Il Venezuela non è l’Ucraina

_mg_28951396122154La rappresentazione degli scontri in Venezuela è notevolmente deformata dai media occidentali. Questo è un classico conflitto fra destra e sinistra, ricchi e poveri.

di Mark Weisbrot – The Guadian

Le proteste attualmente in corso in Venezuela ricordano un altro momento storico in cui le rivolte di strada sono state usate da politici di destra nell’ambito del tentativo di rovesciare il governo eletto.

Dal dicembre del 2002 fino al febbraio 2003 ci furono scioperi per lo più di colletti bianchi dell’industria petrolifera nazionale, insieme ad alcuni imprenditori. I media statunitensi diedero a credere che la gran parte del paese era in sciopero contro il governo, quando in realtà si trattava di meno dell’uno per cento della forza lavoro.

La diffusione dei video fatti con i cellulari e dei social media nello scorso decennio hanno reso più difficile falsificare la rappresentazione di cose che possono essere facilmente filmate. Ma la situazione del Venezuela è ancora clamorosamente distorta dai principali mezzi di informazione. Il New York Times ha dovuto fare un errata corrige la scorsa settimana per un articolo che si apriva con la frase «L’unica stazione televisiva che trasmette regolarmente voci critiche verso il governo…». La realtà è che tutte le emittenti televisive private «trasmettono regolarmente voci critiche verso il governo». E i media privati hanno oltre il 90% del pubblico televisivo in Venezuela. Uno studio fatto dal Carter Center della campagna per le elezioni presidenziali lo scorso aprile ha mostrato un vantaggio del Presidente Maduro sullo sfidante Henrique Capriles in termini di copertura televisiva (57% contro 34%), ma quel vantaggio è sensibilmente ridotto quando si prendono in considerazione gli ascolti.

Sebbene si siano registrati abusi di potere e ci sia uno stato di diritto imperfetto in Venezuela (come capita in tutto l’emisfero), è ben lontano dall’essere lo Stato autoritario che la maggior parte dei consumatori di informazione occidentali sono portati a credere. I leader dell’opposizione cercano al momento di rovesciare il governo democraticamente eletto (è il loro fine esplicito) dipingendolo come una dittatura repressiva che sta soffocando proteste pacifiche. Questa è una tipica strategia di “cambiamento di regime”, che spesso comprende manifestazioni violente al fine di provocare violenza di Stato.

Gli ultimi numeri ufficiali parlano di otto vittime confermate fra i manifestanti dell’opposizione, ma non ci sono prove che queste siano il risultato degli sforzi da parte del governo di schiacciare il dissenso. Sono state uccise anche almeno due persone simpatizzanti del governo, e due motociclisti sono stati uccisi (uno decapitato) da fili metallici piazzati dai manifestanti. Undici delle cinquantacinque persone attualmente detenute per crimini che sarebbero stati commessi durante le proteste sono agenti delle forze dell’ordine.

Naturalmente la violenza è deplorevole da entrambe le parti, e i manifestanti detenuti (compreso il loro leader Leopoldo López) dovrebbero essere rilasciati su cauzione a meno che non ci sia un motivo legale e valido per la custodia cautelare. Ma è difficile argomentare, a partire da ciò che sappiamo, che il governo sta cercando di sopprimere una protesta pacifica.

Dal 1999 al 2003 l’opposizione venezuelana ha una strategia di «presa del potere manu militari», secondo Teodoro Petkoff, un giornalista di punta dell’opposizione che pubblica il quotidiano Tal Cual. In questo si scrivono il colpo di stato dell’aprile 2002 e lo sciopero petrolifero e padronale del dicembre 2002-febbraio 2003, che mise in ginocchio l’economia. Anche se l’opposizione alla fine ha optato per una via elettorale al potere, non è stato il processo che si vede nella maggior parte delle democrazie, in cui i partiti di opposizione accettano la legittimità del governo eletto e cercano di cooperare almeno su alcuni obiettivi comuni.

