreografico, nella gestione finanziaria e, soprattutto, in termini di contenuti politici. In pratica, con “Bibi” il sionismo è diventato proiezione politica e istituzionale del popolo giudeo in Medio Oriente. Conseguentemente, la storica logica teocratica dei sionisti, “il popolo ebreo è un popolo eletto da Dio”, è stata trasformata in una specifica missione geo-politica, secondo la quale “lo Stato di Israele deve essere assolutamente forte, per imporre al mondo il fatto di essere il popolo eletto da Dio”.

Questo spiega, chiaramente, perché l’Esercito di Israele sa che può massacrare liberamente i Palestinesi a Gaza e segregarli in Cisgiordania, visto che al Ministero della Difesa, ma anche negli accoglienti condomini giudaici costruiti nelle terre espropriate illegalmente ai Palestinesi, tutti sanno che gli U.S.A. e i paesi dell’Unione Europea non permetteranno che “il popolo eletto di Israele” soffra le sanzioni o le indagini del Tribunale Penale Internazionale dell’Haja.

Per questo, dal 2002, il Mossad e l’IDI (Intelligence Militare) si riservano la possibilità di realizzare un bombardamento selettivo in Iran, per distruggere tutti i centri di ricerca del progetto nucleare (Natanz, Isfahan, Kom e Fordo) e le centrali di Bushehr e Arak. Del resto, qualcosa di simile già era successo con l’Iraq, quando governava Saddam Hussein.

“Bombardamenti selettivi preventivi” che sono tornati a essere attuali subito dopo i primi contatti del Segretario di Stato degli U.S.A., John Kerry, con il ministro degli Affari Esteri dell’Iran, Mohammed Javad Zari. Allo stesso tempo, il primo ministro sionista, Benjamin Netanyahu, autorizzava il Mossad a contattare il principe saudita Mohammed bin Nayef, per stipulare con l’Arabia un’alleanza segreta allo scopo di permettere all’aviazione sionista e ai missili Jerico I e Jerico II di sorvolare tranquillamente lo spazio aereo saudita, e così permettere agli F-15 e F-16 israeliani di realizzare le operazioni di bombardamento in Iran senza dover effettuare un prolungato rifornimento in aria.

In questo clima di allarmismo mediatico, l’Huffington Post ha riutilizzato lo scoop che il sito Ynet, del giornale israeliano Yedioth Ahronot, ha pubblicato nel 2012, rivelando i dettagli di un possibile attacco aereo all’Iran. Per questo, molti commentatori hanno parlato di “un concreto raffreddamento delle relazioni tra Israele e gli U.S.A. nel 2015”. Ed è stato in questo clima che i media mainstream hanno raccontato molte favole, arrivando persino a inventare una rottura tra Israele e gli U.S.A., a causa del Trattato con l’Iran.

Favole che sono state smentite, quando gli U.S.A. hanno garantito al governo israeliano l’ incolumità di sempre e il proseguimento dell’accordo per la fornitura annuale di 3,7 miliardi di dollari in attrezzature per l’esercito sionista. Un contesto che l’animale politico chiamato “Bibi” ha sfruttato saggiamente nella campagna elettorale, giocando la carta del preteso tradimento e abbandono da parte dell’Occidente, per poi giurare di fronte ai giornalisti che, una volta reeletto, “impedirà la farsa dell’ Iran”, oltre a promettere “la costruzione di sempre più pilastri giudaici nelle terre palestinesi”, sottolineando che “mai accetterà la proclamazione di uno Stato Palestinese”. Parole che hanno fato sbavare gli “eletti di Dio”, che sono tornati a sognare il Grande Israele, come ai tempi di Sharon e dei suoi carri armati a Beirut.

In realtà, l’obiettivo principale del blablablá arrabbiato di Benjamin Netanyahu non era Barack Obama o la Casa Bianca, ma gli elettori sionisti di Israele. Una massa amorfa che ha bisogno di rimanere molto impressionata, per motivare la sua opzione elettorale. Praticamente, è quello che “Bibi” ha fatto in queste ultime elezioni, dimostrando che gli U.S.A. e Israele sono come il gatto e la volpe nel romanzo di Pinocchio.

Il potente principe Mohammed bin Nayef

In Arabia Saudita, la politica internazionale, la lotta anti-terrorismo e le esportazioni di idrocarburi sono gli elementi chiave del lavoro del Ministro degli Interni, il potente principe Mohammed bin Nayef, da febbraio anche nominato vice-principe ereditario del re Salman. Pertanto, è lui che decide la direzione politica dell’Arabia Saudita, e non i 600 principi della corte.

