Napoli 2feb2018: Con la Corea Popolare!

da Associazione Resistenza 

Dall’inizio del 2017 la Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord) è oggetto di minacce militari da parte degli imperialisti USA e dei loro servi, accompagnate dall’inasprimento delle sanzioni economiche da parte dell’ONU. I media mainstream sostengono a loro volta questa operazione con una martellante campagna di denigrazione, falsificazione e ridicolizzazione dell’esperienza coreana (di cui la sinistra borghese è complice): una vera e propria propaganda di guerra finalizzata a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’invasione del paese.

La verità è che la resistenza della RPDC, del suo Partito del Lavoro e del popolo rafforza la rinascita del movimento comunista internazionale e di quello antimperialista perché contrasta il disfattismo seminato dalla sinistra borghese e infonde coraggio e fiducia in tutti coloro che lottano contro l’imperialismo ed i suoi sostenitori, i veri terroristi e criminali di guerra della nostra epoca.

Questo Paese eroico dimostra, infatti, con la propria lunga storia che è possibile resistere agli imperialisti USA e ai loro servi per affrontare situazioni estremamente difficili: sono riusciti a restare in piedi nonostante la guerra appositamente dimenticata del 1950-53, l’occupazione del Sud del paese da parte degli USA, le sanzioni economiche, le provocazioni continue, il crollo o cambiamento di colore del resto dei primi paesi socialisti. Sono riusciti inoltre a dotarsi di un proprio armamento nucleare come deterrente rispetto alle invasioni e attacchi degli imperialisti, facendo tesoro delle lezioni provenienti dall’invasione dell’ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan e Libia.

Il 2 febbraio prossimo alle ore 16.30, presso l’aula Matteo Ripa dell’Università Orientale, parleremo del conflitto che cambiò le sorti della penisola coreana agli studenti e a tutti gli interessati nell’iniziativa organizzata dall’associazione Resistenza in solidarietà con la Repubblica Popolare Democratica di Corea.

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L’epidemia da oppiacei negli USA

pillsdi James Petras e Robin Eastman-Abaya

24.01.2018.- Come si uccide un milione di lavoratori

Introduzione

Il legame tra capitalismo e droga risale alla metà del 19mo secolo, quando l’Impero Britannico impose il suo surplus di raccolto dell’oppio dalle sue colonie dell’Asia meridionale al mercato cinese, che ne aveva bandito l’uso e la vendita, creando una domanda di massa da parte di milioni di tossicodipendenti. Il governo cinese, che aveva vietato l’uso e la vendita dell’oppio, fu allarmato dal crescente caos sociale creato dalla dipendenza di massa ed entrò in guerra contro le potenze occidentali per fermare l’invasione di droga. La loro sconfitta per mano dei Britannici e dei loro alleati signori della droga cinesi aprirono la Cina allo sfruttamento e alla spoliazione sistematica del secolo successivo. Gli oppiomani cinesi furono un enorme ostacolo all’organizzazione della resistenza nazionale. In sostanza, la Compagnia Britannica delle Indie Orientali e i suoi protettori imperiali trasformarono la Cina nel più grande ‘cesso’ della storia – fino a quando una straordinaria rivoluzione non ha spezzato le catene della dipendenza e della degradazione.

Nel 21mo secolo, un simile processo di deterioramento si è verificato all’interno degli Stati Uniti. L’‘epidemia da prescrizione di oppiacei’ sta devastando le famiglie americane, i quartieri, le comunità, le città e gli stati – lacerando l’intero tessuto della società americana, in particolare nelle zone rurali, minerarie ed ex-manifatturiere della ‘cintura della ruggine’. Centinaia di migliaia di vittime, per la maggior parte della classe lavoratrice, sono morte e milioni di tossicodipendenti, incapaci di resistere alla distruzione del proprio futuro, sono subentrati a una forza lavoro una volta potente.

Studi ufficiali del governo stimano in quasi 700.000 i morti dal 1999, sulla base degli sparsi e  incompleti rapporti dei medici legali e dei certificati di morte, che contribuiscono alla definizione delle statistiche di vita negli Stati Uniti. Non c’è uniformità nella raccolta dei dati e nessun interesse nello sviluppo di un sistema nazionale uniforme, su cui formulare politiche sociali. Molto probabilmente, ulteriori centinaia di migliaia di morti per droga sono passate non registrate o attribuite a condizioni mediche ‘pre-esistenti’, suicidi e incidenti – nonostante sia chiara nelle vittime l’evidenza di sovra-prescrizione di narcotici e sedativi.

L’epidemia di oppiacei negli Stati Uniti è responsabile in gran parte del ‘declino del numero dei rappresentanti della forza-lavoro tra i lavoratori della prima età’, secondo la testimonianza del Presidente della Federal Reserve Janet Yellen, una nominata di Obama. Si stima che il 15% dei lavoratori edili degli Stati Uniti soffrano di abuso di sostanze. I costi crescenti del ‘Suboxone’ e altre forme di trattamento della dipendenza da stupefacenti minacciano di far fare bancarotta ai piani sanitari di diversi sindacati edilizi. La carenza di lavoratori edilizi qualificati porta inoltre i datori di lavoro a richiedere un maggior numero di lavoratori immigrati per colmare il divario.

Per oltre due decenni, il numero crescente di morti da overdose da oppiacei è stato ignorato da entrambi i partiti politici, così come da scrittori e accademici di sinistra e di destra. I medici e gli amministratori ospedalieri sono stati o attivamente complici o hanno negato. Ma, cosa più importante, l’amministrazione federale della droga (FDA) ha continuato ad approvare la produzione, la commercializzazione e la prescrizione di narcotici e sedativi altamente produttori di dipendenza a decine di milioni di pazienti americani, con l’industria farmaceutica che accumulava profitti di decine di miliardi, nonostante la devastazione. Tra il 1999 e il 2014, i produttori farmaceutici hanno guadagnato $ 10 miliardi di dollari l’anno in profitti, derivanti dalla vendita e dalla distribuzione di oppiacei.

Nella sezione seguente, discuteremo il quadro più ampio, comprese le potenti forze socio-economiche e politiche, che hanno tratto profitto dalla dipendenza e dall’uccisione di milioni di americani – nel passato e nel presente. Questa politica deliberata, con forti tratti neo-malthusiani, ha decimato un settore della classe operaia statunitense, reso ‘superfluo’ o ridondante dalle decisioni politico-economiche dell’elite dominante americana. Nel suo corso, la crisi di dipendenza da prescrizione ha trasformato ampie fasce dell’ex-settore manifatturiero e minerario degli Stati Uniti in quelli che l’attuale presidente Donald Trump caratterizzerebbe come ‘cessi’ domestici e popolati da coloro che la sua rivale, Hillary Clinton, ha insensibilmente deriso come ‘deplorabili‘. In termini di rapida perdita di vite umane e stabilità sociale, questa devastazione della popolazione rispecchia i modelli osservati nei paesi sottoposti ai dettami economici neo-liberisti o alle invasioni imperiali USA/UE.

La potente elite della dipendenza

 Oggi c’è una frenesia pubblica tra i funzionari del governo che chiedono a gran voce udienze e legislazione, per affrontare la crisi della dipendenza da oppiacei – con le solite soluzioni di più reclusione, costosi centri di trattamento per le dipendenze private,  ‘gruppi di sostegno’ volontari, corsi di auto-aiuto e campagne educative ‘Dici semplicemente no’. Nessun politico ha osato suggerire di educare le vittime riguardo le tendenze socio-economiche e le decisioni delle elites, che hanno devastato le loro vite e comunità e le hanno indirizzate verso la spirale della morte da dipendenza.

Recentemente, alcuni giornalisti di sinistra hanno attaccato l’industria farmaceutica, mentre altri hanno citato la mancanza di supervisione da parte dell’Amministrazione Federale della Droga statunitense, chiedendo alcune tiepide riforme. L’ex-amministratore della FDA David Kessler, che ha prestato servizio sotto il regime Clinton dal 1990 al 1997, ha condannato tardivamente la negligenza della sua agenzia per la distruzione di massa causata da una prescrizione non regolamentata di potenti narcotici, che, ha ammesso dopo 10 anni di silenzio, è stata ‘uno dei più grandi errori in tutta la storia della medicina moderna’, (editoriale NYT, maggio 2016).

Mentre centinaia di migliaia di americani sono stati uccisi da oppiacei e altre centinaia stanno morendo ogni giorno (almeno 65.000 nel 2016), la sinistra degli Stati Uniti e il Partito Democratico si concentrano su problemi di identità di genere ristretti e audizioni fumettistiche, del tipo ‘Russiagate’ – il presunto complotto di Mosca per assumere il controllo delle elezioni presidenziali americane. Mentre promuoveva la sua esperienza nella riforma dell’assistenza sanitaria, la candidata Hillary Clinton, durante la sua campagna, deliberatamente ignorava la crisi della dipendenza da oppiacei, tranne che per caratterizzare le sue vittime, in gran parte bianchi della classe inferiore, come ‘deplorabili’ – razzisti ignoranti e buffoni – che secondo lei meritavano la loro miseria e le loro vite stroncate.

L’’epidemia di droga’ negli Stati Uniti riguarda l’attuale struttura del potere e le relazioni sociali in uno stato sempre più oligarchico, tra crescenti disuguaglianze di classe e immiserimento. Alla sua base, il capitalismo americano del 21mo secolo ha degradato, sfruttato e impoverito i lavoratori statunitensi con crescente intensità negli ultimi due decenni. I lavoratori hanno perso quasi ogni controllo collettivo sul posto di lavoro e in politica. Le condizioni di lavoro e la sicurezza si sono deteriorate – mentre i capitalisti assumono e licenziano a volontà. I salari, le pensioni, l’assistenza sanitaria e le prestazioni in caso di decesso sono stati tagliati o annullati.