Una delle forze più importanti che hanno incoraggiato questa polarizzazione estrema è stato il governo degli Stati Uniti. È vero che altri governi di sinistra che hanno implementato cambiamenti economici di tipo progressista sono stati politicamente polarizzati: Bolivia, Ecuador e Argentina, ad esempio. Ma Washington si è impegnata per un “cambiamento di regime” in Venezuela più che in qualsiasi altro paese del Sudamerica; e non sorprende, dato che nel suo sottosuolo ci sono le più grandi risorse petrolifere del mondo. E questo ha sempre fornito ai politici di opposizione un forte incentivo a non lavorare nella cornice del sistema democratico.

Il Venezuela non è l’Ucraina, dove era possibile vedere i leader dell’opposizione collaborare pubblicamente con agenti statunitensi nei loro tentativi di rovesciare il governo, e non pagare apparentemente nessun prezzo per averlo fatto. Naturalmente gli Stati Uniti hanno aiutato l’opposizione venezuelana finanziandola: basta leggere i documenti del governo USA disponibili sul web per trovare circa 90.000.000 di dollari di finanziamenti statunitensi al Venezuela a partire dal 2000, compresi 5 milioni nell’attuale budget federale. Anche le pressioni per l’unità dell’opposizione e i consigli tattici e strategici aiutano: Washington ha decenni di esperienza nel rovesciare governi, e si tratta di un patrimonio di conoscenze specialistiche che non si imparano nei circuiti accademici. Ancora più importante è la sua enorme influenza sui media internazionali e quindi sull’opinione pubblica.

Quando John Kerry ha fatto dietro-front, ad aprile, riconoscendo i risultati delle elezioni venezuelane, ha determinato la fine della campagna dell’opposizione per il non riconoscimento. Ma la vicinanza della leadership dell’opposizione al governo statunitense è anche un punto di debolezza in un paese che è stato all’avanguardia della “seconda indipendenza” del Sud America iniziata con l’elezione di Hugo Chávez nel 1998. In un paese come l’Ucraina potevano sempre indicare la Russia (e ancora di più adesso) come una minaccia per l’indipendenza nazionale; i tentativi dei leader di opposizione venezuelani di dipingere Cuba come una minaccia per la sovranità venezuelana sono risibili. Sono solo gli Stati Uniti a minacciare l’indipendenza del Venezuela, con Washington che lotta per riprendere il controllo di una regione che ha perso.

A undici anni dallo sciopero petrolifero, le linee di divisione del 2002 non sono cambiate poi tanto. C’è l’ovvia divisione in classi, e c’è ancora una differenza percepibile in termini di colore della pelle fra l’opposizione (che è più bianca) e le folle partigiane del governo, cosa che non sorprende in un paese e in una macro-regione in cui il reddito e la razza sono spesso fortemente correlati.

Per quanto riguarda le leadership, una fa parte di un’alleanza macro-regionale anti-imperialista, l’altra ha Washington come alleato. E sì, c’è una grossa differenza fra le due leadership riguardo al rispetto per una democrazia elettorale ottenuta a duro prezzo, come è dimostrato dagli attuali scontri. Per l’America Latina, è una classica divisione fra sinistra e destra. Il leader dell’opposizione Henrique Capriles ha cercato di coprire questa distanza con una metamorfosi, trasformandosi dalla quintessenza della destra nel Lula del Venezuela nelle sue campagne presidenziali, lodando i programmi sociali di Chávez e promettendo di ampliarli. Ma ha avuto un atteggiamento altalenante per quanto riguarda il rispetto delle elezioni e della democrazia e, vistosi superato dall’estrema destra (Leopoldo López e María Corina Machado), la settimana scorsa ha rifiutato le offerte di dialogo del presidente. A conti fatti sono tutti troppo ricchi, elitari e di destra (pensate a Mitt Romeny e al suo disprezzo per il 47%) per un paese che ha ripetutamente votato per dei candidati che proponevano una piattaforma socialista.