Nonostante abbia ricevuto una formazione occidentale nell’università Lewis & Clark di Portland, nello stato dell’Oregon (U.S.A.), il principe Mohammed bin Nayef non si è azzardato a volere modernizzare il fondamentalismo del wahabismo, in funzione del quale la casa reale saudita pretende di continuare a essere la “guida spirituale” di tutti i sunniti del Medio Oriente.

Del resto, è sulla base di questa concezione politica e teocratica che il principe Mohammed bin Nayef sta tentando di imporre la supremazia geo-strategica dell’Arabia Saudita in Medio Oriente, intervenendo, direttamente o indirettamente, in sette paesi: 1) nella guerra civile della Siria; 2) promuovendo il colpo di Stato in Egitto; 3) esigendo la repressione della Fratellanza Mussulmana nei paesi del Magreb e della Penisola Araba; 4) intervenendo nella guerra tribale della Libia; 5) pianificando la destabilizzazione del Libano; 6) invadendo lo Yemen per impedire ai ribelli sciiti Houthi di consolidarsi al potere a Sana’a e ad Aden; 7) moltiplicando gli artifici diplomatici per minimizzare l’influenza politica dei governi sciiti dell’Iran nel Medio Oriente.

È necessario dire che la logica fondamentalista del wahabismo ha fatto sì che la monarchia saudita rifiutasse i programmi e le manifestazioni della gioventù a favore delle riforme politiche e socio-economiche nei paesi arabi e contro le quali il re Salman e, soprattutto, il principe Mohammed bin Nayef hanno deciso di ingaggiare una guerra infinita fino alle ultime conseguenze.

Il moderato Hassan Rouhani e la direzione della borghesia iraniana

Per gli omosessuali, l’Iran è uno Stato fascista e omofobico, siccome reprime gravemente la comunità gay, ma, per gli analisti politici liberali, la nazione persiana è uno Stato dove il fondamentalismo sciita si è modernizzato per convivere con una borghesia occidentalizzata, ma anche nazionalista. Questo connubio ha fatto sì che gli ayatollah continuassero a esercitare un ruolo di stretto controllo su questa borghesia, riconoscendogli, pertanto, un importante ruolo dirigente nello sviluppo economico della società iraniana.

In pratica, negli ultimi venti anni, l’equilibrio tra le aspirazioni della borghesia e il controllo politico degli ayatollah ha garantito un’effettiva stabilità politica, che ha permesso ai governanti iraniani di modellare un tipo di sviluppo nazionalista per la società iraniana. Così, essa è stata capace di resistere e adattarsi alle restrizioni economiche e finanziarie imposte dagli U.S.A. e dall’Unione Europea.

Per questo, l’accordo con gli U.S.A. presenta letture differenti:

1) la borghesia liberale crede che, dopo l’accordo, tornerà a gestire il flusso di investimenti delle transnazionali, parte interessatissima a riattivare l’import-export con l’Iran, che è una nazione con 80 milioni di consumatori;

2) la nuova borghesia, che si è formata e si è arricchita creando alternative alle sanzioni, è inquieta e ha paura di perdere le prerogative e i privilegi che i governi degli ayatollah gli hanno concesso;

3) i conservatori più intellettualizzati hanno il sospetto che l’apertura economica e il ritorno delle trasnazionali occidentali potrà indebolire i valori della Rivoluzione komeneista;

4) i settori popolari sperano che con questo accordo il governo possa finalmente riaprire le fabbriche, investire nelle riforme infra-strutturali e, conseguentemente, elevare il livello di vita dei contadini, del proletariato e di una massa enorme di lavoratori disoccupati.

Bisogna dire che quasi tutte le trasnazionali europee, soprattutto le tedesche e le francesi, anche con gli effetti delle sanzioni economiche, hanno mantenuto in Iran tutte le loro filiali. Da parte sua, le banche europee e statunitensi sperano la fine delle sanzioni per potere lucrare con la movimentazione dei 155 miliardi di dollari iraniani, attualmente congelati per effetto delle sanzioni. Al di là di ciò, il mercato crede che, con il ritorno dell’Iran alla produzione di 4 milioni di barili di petrolio al giorno, e di una quantità immensa di gas, i prezzi degli stessi raggiungeranno una stabilità definitiva, dal momento che il volume del potenziale produttivo dell’Iran sarà l’antidoto contro i capricci delle monarchie dell’Arabia Saudita, del Qatar e del Kuwait.

Il processo di riconversione dei centri di ricerca nucleari militarizzati è stato uno degli elementi centrali del programma elettorale di Hassan Rouhani, che ha vinto le elezioni per un millimetrico 2,70%. Tuttavia, è bene sottolineare, che questa proposta non è stata una strategia del marketing elettorale. Al contrario, con questo accordo, l’Iran potrà, finalmente, avere la sua industria nucleare civile, con la quale produrrà energia elettrica per muovere il suo parco industriale, alimenterà la domanda dei centri urbani, oltre a sviluppare l’elettrificazione rurale. D’altro canto, garantirà allo Stato iraniano un duplice risparmio, non dovendo più investire nel processo di arricchimento clandestino del plutonio e dell’uranio e, anche, risparmiare il petrolio e il gas che oggi sono destinati alle centrali termo-elettriche.