Il deterioramento delle condizioni di lavoro è accompagnato da un marcato declino delle condizioni sociali: la famiglia, il vicinato e la vita di comunità sono stati fatti a pezzi. Ansia e insicurezza dilagano tra i lavoratori e i dipendenti. In termini reali, l’aspettativa di vita nelle aree interessate è diminuita. I suicidi tra i giovani e i lavoratori sono alle stelle. La mortalità materna e infantile è aumentata. I giovani americani hanno il 70% in più di probabilità di morire prima dell’età adulta rispetto alle loro controparti in altri paesi ricchi. Nel 2016, il tasso di mortalità per il millennio (età 25-34) è salito a 129/100.000, con 35/100.000 morti causate da overdose narcotica. La carneficina supera i picchi dell’epidemia di AIDS negli Stati Uniti negli anni ‘80. I servizi di protezione dei minori nelle aree rurali e nelle piccole città sonben oltre il punto di rottura, con i bambini trascurati o orfani di tossicodipendenti. Le unità di terapia intensiva neonatale sono sopraffatte dal numero di bambini nati in crisi di astinenza da oppiacei implicanti rischio di vita, dovuti alla dipendenza delle loro madri. Nonostante questo triste quadro, le tasse per i ricchi vengono ridotte e i servizi pubblici decimati.

Nel frattempo, il divario di reddito tra la classe operaia e gli oligarchi si è ampliato ed è emerso un apartheid nell’assistenza sanitaria fortemente connotata in senso classista e nell’educazione. I figli di quel 20% privilegiato hanno accesso esclusivo e prioritario alle università d’elite, basato su legami familiari ed etnici. Le famiglie d’elite, che non hanno bisogno di ‘assicurazione sanitaria’, hanno accesso ai servizi medici più completi e avanzati nel mondo. Nessun medico si sognerebbe di prescrivere irresponsabilmente narcotici a un membro della famiglia di un oligarca.

Queste disuguaglianze sono profondamente radicate:  persone che lavorano nelle aree colpite dall’epidemia da oppiacei ricevono solo cure superficiali e inadeguate, se non incompetenti, da parte di assistenti medici e infermieri sovraccarichi. Sono sottoposti a lunghe attese in fatiscenti reparti d’emergenza e raramente vedono un medico. Praticamente, nessuno ha regolari medici di famiglia. Se sono feriti o doloranti, gli vengono prescritte grandi quantità di narcotici anti-dolorifici a lungo termine – oppiacei, invece delle più sicure, ma più costose terapie fisiche e di farmaci non provocanti dipendenza. Ciò è accaduto con l’approvazione della FDA. Anche gli studenti delle scuole superiori rurali con infortuni sportivi ricevono narcotici, nonostante il noto aumento della suscettibilità alla dipendenza tra i giovani. Le ‘lobby del dolore’, politicamente potenti, finanziate dalle gigantesche società farmaceutiche, hanno incoraggiato questa tendenza per oltre due decenni, generando enormi profitti per i miliardari dirigenti farmaceutici.

I campi di  applicazione dei letali oppiacei in America hanno le loro origini e la loro logica nella convergenza di diverse caratteristiche interrelazionate del capitalismo statunitense. Ciò era dovuto alla ricerca implacabile di profitto da parte delle corporazioni e delle elites, mentre si trasformavano le zone de-industrializzate e agricole del paese in ‘Terzo Mondo’ domestico.

In primo luogo, la classe capitalista ha abbattuto i costi di produzione, limitando l’accesso a un’ assistenza sanitaria di qualità per i lavoratori,  per aumentare i propri profitti. Negli Stati Uniti, questo ha portato milioni di lavoratori a dipendere da narcotici a basso costo e disponibili con prescrizione. Le compagnie di assicurazione fornite dal datore di lavoro negano regolarmente il trattamento non-narcotico più costoso ai lavoratori incidentati e insistono sulla prescrizione di oppiacei economici per riportare i lavoratori sul posto di lavoro.

Gli oppiacei economici sono stati tollerati all’inizio dai piani sindacali di assistenza sanitária per risparmiare soldi, mentre i capi sindacali giravano la faccia di fronte alle migliaia di lavoratori che diventavano dipendendenti.

In secondo luogo, i capitalisti licenziano liberamente i lavoratori che sono incidentati sul lavoro e chiedono un trattamento, costringendo i lavoratori ad evitare le assenze per malattia e ad affidarsi ancora di più agli oppiacei, come l’Oxy-Contin, che ‘Big Pharma’ ha falsamente commercializzato come non produttore di dipendenza.

In terzo luogo, i capitalisti traggono immensi profitti dalle morti premature per overdosee per cause prevenibili correlate tra i lavoratori anziani, perché ciò riduce i costi pensionistici e i pagamenti dell’assicurazione sanitaria. Wall Street ha festeggiato sfacciatamente i miliardi di dollari di attivo per le pensioni e l’assistenza sanitaria risparmiate dall’aspettativa di vita ridotta dei lavoratori negli Stati Uniti. Il calo dell’aspettativa di vita e l’aumento della morte prematura negli Stati Uniti assomiglia al modello visto in Russia durante i primi decenni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il saccheggio sfrenato degli oligarchi della mafia appoggiati dagli Stati Uniti  sotto Boris Eltsin.

In quarto luogo, i capitalisti sono liberi di assumere giovani lavoratori sostituti (diciotto-trent’anni) come lavoro temporaneo a salari più bassi e senza alcun beneficio. Sono soggetti alle insicurezze dell’occupazione contingente, come parte della ‘gig economy’ (esternalizzazione a lavoratori e impiegati ‘autonomi’). Questi lavoratori sovraccarichi, senza futuro, ricorrono agli oppiacei per superare il dolore fisico e lo stress emotivo – fino a quando non abbandonano, schiavi della dipendenza. Questa è la ragione principale del numero declinante di giovani lavoratori disponibili negli Stati Uniti – nonostante i livelli di occupazione relativamente elevati.

In quinto luogo, e per aggiungere un insulto morboso al danno, l’epidemia di morte da oppiacei è stata  una vera e propria miniera d’oro per l’industria dei trapianti di tessuti e organi, per la quale ‘i materiali’, tra cui ossa, pelle, cornea, tendini, valvole cardiache, denti e vasi sanguigni, raccolti tra le giovani vittime di overdose, valgono decine di migliaia di dollari per cadavere. Gli organi derivanti dalle vittime di overdose cerebrale sono valutati in centinaia di migliaia di dollari. E le aziende di raccolta coi loro mediatori di tessuti si aggirano intorno al pronto soccorso dell’ospedale come uccelli da carogna in attesa di notizie di nuove vittime – spesso contattando il parente prossimo prima delle autorità. Questo bizzarro sistema di profitto derivante dalle morti domestiche completamente prevenibili del capitalismo americano ricorda la satirica ‘Modesta Proposta’ di Jonathan Swift agli imprenditori britannici di raccogliere la pelle delle vittime della carestia della patata irlandese per farne oggetti commerciali, come borse da donna!

In sintesi, la struttura e le relazioni del capitalismo statunitense contemporaneo sono la causa generale e i beneficiari dell’epidemia da oppiacei. Il risultato inevitabile è stato una rapida distruzione di comunità emarginate dalle decisioni capitaliste. Ciò ha beneficiato il capitale, che ha trattato la popolazione superflua e potenzialmente insofferente in un modo che ricorda l’Impero Britannico durante le carestie in India nei due secoli precedenti.

Il Darwinismo e i ragionamenti neo-malthusiani proliferano tra gli oligarchi, i politici, i medici e persino penetrano nella lingua usata dal pubblico (‘sopravvivenza del più adatto’), fornendo la giustificazione ideologica per la carneficina.

Le elites dei poteri operativi specifici che dirigono l’epidemia

Aziende farmaceutiche multimiliardarie producono e commercializzano narcotici e sedativi altamente creatori di dipendenza. I loro agenti manipolano le comunità di medici e agiscono come una lobby tra i politici per un’America ‘senza dolore’.

Il produttore della principale ‘porta d’entrata’ commerciale nella dipendenza, l’Oxy-Contin,  è la Purdue Pharmaceuticals. La società è stata fondata e gestita interamente dalla famiglia Sackler, sotto la guida del defunto Raymond Sackler e dei suoi fratelli. I Sacklers erano di origini ebraiche dell’Europa dell’Est e hanno stretti legami con Israele.

Hanno iniziato producendo lassativi e cera per gli orecchi, quindi hanno introdotto il tranquillante Valium, altamente creatore di dipendenza, per poi produrre e promuovere negli anni ’90 il più redditizio farmaco da prescrizione nella storia, l’Oxy-Contin, durante l’amministrazione del presidente Bill Clinton con la sua ‘riforma sanitaria’.

I Sacklers hanno messo in piedi un’aggressiva  strategia di vendita su larga scala, per convincere i medici che il loro prodotto non creava dipendenza. Hanno pagato medici ricercatori per pubblicare dati fraudolenti sulla sicurezza dell’Oxy-Contin. Questi esperti assoldati dalla fiorente industria del dolore hanno ricevuto enormi compensi per vendere i prodotti dei Sackler. Hanno contrabbandato la nozione dei pazienti americani, che godono di un’esistenza completamente ‘indolore’ – reclamizzando il valore dell’altamente soggettiva ‘scala del dolore’, come quinto segno vitale nella valutazione di tutti i pazienti. La ‘scala del dolore’ non ha mai attecchito in altri paesi ricchi, dove la valutazione oggettiva è rimasta la base principale per la diagnosi e la terapia. È interessante notare che la ‘scala del dolore’ è stata usata meno frequentemente con pazienti afroamericani e ispanici, in gran parte a causa di un inerente razzismo nella medicina statunitense, che vede le minoranze come potenziali tossicodipendenti e inaffidabili per la prescrizione di narcotici. Di conseguenza, i pazienti afroamericani e ispanici si sono in gran parte risparmiati l’epidemia da dipendenza da stupefacente di prescrizione – in cui oltre il 95% delle morti da overdose erano di bianchi, per lo più operai. Era anche evidente che i pazienti afroamericani presentatisi ai reparti di pronto soccorso in caso di dolore grave ricevevano molta meno cura rispetto ai loro compatrioti bianchi – anche quando il loro dolore era un sintomo di una grave minaccia medica alla vita o di un’emergenza chirurgica.

Il patrimonio netto della famiglia Sackler è salito a oltre $ 14 miliardi di dollari, secondo l’elenco dei miliardari di Forbes, mentre Purdue Pharmaceuticals ha ricavato oltre $ 35 miliardi di dollari di profitto da Oxy-Contin. L’omicidio da prescrizione e la dipendenza hanno elevato i Sackler all’elite politica, culturale e oligarchica.

I Sackler sono diventati grandi collezionisti di belle arti e mecenati delle arti e delle scienze a New York, Londra e Tel Aviv. I ‘glitterati’ di New York sono svenuti di fronte a Raymond e la regina Elisabetta gli ha conferito il titolo di cavaliere. Nel frattempo, decine di migliaia di tossicodipendenti sono morti ogni anno e milioni affondano nella dipendenza, nella cattiva salute e nel degrado, trascinando le loro comunità con loro.

