Il presidente Maduro: «Le proteste sono il segnale che gli Stati Uniti vogliono il nostro petrolio»

di Pier Paolo Palermo

Caracas, 09mar2014.- Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha accusato gli Stati Uniti di usare una serie di proteste di strada per orchestrare un golpe al rallentatore, in stile ucraino, contro il suo governo e mettere le mani sul petrolio venezuelano.

In una intervista esclusiva per il The Guardian ha sostenuto che quello che lui chiama una rivolta dei ricchi fallirà, poiché la Rivoluzione Bolivariana del Venezuela è più profondamente radicata ora che non quando respinse il colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti contro Chávez nell’anno 2002.

Il Venezuela ha dovuto far fronte a continue proteste violente fin dall’inizio del mese di febbraio, proteste che cominciarono quando i leader dell’opposizione lanciarono una campagna per far cadere Maduro sotto lo slogan “la salida”.

«Cercano di vendere al mondo l’idea che in Venezuela ci sono proteste, una specie di Primavera Araba», ha dichiarato. «Ma in Venezuela abbiamo già avuto la nostra primavera: la nostra Rivoluzione, che ha aperto il cammino alla Venezuela del XXI secolo».

Il conflitto è costato la vita a 39 persone ed è stato un importante banco di prova per il governo di Maduro.

Gli Stati Uniti negano di essere coinvolti e dichiarano che il Venezuela sta usando la scusa di una minaccia di colpo di stato per prendere misure decise contro l’opposizione. Human Rights Watch e illustri rappresentanti della Chiesa Cattolica del Venezuela hanno condannato la gestione delle proteste da parte del Governo, mentre Amnesty International ha denunciato violazioni dei diritti umani da entrambe le parti.

Maduro ha sostenuto che il Venezuela sta affrontando un tipo di guerra non convenzionale che gli Stati Uniti hanno perfezionato nel corso di decenni, e ha menzionato una serie di colpi di stato o tentativi di colpo di stato appoggiati dagli Stati Uniti dal 1960 (Brasile) fino al 2009 (Honduras).

Il leader sindacale, che ha rilasciato queste dichiarazioni dal Palazzo di Miraflores, ha detto che l’opposizione ha avuto come obiettivo quello di paralizzare tutte le principali città del paese, copiando un po’, in modo pessimo, quello che è successo in Ucraina, dove iniziarono a bloccare le arterie principali delle città fino a rendere ingovernabile Kiev e l’Ucraina, e far cadere il governo democratico. L’opposizione venezuelana aveva un piano simile.

Cercano di ingigantire i problemi economici attraverso una guerra economica, per provocare scarsità di prodotti sui mercati e stimolare un’inflazione fittizia.

Inoltre, creano problemi di carattere sociale, disturbi, insoddisfazione politica e violenza, e cercano di trasmettere l’immagine di un paese in fiamme per giustificare un processo di isolamento internazionale e perfino l’eventualità di un intervento straniero.

Parlando dei sostanziali miglioramenti della protezione sociale e della riduzione della disuguaglianza durante l’ultimo decennio e mezzo, Maduro ha dichiarato che all’epoca in cui era sindacalista non esisteva un solo programma per proteggere l’educazione, la salute, il diritto alla casa e i salari dei lavoratori. Era il regno del capitalismo neoliberista. Oggi in Venezuela è la classe operaia a sostenere la stabilità politica della Rivoluzione: è il paese in cui i ricchi protestano e i poveri celebrano la loro felicità sociale.

Il recente rilassamento dei controlli sulla moneta sembra aver avuto un effetto positivo, l’economia continua a crescere e il tasso di povertà continua a diminuire.

Circa 2.200 persone sono state fermate (190 sono ancora agli arresti) durante i due mesi di rivolte in cui i leader dell’opposizione hanno chiamato a infiammare le strade con la lotta.

Alla domanda su quanta responsabilità per gli omicidi spetta al Governo, Maduro ha risposto che il 95% delle morti sono state dovute a gruppi di estrema destra sulle barricate, e ha usato come esempio i tre motociclisti morti a causa di un cavo teso dai manifestanti da una parte all’altra della strada. Maduro ha dichiarato di aver istituito una commissione per fare chiarezza su ogni singolo caso.