In questo contesto, la presenza del generale Qassim Suleimani e delle truppe speciali della Guardia Rivoluzionaria nella regione di Tirkut sono state una “giocata da maestro” del presidente Hassan Rouhani, perché sarà con questo tipo di soldati, professionalizzati e motivati dal punto di vista religioso, che la coalizione anti-ISIS guidata dall’Iraq e dagli U.S.A. potrà finirla una buona volta con gli battaglioni jihadiisti di Al-Bagdahad. Infatti, non è stato casuale che nelle ultime settimane, dopo l’arrivo dei “volontari” iraniani, i combattenti jihadisti dell’ISIS sono stati espulsi dalla città di Tirkut, dopo violenti combattimenti dove… non ci sono stati prigionieri!

 

Achille Lollo è un giornalista italiano, corrispondente di Brasil de Fato in Italia, editorialista del Correio da Cidadania e curatore del programma TV “Quadrante Informativo”.

[Traduzione dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Israele preoccupato: cosa nasconde Hezbollah?

da al mayadeen

Il sito web israeliano, “agenzia di stampa Walla”, ha pubblicato un rapporto che elenca le potenzialità di Hezbollah con dettagli e analisi;  inoltre, si afferma che l’esercito pone la guerra contro Hezbollah tra le sue priorità e che il prossimo scontro militare sarà totalmente diverso.

Cosa nasconde Hezbollah? Missili con potenziale maggiore che possono raggiungere Israele e il Ministero della sicurezza con grande precisione? Possiede combattenti addestrati che sanno infilarsi nelle gallerie e l’aviazione israeliana potrà affrontare queste difficoltà? Sulla base di queste domande si può dire, la prossima guerra con Hezbollah potrebbe essere completamente differente, in quanto, le forze armate sioniste sono consapevoli che un nuovo conflitto con il Movimento di resistenza libanese- che ha sviluppato un potenziale significativo in tutti i settori – sarà molto più difficile.

Per quanto riguarda le forze di terra, si sostiene che i combattenti di Hezbollah sono ben addestrati, hanno un’ottima esperienza di combattimento e un alto grado di autocontrollo; inoltre, il movimento ha una tecnologia avanzata per raccogliere informazioni.

In merito alle forze aeree, Hezbollah ha missili anti-aereo, tra cui missili “stinger” di fabbricazione americana, lancia razzi a spalla “Strela”,  missili Igla che costituiscono una vera minaccia per gli elicotteri israeliani e oltre centinaia di droni.

Nel rapporto non si trascura la capacità marina di Hezbollah, oltre ad avere missili di tipo C-802, possiede gli Yakhont, mentre un ufficiale della marina israeliana stima che Hezbollah abbia messo in cantiere l’utilizzo di tunnel sottomarini. Per quanto riguarda la potenza missilistica, Israele ipotizza che Hezbollah possieda 700 missili a lungo raggio, 5.500 a medio raggio, 100.000 a corto raggio e vi è la possibilità che disponga dei missili Fateh 110.

Secondo i calcoli dell’esercito israeliano, Hezbollah in una giornata può lanciare:

1000 missili a corto raggio

50 missili con un raggio di 250 km

10 missili che possono raggiungere Dimona.

Infine, in aggiunta a tutto questo, la relazione si sofferma nell’analisi e nelle caratteristiche del segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, che è riuscito, secondo un esponente militare di alto livello, a trasformare il partito in una delle organizzazioni più potenti al mondo. Non solo, si sottolinea come Nasrallah sia un esperto, non solo della realtà islamica e della sicurezza, ma anche in molti altri settori, tra cui la sua conoscenza delle paure della società israeliana, i suoi componenti e la personalità dei suoi leader.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

WSJ: Gli ospedali israeliani accolgono i terroristi dell’Isis

da al manar

Secondo il quotidiano statunitense, “Wall Street Journal”, Israele ha aperto le sue frontiere con la Siria al fine di fornire cure mediche ai terroristi dell’Isis, del Fronte al-Nusra, di al-Qaeda e di altri gruppi takfiri che sono rimasti feriti nei combattimenti in corso contro l’esercito siriano.

 Il noto quotidiano statunitense ha riferito che Israele «non si è preoccupato di aprire ad al Nosra la sua zona di confine la scorsa estate» lungo le alture del Golan.