Seguendo l’esempio di Sackler, altri miliardari farmaceutici si sono uniti al massacro, le morti e la confusione si sono moltiplicate. I farmaci contro il dolore da oppiacei erano così economici da produrre e avevano creato una domanda in continua espansione, mentre gli adolescenti facevano irruzione nello stanzino della nonna alla ricerca di narcotici e  poveri lavoratori facevano la fila alle ‘fabbriche di pillole’. L’Oxy-Contin e i suoi fratelli hanno prodotto il più alto margine di profitto nella storia farmaceutica – di gran lunga superiore ai cosiddetti farmaci block-buster.

La devastazione totalmente prevenibile e prevedibile alla fine ha portato la Purdue Pharmaceuticals nel 2007 a essere multata per $ 634,5 milioni di dollari per la copertura fraudolenta del potenziale di dipendenza e di overdose dell’Oxy-Contin. L’influenza politica della famiglia Sackler ha protetto i propri membri da qualsiasi accusa di cattiva condotta o cospirazione criminale. La loro influenza negli ambienti politici e giudiziari d’elite non aveva eguali.

L’Oxy-Contin e altri farmaci che provocano dipendenza sono ancora prodotti in massa, prescritti in maniera intensiva e stanno contribuendo alla morte di oltre 65.000 lavoratori ogni anno. In risposta al recente crollo delle prescrizioni di narcotici, milioni di tossicodipendenti sono passati all’economica eroina di strada e all’illegale e pericolosamente potente fentanyl, per soddisfare la loro astinenza. I medici hanno  fornito l’entrata a una vita di dipendenza da strada, violenza e alla fine morte – mentre le autorità degli gli Stati Uniti guardavano deliberatamente da un’altra parte.

La seconda elite di potere operativo sono i medici professionisti, che hanno prescritto le droghe in maniera irresponsabile e insensibile a milioni di americani negli ultimi 2-3 decenni. Anche loro sono stati largamente risparmiati dal sistema politico e giudiziario e rimangono ancora i ‘pilastri’ delle comunità locali, devastate dalla tossicodipendenza.

Per duemila anni, un principio guida morale e professionale in medicina era stato ‘prima cosa, non fare del male’ nel corso del trattamento di un paziente. C’è stata un’enorme differenza nel modo in cui i pazienti della classe lavoratrice e delle elites vengono trattati negli Stati Uniti. Migliaia di medici e altri professionisti hanno ignorato l’ovvia dipendenza e le morti tra i loro pazienti delle classi meno abbienti e hanno accettato tangenti e compensi per promuovere gli oppiacei.

Milioni di pazienti e i loro familiari sono stati traditi da questo grottesco fallimento nell’affrontare la crisi da dipendenza. Le trasformazioni economiche in medicina hanno fatto sì che molti medici nella medicina aziendale mandassero i pazienti dentro e fuori dai loro uffici con solo esami sommari e prescrizioni per lo più di narcotici e sedativi. I medici hanno permesso agli obiettivi di lucro dei loro datori di lavoro aziendali di dettare legge su come dovessero trattare i loro pazienti – tradendo in tal modo il sacro giuramento. Molti medici hanno fatto affidamento su assistenti medici scarsamente supervisionati e infermieri tirocinanti nel diagnosticare e trattare i pazienti  già dipendenti da sostanze stupefacenti. È più facile e meno costoso scrivere una prescrizione, piuttosto che esaminare a fondo e trattare adeguatamente un paziente a basso reddito. Tutti hanno accettato l’ideologia aziendale e capitalista che i tossicodipendenti erano deplorevoli vittime della loro intrinseca degenerazione morale o genetica.

La catena della responsabilità passava dal profitto capitalista sistemico miliardarie aziende farmaceutiche alle imprese ospedaliere, ai medici e al loro mal controllato personale.

Il principale complice politico della morte per dipendenza è il governo federale e i rappresentanti eletti, che hanno accettato decine di milioni di dollari in ‘donazioni’ dalla lobby farmaceutica. Il presidente e il Congresso, i democratici e i repubblicani hanno ignorato l’epidemia, perché sono stati comprati per la loro campagna dai donatori-proprietari del ‘Big Pharma’, il termine usato per descrivere la potente industria farmaceutica e la sua lobby. Negli ultimi vent’anni, l’elite politica ha ricevuto molti milioni di dollari in fondi per le campagne dalle grandi lobby farmaceutiche – inclusi i politici provenienti dagli stati devastati dalla narcotici.

La Federal Drug Enforcement Agency (DEA) ha permesso l’uso eccessivo e la distribuzione dei narcotici e quindi ignorato le terribili conseguenze per oltre 20 anni. Non si può immaginare che i veterinari degli Stati Uniti e i loro controllori notino la morte per droga di 3.000 animali domestici, senza identificare e correggere rapidamente la situazione, mentre la FDA, la DEA e l’elite statunitense hanno ‘ignorato’ la morte di centinaia di migliaia di poveri  americani della classe lavoratrice.

Alla fine, dopo due decenni, politici locali e procuratori generali hanno visto una nuova potenziale fonte di reddito in azioni legali contro le società farmaceutiche incriminate e i grandi distributori. Alcuni senatori hanno sponsorizzato le udienze, ma nessuna azione decisiva è stata presa  contro la carneficina tra la povera popolazione civile. Nel 2010, il comitato dei Servizi Armati del Pentagono e del Senato ha tenuto audizioni sull’enorme aumento di morti da overdose, dovute all’abuso di prescrizioni di droga tra il personale militare degli Stati Uniti e hanno preso alcune misure efficaci per affrontare il problema. A quel tempo, i senatori degli Stati Uniti nelle udienze hanno avvertito scherzosamente sui pericoli di sconvolgere il ‘Big Pharma’. Chiaramente, a differenza dei generali che hanno bisogno di soldati sani, i capitalisti e i politici statunitensi non hanno avuto nessun interesse a proteggere i cittadini della classe lavoratrice – dati i profitti complessivi che la  loro dipendenza e le morti portano all’elite.

Conclusione: cosa fare?

La prescrizione di narcotici e la successiva epidemia di tossicodipendenze illegali sono diventate un campo di sterminio per milioni di persone – seminando la rovina nelle comunità povere, emarginate e deindustrializzate della classe operaia degli Stati Uniti. Comunque, le vittime e i loro carnefici, i mercanti della morte, hanno tutti un nome e una posizione all’interno del sistema capitalista. La logica e le conseguenze sono chiare.

La maggior parte delle vittime sono della classe lavoratrice, della povera e media borghesia, e in modo prevalente bianchi: con salari bassi, giovani e meno giovani, precari, sottoccupati e in particolare senza un’assistenza sanitaria adeguata o competente.

Oltre 5 milioni di persone sono interessate da abuso di droghe o comunque hanno iniziato il loro percorso nella dipendenza tramite i narcotici da prescrizione. Questo è un vero e proprio olocausto americano, che lascia milioni di sopravvissuti alle famiglie. Decine di migliaia di bambini vivono con i parenti anziani o accolti in case rifugio e nel sovraccarico sistema dell’accoglienza minorile.

I carnefici e i loro complici sono diventati ricchi, mecenati delle arti e delle scienze più sofisticate istruiti nei colleges d’elite. Ricevono i migliori servizi di assistenza sanitaria nel mondo; fanno affidamento su domestici docili ma altamente istruiti, tate e cuochi – molti dei quali sono immigrati. Soprattutto, godono dell’immunità della censura e dell’incriminazione pubblica. Sono i commercianti ufficiali della morte e della disperazione, politicamente ben collegati, perfettamente vestiti, ben curati.

La crisi da dipendenza è una parte della guerra di classe condotta dalla classe superiore contro le classi medie e basse di questo paese. La vera, anche se non dichiarata, conseguenza del loro commercio è stata quella di selezionare la popolazione resa superflua dalle decisioni dell’elite economica e politica e distruggere la capacità di milioni di loro vittime, familiari, vicini e amici di capire, organizzarsi, unirsi e combattere contro l’assalto ai propri interessi di classe.

Qui è dove troviamo una base per affrontare una soluzione.
Sono esistiti precedenti storici circa il successo nell’eliminazione dei signori della droga, sia dell’elite che criminali e per riportare i tossicodipendenti a una vita sociale produttiva.

Iniziamo dal caso della Cina: dopo un secolo di dipendenza dall’oppio imposta dagli inglesi, la rivoluzione cinese del 1949 si fece carico dell’arresto, della persecuzione e dell’esecuzione dei signori della guerra ‘imprenditori’ dell’oppio. Milioni di tossicodipendenti sono stati riabilitati e restituiti alle loro comunità, unendosi alla forza lavoro per costruire una nuova società.

Allo stesso modo, la rivoluzione cubana del 1959 ha distrutto le droghe e i bordelli gestiti da brutali oligarchi, gangster cubani e capi di squadre della morte, in combutta con mafiosi americani, come Meyer Lansky. Questi teppisti e parassiti furono costretti a fuggire a Miami, Palermo e Tel Aviv.

Il primo passo per un’efficace guerra alla droga con coscienza di classe negli Stati Uniti richiederebbe l’organizzazione di movimenti di massa, con avvocati antidroga dedicati, medici, personale medico e organizzatori delle comunità, nonché educatori e leader delle comunità coraggiosi e ben integrati. Un vero Centro Nazionale per il Controllo delle Malattie, non portavoce dell’elite aziendale, sarebbe riorganizzato per raccogliere affidabili dati nazionali sulla portata del problema e fornire ulteriori basi per invertire la tendenza alla diminuzione dell’aspettativa di vita, all’aumento della mortalità infantile e materna e all’epidemia di morti premature prevenibili tra i lavoratori.

Il secondo passo consisterebbe nell’assumere il controllo sulle prescrizioni di sostanze stupefacenti, limitate alle indicazioni strettamente riconosciute in altri paesi industrializzati (dolore da cancro intrattabile o gestione del dolore post-operatorio a breve termine) e nello sviluppo di una banca dati nazionale per tracciare la pratica di prescrizione di medici, infermieri, assistenti medici e altri.