Nel 2003, poiché non controllava l’industria petrolifera, il governo non aveva ancora mantenuto molte delle sue promesse. Un decennio più tardi, la povertà e la disoccupazione sono state ridotte di oltre la metà, la povertà estrema di oltre il 70%, e milioni di persone hanno pensioni che non avevano prima. La maggior parte dei venezuelani non getteranno via tutto questo perché hanno avuto un anno e mezzo di inflazione alta e una maggiore scarsità di beni di consumo. Nel 2012, secondo la World Bank, la povertà è diminuita del 20%, la diminuzione più sensibile nelle Americhe. I recenti problemi non durano da abbastanza tempo affinché la maggior parte della gente abbandoni un governo che ha innalzato il loro tenore di vita più di qualsiasi altro da decenni a questa parte.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Pier Paolo Palermo – Si ringrazia Shirley Moore per la segnalazione]

 

Contro il terrorismo mediatico

di Geraldina Colotti

Appello congiunto di reti e associazioni di giornalisti alle testate internazionali

«L’incappucciato si afferra i geni­tali in segno di sfida alle forze dell’ordine, ferme a 150 metri. Grida insulti, mostra l’arma da fuoco». Così il gior­na­li­sta della Bbc descrive quel che ha visto durante le pro­te­ste nello stato Merida, in Vene­zuela. Scene a cui ha assi­stito anche il mani­fe­sto.

La Guar­dia nacio­nal boli­va­riana ha l’ordine di non spa­rare, si ripara con gli scudi, a volte prende fuoco per le molo­tov tirate fra i piedi dagli oltran­zi­sti. Dif­fi­cile dire quanti siano gli stu­denti che par­te­ci­pano a que­sto tipo di pro­te­sta, com­menta il gior­na­li­sta. Dalle testi­mo­nianze dei cit­ta­dini, a con­trol­lare le bar­ri­cate vio­lente (le gua­rim­bas), vi sono anche delin­quenti comuni che taglieg­giano e rapi­nano chi vuol tor­nare a casa. Di certo non sono «paci­fici» come pre­tende la Cnn, che d’altro canto – come fanno tutte le testate – for­ni­sce ai suoi inviati casco, maschera e giub­botto anti­pro­iet­tile. Dal Merida viene lo stu­dente arre­stato con l’accusa di aver inqui­nato le acque della zona ver­san­dovi litri di gaso­lio. Le uni­ver­sità vene­zue­lane hanno sem­pre for­nito l’innesco ai con­flitti sociali, e in par­la­mento sie­dono oggi ex lea­der stu­den­te­schi, sia di destra che di sini­stra.

L’irruzione del socia­li­smo boli­va­riano ha d’altronde scom­pa­gi­nato la stessa divi­sione tra destra e sini­stra che esi­steva nella IV repub­blica, evi­den­ziando la pro­fonda crisi di rap­pre­sen­tanza dei par­titi tra­di­zio­nali. Allora, durante le demo­cra­zie nate dal patto di Punto Fijo, la com­pa­gine di cen­tro­de­stra (Copei) e quella di cen­tro­si­ni­stra (Ad) si spar­ti­vano il potere, da cui erano esclusi sia il Par­tito comu­ni­sta che i mili­tari pro­gres­si­sti, a cui era proi­bito votare. E fu durante il governo del social­de­mo­cra­tico Car­los Andrés Perez, che seguì le ricette del Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale, che si veri­ficò la gigan­te­sca rivolta della popo­la­zione allo stremo, nel 1989 (il «cara­cazo»). E fu Pérez a ordi­nare all’esercito di spa­rare sulla folla, pro­vo­cando migliaia di morti. Su quel tipo di ferita si è coa­gu­lato un nuovo blocco sociale alter­na­tivo rap­pre­sen­tato dall’allora tenente colon­nello Hugo Cha­vez, uscito dal car­cere dopo aver diretto una ribel­lione civico-militare.