Secondo il Presidente venezuelano i mezzi di comunicazione globali si sono abituati a promuovere la realtà virtuale di un movimento di studenti che viene represso da un governo autoritario. Quale governo non ha commesso errori politici o economici? Ma questo giustifica che si brucino università o si rovesci un governo democraticamente eletto?

Le proteste, che hanno avuto luogo in zone benestanti, hanno visto appiccare incendi a edifici del Governo, università e stazioni degli autobus. Leopoldo López, che partecipò al golpe del 2002, e due sindaci sono stati arrestati e accusati di incitamento alla violenza.

Maduro ha insistito che questo non vuol dire criminalizzare il dissenso. L’opposizione ha garanzie assolute e diritti. Abbiamo una democrazia aperta. Ma se un politico commette un crimine, chiama a rovesciare un governo legittimo e usa la sua posizione per bloccare strade, bruciare università e trasporti pubblici, i tribunali agiscono di conseguenza.

Il mese scorso il Segretario di Stato statunitense John Kerry ha dichiarato che il Venezuela sta portando avanti una campagna di terrore contro i suoi stessi cittadini. Tuttavia, l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) e gli stati appartenenti al Mercosur hanno appoggiato il Governo del Venezuela e hanno esortato al dialogo politico.

Quando si è chiesto al Presidente del Venezuela che prove avesse di un coinvolgimento nordamericano nelle proteste, Maduro ha risposto: «Non sono sufficienti cento anni di interventi in America latina e nei Caraibi, contro Haiti, il Nicaragua, il Guatemala, il Cile, Grenada, il Brasile? Non è sufficiente il tentativo di golpe dell’amministrazione Bush contro Chávez? Perché gli Stati Uniti hanno 2.000 basi militari nel mondo? Per dominarlo. Ho detto al presidente Obama che non siamo più il suo giardino di casa».

Maduro ha fatto notare che le prove del coinvolgimento passato e presente degli Stati Uniti in Venezuela si trovano nelle comunicazioni raccolte da Wikileaks, le dichiarazioni di Edward Snowden, e in alcuni documenti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Questi documenti includono comunicazioni dell’ambasciatore nordamericano in cui si tratteggiano i piani americani per dividere, isolare e penetrare il governo di Chávez, così come gli ingenti fondi che il governo degli Stati Uniti ha trasferito all’opposizione venezuelana durante l’ultimo decennio (alcuni attraverso agenzie come la USAID e l’Office for Transitional Initiatives), fra cui 5 milioni di dollari per un sostegno diretto nel corrente anno fiscale.

Le accuse del presidente Maduro arrivano una settimana dopo la rivelazione che USAID ha finanziato segretamente un sito web dedicato alle reti sociali dal quale si è incoraggiata la protesta politica e si sono appoggiati tumulti a Cuba, paese alleato del Venezuela, sotto il titolo “assistenza per lo sviluppo”. Alcuni rappresentanti della Casa Bianca hanno riconosciuto che questi programmi non sono esclusivamente per Cuba.

Il Presidente ha reso noto che accetterebbe una mediazione del Vaticano, se l’opposizione condanna la violenza. Tuttavia respinge le accuse che tanto lui quanto il movimento chavista avrebbero polarizzato troppo il confronto.

«Io non credo che in una democrazia la polarizzazione sia sbagliata. Sembra che sia di moda, da qualche tempo, cercare di trasformare la polarizzazione in una malattia. Magari si polarizzassero tutte le società democratiche del mondo. Una democrazia può funzionare solo se la società è politicizzata».

«La politica non è per poche élite di un partito di centro-sinistra e un partito di centro-destra, e le élite che si spartiscono la ricchezza», dice Maduro.

«In Venezuela c’è una polarizzazione positiva perché c’è una politicizzazione generale e le grandi masse prendono posizione sulle politiche pubbliche. Bisogna accettare che c’è una polarizzazione negativa che mira a disconoscere l’esistenza dell’altro, ad eliminare l’altro. Noi crediamo che questa polarizzazione negativa bisogna superarla con il dialogo nel paese».

 

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