Coloro che non volessero riformare la loro pratica dovrebbero affrontare arresti e gravi accuse. La cura della salute dovrebbe essere centrata sul paziente, non orientata al profitto e il motto ‘Primum non nocere’ dovrebbe sostituire l’insensato social-darwinismo e l’avidità nella pratica della medicina.

I produttori e i distributori, così come i lobbisti e i commercianti dei micidiali oppiacei sarebbero costretti a pagare per la devastazione e a rispondere alle accuse.

Il processo di ripristino della vivibilità dei ‘cessi’ domestici devastati dalla droga, creati dall’elite capitalista statunitense, alla fine richiederebbe la messa sotto accusa e la trasformazione dell’economia all’origine della crisi della dipendenza. Richiederebbe la sostituzione di un sistema che semina dolore e sofferenza tra i lavoratori con uno in cui finalmente i lavoratori e le loro comunità prendessero il controllo della propria vita. Professionisti e intellettuali, piuttosto che vedere le vittime dal punto di vista dei responsabili delle decisioni dell’elite, dovranno integrare pienamente i loro interessi con quelli delle masse.

Le lotte locali riuscite possono costituire la base del potere politico che trasformerebbe gli ‘studi’ e le ‘critiche’ verso  l’azione diretta e il cambiamento elettorale.

La proibizione di questa fonte rivoltante di profitto e del flagello di migliaia di comunità può indebolire il potere dei narco-trafficanti miliardari e dei loro alleati politici.

Milioni di vite sono in gioco, devono guadagnarsi la propria sopravvivenza. Capire le radici di questa sofferenza incentrata sulla classe e mobilitare per l’inversione di questa tendenza può avere conseguenze importanti per i cessi dispersi in giro dall’impero e creati dal capitale!

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

 

Cortocircuito opositor

por Néstor Francia 

Análisis de Entorno Situacional Político
Viernes 26 de enero de 2018

Cortocircuito

La convocatoria de elecciones en el primer cuatrimestre de este año por parte de la Asamblea Nacional Constituyente está provocando un devastador cortocircuito en la oposición venezolana, entendido este como el contacto entre polos opuestos que ocasionan una descarga. Los polos opuestos son quienes proponen participar en los comicios y quienes se oponen a ello, estos últimos instigados por el imperialismo y sus aliados. La posición del Imperio y sus lacayos se debe sobre todo a que la derecha internacional no ve que la oposición del patio esté en condiciones de ganar una elección y están privilegiando la opción de más sanciones y presión internacional, y ponen sus esperanzas en la desestabilización interna que podría justificar una intervención foránea directa, hasta ahora bastante improbable. Esa es la descarga que provoca el cortocircuito opositor: más injerencia, más agresiones, más boicot internacional. Nuestro pueblo debe encargarse de que esa descarga no incendie nuestra pradera.

Lo que se está pensando afuera del “corto” opositor en Venezuela lo expresa sin disimulo la agencia española de derechas EFE en un reportaje del cual extraemos algunos fragmentos: “Una oposición cuyo liderazgo está hoy desunido y en su mayoría sin posibilidad de medirse en las urnas se enfrenta al desafío de la elección presidencial adelantada… Este miércoles, en el primer día que tuvieron para reaccionar los partidos y dirigentes que se oponen al Gobierno de Nicolás Maduro, no hubo consenso ni uniformidad en sus declaraciones, y por el contrario reafirmaron las diferencias que existen en el antichavismo… El líder de la formación Avanzada Progresista (AP), Henri Falcón, anunció su aspiración a la Presidencia y se convirtió en el tercer opositor en poner su nombre en juego después de que lo hicieran en días pasados el ex alcalde del municipio Libertador de Caracas Claudio Fermín y el ex presidente del Parlamento Henry Ramos Allup… los dirigentes de la MUD invocan la ‘unidad’ de las fuerzas que se oponen a Maduro sin ser capaces hasta ahora de unirse en torno a una decisión frente al adelanto de estos comicios, que generalmente se celebran en el país a finales de año…la oposición mermó su poder de convocatoria para movilizaciones de calle tras cuatro meses de protesta en 2017 que se saldaron con más de 120 muertos y que terminaron con la elección de la Constituyente, lo que desanimó a su militancia”. Esta larga cita del reportaje de EFE nos ahorra comentarios: los amigos de los derechistas criollos saben lo que pasa y no confían en ellos.

Pero no solo se trata de los precandidatos citados por EFE. Otras voces permiten augurar que no estaremos solos en la convocatoria de abril y que habrá candidatos opositores. La coordinadora electoral de la MUD, Liliana Hernández, afirmó tras el adelanto de las elecciones presidenciales, que lo primordial para la derecha venezolana, “es salir rápido, con un candidato con mucha fuerza”. Y también: “Yo no estoy aceptando que estas elecciones son perfectas, estas elecciones son violadoras de la Constitución pero uno tiene que prepararse para todos los escenarios”.

Igualmente el opositor Eduardo Fernández, vocero de la vieja guardia de la Cuarta República, se unió a esta opinión: “Hay la necesidad de concretar candidatos en un momento estelar para que todos los venezolanos que queremos un cambio en Venezuela, nos unifiquemos alrededor de una candidatura”.

Además de los mencionados por EFE, otros nombres parecen asomarse a la ruleta de la candidatura opositora, como Andrés Velásquez y Juan Pablo Guanipa, y hay quienes siguen calentándole las orejas a Lorenzo Mendoza.

Ahora bien, es claro que las elecciones presidenciales no resolverán todos nuestros problemas, y no nos referimos solo a la situación económica, sino también a los planes evidentes de violencia que siguen anidando en sectores de la derecha nacional e internacional. Refiriéndose al Grupo de Lima, el ministro Jorge Rodríguez ha dicho que “pretende rebasar los límites de la soberanía de Venezuela y alimentar la violencia, el odio, la intolerancia, la muerte entre los venezolanos, promoviendo vías contrarias a la convivencia democrática y electoral”.

Inclusive algunos presentan con descaro ideas para la generación de violencia, como el conocido sirviente del imperialismo Andrés Oppenheimer, quien opinó que “Un frente unido de oposición podría, por ejemplo, participar temporalmente en el proceso electoral para aprovechar los tres meses de campaña y organizar protestas callejeras masivas, para luego retirarse a último minuto si el régimen no permite elecciones libres. Eso podría permitir a la oposición retomar las calles, y recuperar su impulso”.

Y por estos lados, la cabecilla extremista María Corina Machado declaró: “… Esto es lo que pienso sobre la convocatoria a elecciones presidenciales. Esto no son elecciones, este proceso lo que busca es aumentar la pobreza, aumentar la violencia, la miseria, expulsar a nuestros jóvenes por la frontera, un país sin jóvenes… A la Fuerza Armada Nacional… Entender que este proceso sería la degradación total de nuestra institución militar y de cada uno de los ciudadanos… la única respuesta al fraude es ¡NO!… Es la hora de la libertad… del desconocimiento total…”.

Debemos concentrar buena parte de nuestra atención en las elecciones presidenciales, para garantizar la victoria de Maduro, pero igualmente hacemos nuestras las palabras de la opositora Liliana Hernández: uno tiene que prepararse para todos los escenarios. 

El yanqui teme a la Revolución

por Néstor Francia

Análisis de Entorno Situacional Político

Jueves 25 de enero de 2018

El yanqui teme a la Revolución

En nuestro Análisis del 8 de enero pasado, que inició una serie en la que abordábamos la perspectiva política para 2018, escribimos: “2108 será un año de profundización y radicalización de la lucha de clases en Venezuela y en torno a su presencia en el escenario internacional, donde dos hechos políticos de especial importancia podrían marcar su desarrollo: el diálogo que ha de continuar el próximo jueves en República Dominicana y las elecciones presidenciales en principio previstas para este año. Ambos acontecimientos se vinculan al verdadero núcleo del ‘caso Venezuela’: la amenaza y la seria posibilidad de una intervención foránea en nuestro país, en algún momento futuro”. Los acontecimientos que confirman esta percepción se acumulan hoy aceleradamente, como estamos viendo.

La convocatoria de elecciones presidenciales en el primer cuatrimestre del año por parte de la ANC es un hito que condicionará todo lo que pase de aquí en adelante en 2018 y más allá. Es difícil pronosticar con precisión lo que pueda ocurrir, ya hemos dicho que la situación es compleja y concurren a ella diversidad de factores que habrán de combinarse de manera imprevisible.

Lo cierto es que la decisión de la ANC contribuye altamente a distintas definiciones. En el campo internacional, el imperialismo y sus lacayos parecen radicalizarse cada vez más, queriendo acaso curarse en salud ante la posibilidad de que en Venezuela se reedite el caso de Cuba, que después de resistir agresiones, bloqueo económico, espionaje, atentados, provocaciones, intentos de aislamiento internacional, logró un alto grado de estabilidad de una sociedad libre de tutelas extranjeras y empeñada en el desarrollo de una relación socioeconómica entre los seres humanos por caminos distintos a los que quiere imponer la sociedad capitalista decadente que tiene su principal expresión en Estados Unidos. Como dice la conocida canción de Alí Primera “América Latina obrera”: “el yanqui teme a la Revolución, el yanqui teme al grito ¡Yanqui go home!”.

Todo apunta a que en abril, la Revolución Bolivariana alcanzará un triunfo electoral trascendente y se establecerá un nuevo período de Gobierno de Nicolás Maduro. Esto remueve todos los fantasmas de la reacción mundial y caotiza aun más la enrevesada situación de la oposición del patio. De allí que la derecha externa juegue adelantado, inclusive sin esperar las reacciones de todos los factores de esa oposición ante el anuncio de la ANC.

El canallesco secretario general de la OEA, Luis Almagro, calificó el martes de “farsa” la convocatoria de elecciones presidenciales en Venezuela, al afirmar que “Saludamos la declaración del Grupo de Lima ante nueva farsa electoral anunciada por el régimen de Venezuela… Para salir de la crisis hay que hacer elecciones libres, sin proscritos, con sistema electoral creíble, garantías para todos, observación internacional y sin presos políticos. Otra cosa es más dictadura”.

Esta declaración de Almagro fue coronada poco después con otra que aclara el camino que habrá de tomar la reacción mundial después de desconocer el proceso electoral de abril y por consiguiente la legitimidad del nuevo gobierno de Maduro. El secretario general de la OEA defendió ayer la aplicación de más sanciones, “más fuertes, más abarcativas”: “Faltan dos o tres turnos más de sanciones, más fuertes, más abarcativas que afecten a los familiares de los dictadores, al sistema político y, obviamente, a aquello de lo que vive el sistema político hasta ahora”. Y agregó: “No hay sanción contra el pueblo venezolano. La peor sanción que puede haber contra los venezolanos son seis años más de Maduro, que es lo que viene después de esta elección. Y eso no lo podemos permitir”. Más claro no canta un gallo.