Amos Yadlin, l’ex capo dell’intelligence militare, che è attualmente in corsa per diventare ministro della difesa per l’Unione sionista, qualora vincesse le elezioni politiche in Israele la coalizione guidata da Isaac Herzog, ha dichiarato al Journal che Hezbollah e Iran «sono la principale minaccia per l’entità sionista, molto più che i radicali islamisti sunniti, anche loro un nemico. Questi elementi sunniti che controllano circa i due terzi al 90% della frontiera sul Golan non stanno attaccando Israele. Questo vi dà modo per pensare chi è il loro vero nemico, forse non è Israele», riporta testualmente il Wall Street Journal le parole di Yadlin.

Il fatto che la zona di confine tra Israele e la Siria, lungo le alture del Golan, sia rimasto in gran parte tranquilla, ha scatenato accuse che i terroristi takfiri siano sostenuti dall’entità sionista.

«Alcuni in Siria scherzano: Come puoi dire che al-Qaeda non ha una forza aerea? Hanno l’aviazione israeliana», ha detto Assad in un’intervista alla rivista Foreign Affairs all’inizio di quest’anno. «Loro stanno sostenendo i ribelli in Siria. È molto chiaro», aggiunse Assad.

Il Wall Street Journal ha citato “un funzionario militare israeliano”, che ha affermato come la maggior parte delle persone prese in cura sono ribelli armati che combattono il governo siriano.

«Noi non chiediamo chi siano, non offriamo nessuna protezione» ha spiegato il funzionario. Ed ha aggiunto: «Una volta che li abbiamo curati, li portiamo alla frontiera e vanno per la loro strada».

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Siria, l’Esercito avanza a Sud. Al Nosra allo sbando.

da al manar

Si torna al triangolo Quneitra – Deraa – Damasco: l’esercito siriano ha lanciato la sua seconda offensiva nel sud della Siria e ​ieri, è stato fatto un importante passo avanti.

 La battaglia è stata innescata venerdì sera, ad una cinquantina di miglia a sud-ovest di Damasco, l’esercito è andato avanti e ha preso tre villaggi, tra cui il Habbariyé e diverse colline, Kherbet-Sultaneh e Hamrit nella provincia settentrionale di Deraa.

Habbariyé, non lontano dalla località Der al-Adas, (che era stata liberata durante la prima offensiva lanciata due settimane fa), occupa una posizione strategica perché apre la strada per il villaggio di Kfar Nassej, dove sono posizionati gruppi armati, per poi continuare, in seguito, verso la collina di Tal-al Harat, una posizione molto delicata.

Secondo il corrispondente del canale al-Manar, l’esercito siriano ha condotto un attacco su larga scala, con attacchi di aria e di terra, attraverso bombardamenti e spari intensivi. Dopo aver conquistato Habbariyé, l’avanzava è proseguita su più fronti, contemporaneamente, rompendo le trincee dei terroristi.

Prima di questo paese, le truppe regolari avevano preso il controllo di una collina nel governatorato di Souweida, Tal al-Majdaa, vicino al confine con la Giordania, riporta il quotidiano libanese as-Safir.

In questo modo, una coltre di fuoco ha colpito tutta la via di rifornimento per le fazioni armate nelle zone di Souweida orientale.

I residenti hanno raccontato all’AFP che l’attacco ha sorpreso i ribelli, molti dei quali morti o fuggiti. Secondo il corrispondente canale al-Manar, sono fuggiti verso il villaggio di Herat.

Per il cosiddetto Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH), l’esercito è stato assistito da Hezbollah, dai consulenti delle Guardie Rivoluzionarie iraniane e da “miliziani sciiti iracheni.” La presenza di quest’ultimo gruppo non è stata confermata da una fonte indipendentemente.

Fonti della sicurezza citate da al-Manar hanno spiegato che l’operazione ha lo scopo di garantire le province della capitale, quelle del sud, dell’est e dell’ ovest. Permettendo anche di tagliare il passaggio e le forniture tra la provincia di Deraa e Quneitra, dove ci milizie che hanno istituito una zona cuscinetto, con il sostegno del nemico israeliano.

Questa sconfitta per i terroristi è arrivata dopo la morte di un importante capo militare di Al Nosra a sud, noto come Abu Omar al-Ourdoni (giordano), ucciso in combattimento con l’esercito nella provincia occidentale di Deraa.

È stato lui che ha guidato la battaglia su entrambi i fronti di Daraa e Quneitra.

La sua morte coincide con quella del giudice religioso di Al Nosra in questa regione, Abu al-Jarrah al-Jarzi, così come l’ attivista Mohammad Kteich, eliminato nei pressi del villaggio di Kfar Shams.

Nel pomeriggio di sabato, il corrispondente di Al Manar ha registrato un importante avanzamento dell’esercito nella regione di Kamechli, dove le truppe governative, con l’aiuto delle forze dei comitati popolari, hanno liberato otto villaggi in meno di 24 ore.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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