L’arco di oppo­si­zione – la Mesa de la uni­dad demo­cra­tica (Mud) – va dai par­titi tra­di­zio­nali della IV repub­blica, all’estrema destra, ai rima­su­gli del gruppo armato Ban­dera Roja che ha rifiu­tato il cha­vi­smo, all’ibrido di Un nuevo tiempo, che si dice di cen­tro­si­ni­stra e cova avan­guar­die oltran­zi­ste. Sono in campo due modelli di paese: quello del socia­li­smo boli­va­riano che, pur con tutti i suoi limiti, ha messo in causa i rap­porti di pro­prietà, e un altro oppo­sto e varia­mente para­me­trato sui para­digmi delle demo­cra­zie «modello Fmi». Lo scon­tro ha finora pro­dotto 37 morti e danni per milioni di dol­lari alle strut­ture pub­bli­che (scuole, biblio­te­che, par­chi). Dal 12 feb­braio, sono stati sco­perti vari arse­nali desti­nati ai para­mi­li­tari, e diversi cit­ta­dini stra­nieri sono stati arre­stati a seguito delle inter­cet­ta­zioni tele­fo­ni­che a un gior­na­li­sta di Rctv (l’emittente coin­volta nel colpo di stato del 2002). «In un copione scritto a Washing­ton, i media svol­gono un ruolo simile a quello che hanno avuto nei mas­sa­cri del 1994 in Ruanda», hanno denun­ciato diverse reti, asso­cia­zioni di gior­na­li­sti e «comu­ni­ca­tori sociali per la pace». Nel comu­ni­cato finale, i gior­na­li­sti hanno invi­tato i col­le­ghi delle testate inter­na­zio­nali e l’Organizzazione inter­na­zio­nale dei media comu­ni­tari a recarsi nel paese per con­tra­stare «il ter­ro­ri­smo media­tico».


Ieri, il Vati­cano ha comu­ni­cato di essere dispo­sto e anzi desi­de­roso di mediare tra governo e oppo­si­zione, come ha indi­cato la mis­sione di pace della Una­sur. «Per noi va bene – ha detto Maduro – ma il media­tore per­derà il suo tempo, per­ché l’opposizione rifiu­terà il dia­logo». Gli oltran­zi­sti capi­ta­nati da Maria Corina Machado (grande spon­sor degli Usa) hanno infatti già rispo­sto: niente dia­logo fin­ché non sarà libe­rato il lea­der di Volun­tad popu­lar, Leo­poldo Lopez, in car­cere con l’accusa di asso­cia­zione a delin­quere con fina­lità di ter­ro­ri­smo. Il loro obiet­tivo è quello di otte­nere, con ogni mezzo, la rinun­cia del «dit­ta­tore Maduro, servo dei cubani». Una dit­ta­tura – dice una vignetta che impazza in Vene­zuela – è quella in cui puoi girare in mac­china con un car­tello di «S.o.s Vene­zuela» (la cam­pa­gna di oppo­si­zione) senza che ti suc­ceda niente. Una demo­cra­zia è quella in cui se porti in giro la scritta «No alle gua­rim­bas» ti spac­cano la mac­china e pure la faccia.

 

(VIDEO) Il Presidente Nicolás Maduro incontra gli studenti

Il 28 marzo 2014, il Presidente Maduro incontra al Poliedro di Caracas gli studenti medi.   

Ambasciatori dei Paesi dell’ALBA emettono comunicato congiunto

Comunicato degli Ambasciatori dei Paesi membri dell’ALBA, accreditati presso il Governo Italiano e gli Organismi delle Nazioni Unite a Roma

Roma, 28mar2014.- Gli Ambasciatori dei Paesi membri dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe – ALBA – accreditati presso il Governo Italiano e gli Organismi delle Nazioni Unite a Roma, condannano nel modo più assoluto gli atti e i piani destabilizzanti organizzati dall’opposizione e dai movimenti fascisti internazionali, che attentano contro la sovranità e la convivenza pacifica della fraterna Repubblica Bolivariana del Venezuela, causando ingiustificate e lamentabili perdite di vite umane.

Denunciamo la complicità dei grandi gruppi mediatici che violando l’etica professionale, costruiscono false campagne destinate a disinformare i popoli del mondo, con il fine di istigare alla violenza e a favorire i piani golpisti.

Riaffermiamo il nostro appoggio incondizionato ai processi guidati dal Presidente Nicolás Maduro per preservare la prosperità costruita ed il benessere e la libertà raggiunte dal popolo venezuelano, riconoscendoci negli sforzi consacrati per consolidare l’unità e l’integrazione regionale.

Salutiamo le iniziative come la Conferenza Nazionale di Pace, promossa dal Governo e dai cittadini venezuelani, che riafferma la dichiarazione ed il riconoscimento dell’America Latina e dei Caraibi come zona di pace e contro la guerra, sancita dall’accordo sottoscritto dai capi di Stato e di Governo durante l’ultimo Vertice della Celac celebrato a La Habana.