Pero las amenazas de Almagro van más allá: “Las sanciones son el mecanismo diplomático más duro. Después de las sanciones, abandonas la diplomacia”. Es decir, si no funcionaran las sanciones, habría que intervenir abiertamente, es lo que quiere decir.

Y una vez más se pronunció la portavoz del Departamento de Estado imperialista, Heather Nauert, por medio de un comunicado en el que se apoya al Grupo de Lima y se asienta que las elecciones de abril “no reflejarán la voluntad del pueblo de Venezuela y serán vistos como antidemocráticos e ilegítimos a los ojos de la comunidad internacional”. La orden a los lacayos es transparente, sin disimulo de ningún tipo: desconocer el resultado, desconocer a Maduro.

¿Qué pasará después de abril? A lo interno, la oposición debería salir aun más debilitada y su base social desmoralizada, desmotivada, desmoralizada y hasta resignada. Eso va a acentuar la idea de la intervención internacional. Pero será muy difícil que esta pueda manifestarse como una intervención armada convencional y tampoco se ve fácil la creación artificial de algún conflicto fronterizo que pueda traducirse en ocupación de parte de nuestro territorio. Esos planes existen en el papel, pero no parecen factibles en el corto plazo. Tanto el imperialismo como nuestros vecinos tienen demasiados problemas como para embarcarse en una aventura tan riesgosa como cualquiera de esas.

De manera que en medio de la agudización de la lucha de clases nacional e internacional, la dirección revolucionaria no puede comportarse para nada distinto a como lo ha hecho hasta ahora: a la ofensiva, respondiendo golpe a golpe, acosando al enemigo interno, con el pueblo movilizado en la calle, moralizando a la gran vanguardia social, con la Fuerza Armada pronunciándose y mostrándose. Que el imperialismo y sus aliados sepan que no serán recibidos con flores, si osan hollar el suelo de la Patria del modo que sea.

Napoli 5feb2018: Diplomazia di pace – 4F

Bruxelles 27gen2018: Comprendere il Venezuela Bolivariano

Napoli 2feb2018: con la Repubblica Popolare Democratica di Corea!

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da Associazione Resistenza

SOSTENERE LA REPUBBLICA POPOLARE DEMOCRATICA DI COREA!

Dall’inizio del 2017 la Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC) è oggetto di minacce militari da parte degli imperialisti USA e dei loro servi, accompagnate dall’inasprimento delle sanzioni economiche da parte dell’ONU. I media di regime sostengono a loro volta questa operazione con una martellante campagna di denigrazione, falsificazione e ridicolizzazione dell’esperienza coreana (di cui la sinistra borghese è complice): una vera e propria propaganda di guerra finalizzata a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’invasione del paese.

La verità è che la resistenza della RPDC, del Partito del Lavoro di Corea e del popolo coreano rafforza la rinascita del movimento comunista internazionale e di quello antimperialista perché contrasta il disfattismo seminato dalla sinistra borghese e infonde coraggio e fiducia in tutti coloro che nel Mondo lottano contro la Comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti, i veri terroristi e criminali di guerra della nostra epoca.

La RPDC e il Partito del Lavoro di Corea mostrano infatti con la loro lunga storia alle masse popolari e ai popoli oppressi di tutto il Mondo che è possibile resistere agli imperialisti USA e ai loro servi e affrontare situazioni estremamente difficili e complesse: sono riusciti a restare in piedi nonostante la guerra del 1950-53, l’occupazione del Sud del paese da parte degli USA, le sanzioni economiche, le provocazioni continue, il crollo o cambiamento di colore del resto dei primi paesi socialisti. Sono riusciti inoltre a dotarsi di un proprio armamento nucleare come deterrente rispetto alle invasioni e attacchi degli imperialisti, facendo tesoro delle lezioni provenienti dall’invasione dell’ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan e Libia.

Di questo parleremo il 2 febbraio, alle ore 16.30, presso l’aula Matteo Ripa dell’Università Orientale, nell’iniziativa organizzata dall’associazione Resistenza in solidarietà con la Repubblica Popolare Democratica di Corea.

Brasile: grottesca farsa giudiziaria contro Lula

Luladi Ángel Guerra

da Telesur

25 gennaio 2018

Come previsto, il tribunale di Seconda Istanza di Porto Alegre ha ratificato la condanna per corruzione dello spudorato giudice della 13ma Corte Federale di Curitiba, Sergio Moro.  Non solo, le tre eccellenze hanno aumentato la pena richiesta da Moro da 9 anni e mezzo a 12 anni. Il sogno di Moro, magistrato responsabile dell’oscura operazione Lava Jato e il suo principale obiettivo nella vita, è di condannare Lula senza prove. Solo ‘basandosi su indizi’, come non si è stancato di ripetere, da quando ha iniziato questa farsa giudiziaria ingiusta, grottesca e spregevole.

Moro, un giudice mediocre e venale, con tutti i suoi studi a Harvard e i suoi corsi sul riciclaggio di denaro al Dipartimento di Stato, è cresciuto mediaticamente da quando conduce la cosiddetta Operazione Lava Jato e, soprattutto, da quando ha imputato Lula di corruzione, con l’accusa di aver accettato un appartamento di lusso di fronte alla spiaggia di Guarujá, nel municipio dello Stato di São Paulo, in cambio di favori all’impresa costruttrice OAS, appaltatrice con contratti pubblici della PETROBRAS.

Tuttavia, durante il processo, non si è potuto dimostrare che l’ex-presidente ne fosse il proprietario, tanto meno si è potuto identificare l’atto o l’omissione (reato di ‘corruzione passiva’), che sarebbe dietro la ricezione della proprietà. Tutto questo arzigogolio da legulei ha unicamente lo scopo di eliminare dalla corsa presidenziale del 2018 l’unico politico che, secondo tutti i sondaggi, vincerebbe con un margine molto ampio. Ecco perché la gente ha lanciato lo slogan ‘l’elezione senza Lula è una frode’.

C’è troppo in gioco nelle prossime elezioni in Brasile. Possono significare la vittoria di Lula (o di un eventuale candidato approvato da lui nel caso in cui gli sarà vietato candidarsi) e, insieme, la sconfitta dell’opzione neoliberista, subordinata agli Stati Uniti, il recupero della sovranità nazionale, la politica estera indipendente e l’unione latino-americana, le politiche di redistribuzione del reddito, la ricostruzione dello Stato e la maggiore estensione e gratuità dei servizi sociali alla popolazione. Ciò implicherebbe anche che il Brasile non sarebbe più il convitato di pietra nei BRICS, in cui il governo del golpe di Temer l’ha trasformato, ma uno dei suoi membri più attivi e dinamici. In breve, l’eventuale vittoria elettorale di Lula potrebbe fermare e invertire l’offensiva della destra nella nostra regione e, insieme alla rielezione di Maduro nel mese di aprile, in occasione delle elezioni presidenziali venezuelane, e all’eventuale trionfo di Lopez Obrador in Messico nel mese di luglio, potrebbe cambiare non solo la correlazione delle forze in America Latina e nei Caraibi a favore delle forze popolari, ma influenzare in modo significativo a livello mondiale le lotte sociali e delle forze politiche e sociali che, come la Russia e la Cina, lottano per la pace e la multipolarità nel mondo.

Speriamo di assistere, entro la fine dell’anno, alla reazione di sinistra all’escalation mediatico-legale-parlamentare della destra e dell’imperialismo, lanciato in Honduras (con il coinvolgimento dell’esercito fino ad oggi), continuato in Paraguay e consolidato nel Cono Sud col colpo di stato in Brasile e la stentata vittoria elettorale di Macri, convertita a questo punto in un tradimento del mandato che ha ricevuto e delle istituzioni democratiche. Questo insieme di azioni di Washington e della destra è già noto come fase II dell’Operazione Condor, che, come la sua omonima, cerca di liquidare tutti gli attivisti sociali e ogni governo rivoluzionario e progressista o di sinistra, che difenda gli interessi dei nostri popoli. Questa volta con pennivendoli, giudici e legislatori corrotti.

Lula ha già detto che continuerà la sua battaglia fino alla fine e con il popolo. Emir Sader così commenta il suo arrivo l’altro giorno alla mobilitazione di massa di Porto Alegre: Lula è venuto con un sacco di fiducia e di allegria, è venuto e, come sempre, ha salutato e ha dovuto farsi la foto con un sacco di gente… Circondato dai leader dei principali movimenti sociali in Brasile – CUT, MST, MTST … – e dai leader politici nazionali, Lula ha detto nel suo discorso… che non avrebbe parlato del suo processo. Che per questo ha avvocati competenti, che hanno fatto sì che nessun giurista abbia il coraggio di difendere le posizioni di coloro che lo accusano… perché non ci sono argomenti sostenibili. Di fatto, è stato raggiunto un consenso generale sul fatto che non vi siano prove contro di Lula. A tal punto, che il giudice Moro si rifugia nelle sue ‘convinzioni’ e ‘indizi’, in assenza di prove.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

 

Elecciones en abril

por Néstor Francia 

Análisis de Entorno Situacional Político
Miércoles 24 de enero de 2018

Elecciones en abril

En nuestro Análisis de ayer afirmamos: “… en el PSUV no habrá primarias… el candidato del chavismo será Nicolás Maduro, eso pueden grabarlo en piedra… el candidato de la Patria se llama Nicolás Maduro Moros” Para evitar suspicacias, advertimos que no teníamos idea de lo que ocurriría más tarde en la sesión de la Asamblea Nacional Constituyente. Fue cuando llegamos a la sala en el Palacio Federal Legislativo que escuchamos el rumor de que sería decretado el adelanto de las elecciones presidenciales, tal como ocurrió.

Una vez más, la ANC cumple su papel como principalísimo instrumento de la Revolución en esta etapa y se demuestra la brillantez de la idea del Presidente Maduro de convocarla. Ha sido uno de los usos más acertados que se ha dado a la Constitución Bolivariana, que consagra este tipo de instancia como una de las herramientas para la participación y el protagonismo del pueblo. La canalla mediática internacional insiste en definir a la ANC como “integrada solo por oficialistas”, ignorando dos hechos capitales: uno, que la oposición tuvo a oportunidad de participar en la Constituyente y cometió el error, uno más, de no hacerlo. Otro, que la Constituyente esté integrada solo por “oficialistas” es solo una media verdad. La absoluta mayoría de quienes la conforman son chavistas militantes, no todos, mencionemos que ahí está gente como Oscar Schemel, por ejemplo, que aunque es un hombre progresista, no es militante del chavismo. Pero además los medios y agencias derechistas no mencionan la presencia de diversas expresiones del pueblo organizado, como trabajadores de distintas ramas, campesinos y campesinas, comuneros y comuneras, pueblos indígenas, personas con discapacidad, adultos mayores.

¿Qué van a hacer las “oposiciones” venezolanas ahora? Con toda seguridad esta decisión de la ANC dará ocasión para nuevas divisiones o para el reforzamiento de las que ya existen. Por lo pronto, ya están llegando las órdenes adversas desde el Imperio y las oligarquías del continente ¿Seguirán todas las oposiciones tales órdenes, o habrá quienes disientan de ellas? Veamos entretanto las primeras reacciones del imperialismo y sus aliados continentales.

Una vez conocida la decisión constituyente, se pronunció la portavoz del Departamento de Estado, Heather Nauertn, en el sentido de que “Apoyamos un sistema de elecciones real, completo y justo y no a la ilegítima Asamblea Constituyente que fue confeccionada por Maduro”. Este es un claro llamado a desconocer la convocatoria ordenada por la Constituyente y a la no participación de la derecha en las elecciones.

También se pronunciaron los gobiernos neoliberales del llamado Grupo de Lima, en una declaración conjunta leída por el funesto canciller de Bachelet, Heraldo Muñoz: “Exigimos que las elecciones presidenciales sean convocadas con una adecuada anticipación, con la participación de todos los actores políticos venezolanos y con todas las garantías que corresponda… Unas elecciones que no cumplan estas condiciones, carecerán de legitimidad y credibilidad”.

Por su parte, el canciller de México, Luis Videgaray, anunció ayer en Chile que su país abandona el papel de observador en el diálogo político entre el Gobierno y la oposición venezolana, debido a la decisión de la ANC. Videgaray arguyó que uno de los principales puntos en ese diálogo era pactar la fecha de las elecciones de este año, algo que aún no estaba concluido: “Es una decisión que lamentamos, pero el anuncio hecho en Caracas nos obliga… Si una de las partes, de manera unilateral, define la fecha, quiere decir que el proceso de negociación ha dejado de ser serio”. El canciller mexicano “olvida” que fue él mismo, junto al canciller de Chile, quien acompañó la decisión de la oposición de desertar de la más reciente reunión convocada en República Dominicana. Además esgrime la pretensión de que las soberanas decisiones y la marcha del país estén condicionadas por las veleidades y caprichos de la derecha.

También habló el chileno Heraldo Muñoz, quien dejó en suspenso la continuidad de Chile en el proceso de diálogo y lo condicionó a que el gobierno venezolano dé marcha atrás en su intención de celebrar las elecciones en el primer cuatrimestre de 2018, ignorando que en Venezuela todos los poderes están subordinados a la Constituyente. Muñoz afirmó que “Si esta situación se consolida, Chile revisará su participación en el grupo de países acompañantes. Esperamos que esta desafortunada situación sea revertida para no tener que apartarnos del proceso de diálogo”.

Se comprueba una vez más algo que hemos venido diciendo desde hace tiempo, que el diálogo político venezolano no puede ser eficaz mientras que la derecha interna y externa se empeñen en usar el diálogo solo como plataforma para “salir” de Maduro y dar al traste con la Revolución Bolivariana. Parece confirmarse igualmente el vaticinio de Diosdado Cabello expresado a mediados de diciembre pasado: “¿Ustedes creen que ellos están en República Dominicana negociando qué? ¿Nuevas condiciones para las elecciones presidenciales? Aquí va a ver elecciones presidenciales con el mismo CNE, aquí no vamos a cambiar, aquí no se va a cambiar nada”.

Sin duda que la decisión de ayer de la ANC descoloca una vez más a las oposiciones venezolanas, las confunde y las pone a dar carreras. Lo más seguro es que haya sectores de la derecha que decidan participar en esos comicios, y otros que no lo harán. También es probable que haya candidaturas por fuera de la MUD, incluso de factores que se han separado del proyecto chavista.

Henrique Capriles no tardó en reaccionar ante la decisión constituyente, al tuitear: “Hoy, mañana, pasado, la única gran verdad es que a este Gobierno y su cúpula lo aborrece la inmensa mayoría de los venezolanos! Si se libera el derecho que tiene nuestro Pueblo a decidir se van! UNIDAD más que nunca! UNIDAD para recuperar la democracia!”. Esto pareciera un anuncio de participación electoral, aunque con esta gente nunca se sabe.

También terció Henry Ramos Allup, quien a pesar de criticar la decisión de la ANC, volvió a hablar de las primarias de la derecha y hasta conjeturó que podrían organizarse en “cuatro o cinco semanas” ¿Otro anuncio de participación? Quizá, acaso, tal vez, puede ser.

Lo cierto es que nuestro gallo ya está en la liza y ya arrancó la carrera, con la oposición todavía atascada en el aparato. 

Héroes de nada

por Néstor Francia 

Análisis de Entorno Situacional Político
Lunes 22 de enero de 2018

Héroes de nada

No valdría la pena seguir hablando de ese personaje menor que se llama Oscar Pérez, pero las reacciones en torno a su muerte dicen bastante de la situación política de Venezuela, sobre todo en lo que concierne a la oposición venezolana.

Como solía decir mi santa madre, vamos por partes.

En primer lugar, es muy significativa la escasa participación popular en las acciones de calle convocadas por la derecha más extremista para “honrar” al terrorista de marras. En cuanto al acto que convocó María Corina Machado y otros radicales para el sábado en Parque Cristal, con varios días de anticipación y notoria cobertura mediática, la agencia española de derechas EFE nos da la clave cuando reporta que “Cientos de venezolanos honraron hoy al ex inspector de la Policía científica Óscar Pérez” ¿Cientos? ¿Cuántos: doscientos, trescientos, seiscientos? Al menos queda claro que no llegaban ni a mil.

En un insidioso reportaje gráfico del portal Voz de América, titulado “Entierro de las primeras víctimas de la ‘Masacre de El Junquito’” (es el nombre escandaloso de la operación policial que trata de sembrar la canalla mediática), hay varias fotos tomadas en los accesos del cementerio del Este y en la morgue de Bello Monte, en las que se ve más guardias nacionales que gente, con un puñado de personas como pasmadas en el espacio-tiempo. Recordemos que Voz de América es el servicio internacional oficial de radio y TV del gobierno de Estados Unidos.

Esta nula convocatoria revela no solo el aislamiento que existe en Venezuela de los sectores violentos, agudizado por la derrota de las guarimbas el año pasado y por la actuación de la Asamblea Nacional Constituyente, sino además el rechazo generalizado que hay en el país a los enemigos de la paz, inclusive en amplios sectores de la base social opositora. Por esa misma razón, y a pesar del descontento social innegable, no han tenido eco los intentos de saqueos y otros disturbios emprendidos por grupos minoritarios. Todos los estudios serios evidencian que la absoluta mayoría de los venezolanos quiere paz, así que difícilmente podrían apoyar a un sujeto notoriamente comprometido con la violencia, desde que robo un helicóptero para atacar criminalmente a varias instituciones del Estado.

Es igualmente interesante la actitud cauta que han tomado la mayoría de los factores que hacen vida en la entente opositora MUD. El más activo ha sido el partido fascista Voluntad Popular, el de Leopoldo López y Freddy Guevara, quienes vegetan olvidados por el pueblo, uno preso y el otro refugiado en la embajada de Chile en Caracas. Henrique Capriles, por su parte, dio declaraciones más bien tibias. Al resto solo se le ha escuchado pocas opiniones aisladas e inoficiosas. Esto revela la división táctica que existe en la oposición. Se ha dicho que hay factores en la MUD que contribuyeron a dar con el paradero de Pérez, pero además el terrorista y los sectores minoritarios que lo “honran” se declaran enemigos de la MUD. Según el mencionado reporte de EFE, “Algunos de los manifestantes en la morgue, que venían del Cementerio del Este de Caracas, donde habían acompañado a las familias de las dos personas allí sepultadas, lanzaron consignas contra el Gobierno chavista y contra el proceso de diálogo que parte de la oposición mantiene con la Administración de Maduro”.

También es digno de notar los diferentes tonos que se puede discernir en las reacciones de voceros internacionales de la derecha. La mayoría de los portavoces oficiales de los gobierno se han mostrado más bien reacios a mostrarse demasiado preocupados por los hechos de El Junquito. Por supuesto, no es fácil que un gobierno apruebe algún levantamiento armado fracasado contra los poderes oficiales. Se llama “poner las barbas en remojo”. En nuestro país, que se encontraba entones en medio de la violencia guarimbera, se vio, sin que nadie se escandalizara demasiado por ello, como un policía robaba un helicóptero y atacaba importantes instituciones del Estado, y luego
se convertía, junto a sus secuaces, en un foco de insurgencia armada que llegó a asaltar una instalación militar y robarse unas armas. Es claro que la derecha oficial ha dejado la tarea sucia de respaldar al “héroe”, en manos de la canalla mediática y de los parapetos de derechos humanos del imperialismo.

Lo cierto es que el caso de Oscar Pérez está condenado a caer en el olvido más temprano que tarde, acaso si de vez en cuando hablaran del tema los extremistas como María Corina Machado, que están en situación de profundo reflujo político y social. La  probabilidad de una caída inmediata del Gobierno Bolivariano por la vía de la violencia es vista como escasa por voceros de la derecha criolla y externa, que hoy pone todos sus huevos en dos canastas: las elecciones presidenciales y la intervención foránea.

En este último sentido, la máscara imperialista que se hace llamar “Human Rights Watch” asentó en su informe anual 2018 que “el único camino que le queda para salir de la crisis es que continúe la presión internacional”. Por su parte, el analista opositor Luis Vicente León escribió ayer en El Universal de Caracas, que “El fracaso de las acciones de calle a principios del año pasado tiene que ver con la ausencia de participación masiva de los estratos pobres en sus propias zonas y el resultado ha sido frustración y desánimo… Con la presión de calle disminuida y la oposición fracturada, su poder de negociación quedó dependiente de la acción de la comunidad internacional, un factor que suele ser necesario e importante, pero nunca suficiente… No importa cuánto se desee, la probabilidad de cambio inmediato de gobierno parece inviable”.

A todas estas, el jefe del Comando Estratégico Operacional de la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (Ceofanb), Almirante en Jefe Remigio Ceballos, puso las cosas en su lugar, al afirmar que el grupo del ex funcionario policial “estaba al margen de la ley. No son héroes de nada, son héroes de la delincuencia y el fraude”. Claro como el agua.

¡Oye, Ramírez, el candidato es Nicolás!

por Néstor Francia 

Análisis de Entorno Situacional Político
Martes 23 de enero de 2018

¡Oye, Ramírez, el candidato es Nicolás!

Ciertamente, el “reto” de Rafael Ramírez a Maduro de medirse con él en primarias para definir el candidato presidencial del chavismo es poco menos que una ridiculez, la primera calificación que se nos vino a la mente. Lo es por al menos dos razones: una, porque en el PSUV no habrá primarias, algo que se sabe, tenemos muchas cosas que hacer para perder tiempo en eso, que corresponde más a un sector profundamente dividido y carente de liderazgo, como la MUD. La otra, que el candidato del chavismo será Nicolás Maduro, eso pueden garbarlo en piedra. Y no porque sea una imposición del propio Maduro ni porque no haya otros dirigentes del chavismo que puedan ser buenos candidatos (as) o presidentes (as). La candidatura de Nicolás es un imperativo histórico de la Revolución. Con ese gallo se ha de ganar o perder la pelea, no hay otra.

Ramírez desprecia y subestima a Maduro del mismo modo que la derecha y por razones parecidas, aunque para ello el hombre arme y esgrima todo una supuesta argumentación política en la que se juzga a sí mismo como el ungido portador del mensaje “puro” de Chávez. Lo que subyace en el fondo de todos los fondos es que para un “príncipe” como Ramírez es inaceptable que un hombre humilde, un chofer de bus, un trabajador común esté por encima de él en la jerarquía política. Y esto no lo decimos por pura ocurrencia, el supremacismo de Ramírez resuma en sus artículos, verdadera epifanía de la prepotencia pequeño burguesa que siempre lo ha caracterizado.

Ahora bien ¿por qué la candidatura de Nicolás Maduro? En primer lugar hay que decir que Nicolás es el líder máximo e indudable, hoy por hoy, de la poderosa vanguardia política y social de la Revolución que es el chavismo. Esa gran vanguardia, que será factor decisivo en cualquier desarrollo político en el futuro cercano del país, quiere, respeta y apoya a su líder, quien la ha conducido a varias victorias en medio de peligrosas tormentas, agresiones económicas y mediáticas, intentos de desmedida violencia, terrorismo en diversas modalidades, presión imperialista, conjura implacable de la derecha continental y mundial en general.

Igualmente hay que decir que Maduro, un trabajador incansable, ha demostrado admirables virtudes humanas y políticas. Ha sido un líder creativo, audaz, valiente, decidido. A comienzos de su mandato no eran pocos los que no daban medio por él, hoy casi todos, incluidos muchos de los dirigentes opositores, así no lo digan, no pueden sino mirarlo con respeto o al menos con avergonzada frustración ante la resistencia épica de este hombre, blanco de todas las formas del desprecio y subestimación. Nicolás se las va ganando todas, poco a poco, paso a paso, con paciencia de orfebre.


Es claro que cualquiera otra opción de candidatura que no fuera la de Maduro, acarrearía la división del chavismo y su segura derrota, electoral o de cualquier otro tipo. La unidad del chavismo en este momento pasa por Nicolás Maduro como candidato presidencial, otra cosa sería camino seguro al descalabro de la Revolución.

Nosotros no estamos diciendo, Dios nos libre, que Maduro es perfecto, bien se sabe que no lo es. Como todos nosotros, está inmerso en un aprendizaje, en una escuela complejísima, la escuela de la lucha social. Nicolás tiene defectos y errores, como los tuvo Chávez. Pero igualmente creemos que, al igual que en el caso del Comandante Supremo, en la balanza de sus acciones, el peso de las virtudes es muy superior al peso de sus defectos. En un buen ser humano, un buen político y un buen líder, en este momento de los mejores, si no el mejor. Las probables próximas victorias de esta Revolución solo podrán ser con Nicolás Maduro al frente; si no, nos las veremos negras, de eso se puede estar seguro.

Ahora, volviendo al tema de las descaminadas ideas de Rafael Ramírez, véase lo que este hombre plantea, y que lo hace parecer fuera de sí: “Si yo vuelvo al país, reto a Maduro a unas primarias, libres, con garantías, para definir quién hará frente al candidato de la derecha, quién será el candidato del Chavismo” ¿Será esto parte de un juego político intrincado y malicioso, con elementos que no manejamos, o una simple expresión de un megalómano, alguien tan preciado de sí mismo, que se ve empujado a estos desvaríos, probablemente con el impulso de algunos amigos interesados? No podemos saberlo, pero es claro de estamos ante una propuesta sin destino, en su sentido estricto.

También afirma Ramírez: “Si el presidente Maduro me ofrece las garantías necesarias, entonces volveré al país para recorrer el camino de Chávez, para hablar con el partido, con los dirigentes, para hablar sin ser censurado” ¿De qué garantías habla? Porque en este momento él está siendo investigado por la Fiscalía en vinculación con hechos de corrupción en PDVSA? ¿Acaso todo este montaje es solo una manera de huir hacia adelante?

Por otra parte, no podemos olvidar que hay factores que se definen como de izquierda que están haciendo oposición al Gobierno Bolivariano, y en esas instancias, tal como ocurre con la MUD, no hay liderazgos claros y hay muchos que compiten por sobresalir sobre los demás. Acaso Ramírez se incluye ahora en ese quilombo.

Para Ramírez habría otra opción; presentarse a las primarias, sí, pero las de la MUD. Pero para eso tendría que dejar de hablar de Chávez. Con el PSUV que no busque nada, el candidato de la Patria se llama Nicolás Maduro Moros.

Il tradimento di Lenín Moreno

Moreno

 

di Atilio Borón

21 gennaio 2018

da Telesur

 

“Vi sono pugnali nei sorrisi degli uomini;
quanto più vicini, tanto più cruenti.”
(William Shakespeare)

 

 

È impossibile parlare della situazione politica drammatica che si sta configurando in Ecuador, in occasione del referendum e della Consulta Popolare del 4 febbraio, senza che una parola affiori  immediatamente nella coscienza (e nella mente) dell’osservatore: tradimento. È un termine molto duro per la sua palese immoralità. Quell’enorme umanista che fu Shakespeare fece del tradimento l’oggetto di innumerevoli riflessioni nella sua voluminosa produzione letteraria. Ma è stato in Macbeth che il tema è diventato il filo conduttore dell’opera. E lì, il tradimento appare come il rovescio di una malsana e incontrollabile passione: l’ambizione, con essa l’invidia e una rivalità malamente contenuta, che improvvisamente esplode non appena le condizioni sono propizie.

Si può argomentare, tradire che o chi? cosa? Niente meno che la maggior parte degli elettori ecuadoriani, che hanno votato per un candidato che si presentava come il continuatore della rivoluzione cittadina, un processo di profonde trasformazioni che ha cambiato radicalmente, in meglio, la società ecuadoriana. Moreno ha perpetrato una frode elettorale, come quella di Mauricio Macri in Argentina, ed è stato protagonista di un’appropriazione indebita della fiducia riposta in lui dalla cittadinanza che lo ha reso presidente. Il popolo ecuadoriano dovrebbe fidarsi delle promesse di un personaggio che lo ha già tradito una volta? Perché non dovrebbe ripetere la sua condotta disonesta? Certamente, come tutte le creazioni storiche, la Rivoluzione  Cittadina ha avuto le sue contraddizioni, i suoi grandi successi, i suoi errori e le sue questioni in sospeso. Ma la direzione del processo era corretta e la destra ecuadoriana e l’imperialismo non avevano avuto torto a trasformare il suo leader, Rafael Correa, nella bestia nera non solo dell’Ecuador ma della politica internazionale. Tradimento delle persone che lo hanno votato, del partito che lo ha candidato come presidente e di Rafael Correa, di cui Lenin Moreno è stato il vice-presidente e collaboratore più stretto, all’interno e all’esterno del paese, per dieci anni. Tradimento per aver attaccato un personaggio di cui diceva solo meraviglie durante la campagna elettorale, che lo ha lanciato al Palazzo di Carondolet e la cui enorme popolarità lo ha sostenuto nella vittoria in un ballottaggio al filo del rasoio. Il quale ha presentato queste caratteristiche, perché, già dalla campagna del primo turno, la destra locale e internazionale, i partiti del vecchio ordine, gli organismi delle grandi imprese e tutta l’oligarchia dei media in Ecuador e all’estero, hanno denunciato la truffa che sarebbe stata perpetrata dal Consiglio Nazionale Elettorale nella fase precedente alle elezioni e che sarebbe continuata il giorno del voto e nel successivo, mentre si contavano i voti. Un’accusa completamente infondata (come dimostrato all’incontro dei rappresentanti di CREO-SUMA, la forza politica che ha candidato Guillermo Lasso, con gli osservatori internazionali invitati a monitorare il processo elettorale). Alcuni di questi, per nulla simpatizzanti del governo di Correa, sono esplosi di indignazione  di fronte alla caterva di false accuse messe in piedi dai sostenitori di Lasso ed enormemente amplificati dai “media indipendenti”.

Nel summenzionato incontro con i membri del CREO-SUM, uno degli osservatori ha messo fine alle critiche dicendo: ‘non vogliamo pettegolezzi, fornite dati concreti’. Non l’hanno mai fatto e non hanno mai formalizzato una denuncia specifica davanti alla Corte per le Contese Elettorali. L’obiettivo di questa strategia calunniosa era chiaro: delegittimare la prevedibile vittoria di Moreno al primo turno, indebolire anticipatamente il suo governo e infiacchire lo spirito della nuova squadra di governo, nel caso il candidato della destra Guillermo Lasso fosse stato sconfitto al secondo turno. Nonostante le assurde e infondate accuse di frode, è certo che hanno prelevato il loro pedaggio sul fragile blocco  politico di Moreno e dei suoi collaboratori, che hanno relegato a un ruolo subalterno e minore Alianza País, un’organizzazione politica, che aveva dato ampie prove – vincendo in quattordici processi elettorali – della propria efficacia come meccanismo elettorale.

Ma il tradimento di Moreno difficilmente può essere spiegato solo da fattori psicologici, come se fosse solo la conseguenza infame di un’ambizione eccessiva. Né per errori grossolani di campagna, che hanno causato una vittoria molto serrata. La fulminante e sorprendente mutazione di orientamento politico dell’attuale presidente è al servizio di un progetto di restaurazione, per il quale è stato reclutato chi sa quando, come e in cambio di che cosa – dai settori tradizionali del potere in Ecuador e senza dubbio alcuno, da Washington, con l’oggetto preciso e inderogabile di distruggere definitivamente qualsiasi opzione progressista o di sinistra nel paese e, per estensione, eliminare chi, come Rafael Correa, ha incarnato questi ideali per dieci anni. Ovviamente, l’attuale presidente si è dimostrato inafferrabile e senza scrupoli, come personaggio che si è insinuato negli interstizi della struttura di governo e ha atteso con pazienza e astuzia l’occasione per  scaricare la sua pugnalata alle spalle, facendo onore alla citazione presente nel titolo di quest’articolo. Tutti sono stati colpiti, nella sua campagna, sia al primo che al secondo turno, dagli elogi esaltati verso Correa e dalla facilità con cui ha lanciato promesse demagogiche, impossibili da soddisfare. Il lancio del Plano Toda una Vida è emerso nelle ultime due settimane della campagna, al primo turno, come una risorsa per intensificarla, data la probabilità di non superare il 40% dei voti. Con questo piano, Moreno ha teso ad affossare la proposta di programma di Alianza País e a dare al suo discorso, fino a quel momento sempre vago, un carattere da grandi visioni e messaggi di speranza propri di un pastore tele-predicatore, mediante l’enunciazione di contenuti concreti e mete identificabili per gli elettori.

In quest’ottica, prometteva mari e monti: occupazione per tutti, case per tutti, salute per tutti, ma senza mai dire come avrebbe finanziato quelle politiche e quale sarebbe stato il suo progetto economico. Doveva essere quello che aveva iniziato il suo predecessore, ma in modo significativo non ha parlato dell’economia ecuadoriana, del dominio che, nonostante le trasformazioni introdotte da Correa, conservavano ancora i banchieri, gli oligopoli dei media, il capitale straniero; in breve, coloro che detenevano in Ecuador un potere reale, diverso e molto più forte di quello del governo. Non è passato inosservato a nessuno, come nelle fasi finali del secondo turno Moreno è diventato sempre più ricettivo alle rivendicazioni della destra, ha tacitamente ammesso le loro accuse di frode, ha ascoltato con indifferenza le loro querule lamentele per la mancanza di libertà di stampa in Ecuador e la necessità di riaprire un dialogo che, secondo loro, sarebbe stato soffocato da Correa. Per giunta, ci hanno sorpreso tutti le intempestive accuse di corruzione lanciate non appena assunta la carica di presidente, ombra indecente proiettata in modo indiscriminato contro funzionari dell’ex-governo, tranne lui, naturalmente. Se c’era tanta corruzione, come diceva Moreno, come mai ci sono voluti dieci anni, per rendersi conto di essere in un nido di persone corrotte? Dal momento che questo è improbabile, se la corruzione esisteva, lui ne è stato un complice; e se non c’è stata, il suo atteggiamento è stato un’infamia perpetrata per servire ancora una volta la coalizione di interessi che, alla fine del secolo scorso, ha precipitato l’Ecuador nella peggiore crisi della sua storia.

Lo smantellamento della Rivoluzione Cittadina non implica solo il ripristino scandaloso dei banchieri e dell’oligarchia dei media, ‘il potere dietro al trono’, come vera autorità di governo. L’impatto si avverte anche sulla cultura e i mezzi di comunicazione, con la razzia praticata nel giornale ufficiale ‘El Telegrafo’ che, seguendo la nuova ispirazione, annovera un ultra-corrotto come il presidente brasiliano Michel Temer come uno dei suoi collaboratori, mentre che notevoli intellettuali ecuadoriani sono stati espulsi dal giornale. Moreno non trova niente di sbagliato nel fatto che il panorama comunicativo del paese sia caduto ancora una volta in mani private o che media statali, come la Radio Pubblica dell’Ecuador, per esempio, diventi espressione critica pettegola di tutto ciò che prima elogiava.

Tuttavia, il morenismo è ben lungi dall’essere un blocco compatto al potere. Lo caratterizzano numerose contraddizioni. Da un lato, ci sono i sopravvissuti della fase precedente, progressisti che, per ora, lavorano nel settore delle politiche sociali, fino a quando la destra completerà l’epurazione effettuata nella pubblica amministrazione; contro di loro si erge uno sciame eterogeneo di gruppi aziendali che hanno preso il governo d’assalto, uniti dalla comune ambizione di saccheggiare l’economia nazionale e lo stato, in opposizione ad altri settori aziendali, che, lasciati al margine del festino, aspirano ad assumere direttamente le posizioni di controllo del governo senza mediazioni superflue come quella di Moreno e del suo gruppo. Questo assalto al governo da parte dei gruppi di grandi imprese è analogo a quello che ha avuto luogo in Argentina con l’avvento di Macri.

In entrambi i casi si è prodotto un singolare e deplorabile passaggio dal potere al governo, quando, in una democrazia, si suppone che il percorso sia al contrario: è il governo emerso dal voto popolare che deve conquistare il potere o almeno frammenti significativi di questo, se effettivamente vuole governare. Il risultato di questa inversione lo stiamo vedendo chiaramente in Argentina: svuotamento della democrazia, perdita della protezione sociale, concentrazione della ricchezza e intensificazione della violenza istituzionale per silenziare le proteste sociali. Non credo che la storia sarebbe molto differente in Ecuador, se si continuasse per la strada tracciata da Moreno.

Da quanto sopra risulta che, al di là della apparente varietà delle domande, il referendum di febbraio ha un solo obiettivo: eliminare la possibilità che Rafael Correa possa tornare a candidarsi alle elezioni. Ci sono tre domande cruciali che rivelano chiaramente il progetto politico del nuovo blocco imprenditoriale, che ha colonizzato i vertici dello Stato: due di loro sono finalizzate a garantire l’unica cosa che conta per l’impero e i suoi lacchè ecuadoriani: la messa al bando politica di Correa, la sua condanna all’ostracismo e, in tal modo, la liquidazione in pochi mesi della sua eredità politica, l’inversione delle trasformazioni avvenute negli ultimi dieci anni e la restaurazione dello stato nazionale nel suo ruolo tradizionale di subordinazione alle forze del mercato. Si tratta di domande inerenti la soppressione definitiva della possibilità che un cittadino o una cittadina possa ricandidarsi per la stessa carica, ledendo il diritto dei cittadini di presentarsi alle elezioni, di eleggere ed essere eletti, il tutto giustificato con lo scopo di garantire il principio di alternanza. L’altro quesito cerca di eliminare il Consiglio per la Partecipazione dei Cittadini e il Controllo Sociale, un organo che era il principale custode dello Stato di diritto e della separazione dei poteri, sancita nella Costituzione di Montecristi. Se questa modifica venisse approvata, le principali autorità dei vari rami e apparati dello stato passerebbero ‘temporaneamente’ a essere scelti a piacere dall’attuale presidente. In altre parole, si legalizzerebbe un colpo di stato.

Il terzo quesito, il numero sei del referendum, esprime con chiarezza esemplare il patto di Moreno con l’oligarchia finanziaria. Attraverso di esso, si cerca di abrogare la Legge del Plusvalore, che mira a ‘evitare speculazioni sul valore della terra e sulla tassazione’. In breve, ciò che è in ballo in questa mostruosità illegale e illegittima è l’eliminazione per sempre della presenza di Rafael Correa dalla politica ecuadoriana (e regionale); la restaurazione neoliberista dello stato ad opera delle grandi compagnie, come è avvenuto nell’Argentina di Macri, favorendo i capitalisti speculativi (di qui, la volontà di abrogazione della legge del plusvalore) e trasferendo il controllo delle posizioni chiave dell’apparato statale in mani private, stabilendo una sorta di CEOcrazia, che sarebbe un colpo mortale alle aspirazioni democratiche dei cittadini ecuadoriani.

Al tradimento, si aggiunge l’infamia di una mossa come questa. Chi come noi ha combattuto per un’America Latina unita e nella direzione della sua seconda e definitiva indipendenza, non può che esprimere la propria più ferma condanna dei disegni nefasti del governo ecuadoriano corrente e la fiducia nel popolo di questo paese, che saprà  bloccare questa manovra. Nel primo articolo, che ho scritto sulle importanti elezioni presidenziali del febbraio 2017, ho affermato che una nuova battaglia di Stalingrado veniva combattuta in Ecuador, decisiva non solo per il suo futuro, ma anche per quello di tutta l’America Latina. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando il candidato del vecchio regime è stato sconfitto, simbolo di un paese oppresso da una vorace oligarchia e dai suoi mentori del nord. Ma non avremmo mai immaginato che nel valoroso esercito cittadino impegnato nella vittoria di Moreno c’era un ‘cavallo di Troia’, una quinta colonna, disposta a tradire non solo il popolare leader dell’Ecuador, ma il progetto di trasformazione che ha incarnato. Se il popolo ecuadoriano arrivasse a sostenere la proposta di Moreno nel suo referendum, succederebbe che il paese sprofonderebbe, purtroppo per lui, nello stesso percorso opprimente, decadente e violento aperto da Mauricio Macri in Argentina. Uno sguardo sobrio a quello che sta accadendo nel mio paese dovrebbe essere sufficiente a convincere le Ecuadoriane e gli Ecuadoriani della necessità di evitare un risultato così disastroso. Il trionfo del NO nelle tre domande chiave del referendum aprirebbe invece le porte alla rinascita di una speranza, che è ora messa in ombra dall’obbrobrio di un tradimento.

[1][1]  Si vedano i quesiti del referendum in: http://www.eltelegrafo.com.ec/noticias/politica/2/estas-son-las-preguntas-oficiales-para-el-referendum-y-consulta-popular-en-ecuador

 

[trad. dal castigliano per Albainformazione di Marco Nieli]

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