Riaffermando ed attualizzando i sentimenti dei nostri popoli a favore della libertà, della democrazia e la difesa dell’ordine costituzionale, uniamo le nostre voci a quelle delle centinaia di organizzazioni di solidarietà, politiche e sociali, così come della maggioranza dei governi ed istituzioni regionali, che vedono in questo nuovo intento golpista un rischio per l’intera regione.

[Si ringrazia Alfredo Viloria per la segnalazione]

 

XI Congresso Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba

LocandinaA3ItaCubadi Marco Papacci

Nei giorni 28 al 30 Marzo si svolgerà a Genova presso la sala del CAP il Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, associazione storica nata a Genova nel 1961. 

Saranno presenti al congresso una delegazione cubana composta da Elio Gamez Neyra – primo Vice-presidente dell’Istituto Cubano di Amicizia con i Popoli (ICAP), Gladys Ayllon Oliva – direttrice per l’Europa dell ICAP,  Roberto Rodriguez Dicks – resposabile di Area Specialista per l’Italia dell’ICAP, Milagros Carina Soto Aguero – Ambasciatrice cubana in Italia, Eduardo Vidal – Console generale cubano in Italia.

Porteranno i saluti rappresentanti di Comune, Provincia e Regione, parlamentari, e responsabili di diverse associazioni tra cui ARCI, ANPI, Italia-Nicaragua, Cuba-Salvador, Viva Cuba (cubani residenti in Liguria), Comunità di San Benedetto.

I principi ispiratori che  hanno guidato il nostro lavoro si trovano nell’articolo 1 del nostro Statuto: “L’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba è l’organizzazione democratica delle persone che vogliono operare, nel rispetto della Costituzione italiana, per lo sviluppo dei rapporti internazionali di amicizia, di solidarietà e cooperazione con il popolo cubano e i suoi legittimi rappresentanti.

L’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba si ispira agli ideali della Resistenza italiana e della Rivoluzione cubana, ai principi della solidarietà, dell’uguaglianza e della fraterna collaborazione tra i popoli, contro ogni forma di razzismo e di oppressione, per la salvaguardia dei diritti umani collettivi e individuali, per il consolidamento della pace nel mondo.
L’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba è un’associazione di promozione sociale autonoma e pluralista e si colloca nel vasto movimento progressista e antifascista del nostro Paese”.

In tutti questi anni ci siamo distinti per  coerenza, coesione ed unità d’intenti con metodo democratico che sono stati gli strumenti che ci hanno permesso di portare avanti una informazione e una solidarietà vera e reale nei confronti dell’Isola e della sua Rivoluzione

Le serate di Venerdi e Sabato saranno ricche di eventi con spettacoli teatrali (Por la Vida – dedicato alle Madres de Plaza de Mayo), concerti (Bricchi Gotti e Lambicchi – Malsuerte FI-SUD) e balli cubani.

 

Venezuela oggi e Burkina Faso ieri: una…

… lettera aperta al Circolo Arci Thomas Sankara di Messina

di Francesco Cecchini (*)   

Cari amici e amiche, compagni e compagne,

conosco il vostro impegno culturale sociale che onora il nome di Thomas Sankara.   

Vedo che il Circolo organizza sabato 22 marzo un evento/dibattito sul Venezuela con la seguente premessa:

Il Circolo Arci Thomas Sankara riapre le proprie finestre sul mondo, dopo il racconto sulla mobilitazione popolare in Mali è la volta della mobilitazione studentesca in Venezuela.

Iniziata il 4 febbraio, dopo che una denuncia di tentato stupro da parte di una studentessa universitaria di San Cristobal ha scatenato un’ondata di proteste contro l’insicurezza e la situazione economica che si è estesa a tutto il Paese. Proteste che il governo di Maduro ha liquidato come parte di un complotto “golpista” e “fascista”, censurando i media e i social network. Gli studenti denunciano stupri, torture e sequestri. Riappare la parola desaparecidos. Mostreremo video realizzati dagli studenti e immagini di media indipendenti. Intervengono la dott.ssa MATILDE ELIZABETH RAMIREZ BRICENO, socia venezuelana del circolo, il prof. DANIELE POMPEJANO docente di storia dell’America Latina (Università di Messina). E’ previsto un collegamento Skype con il Venezuela.

In Venezuela, l’inflazione è al 56,2%. C’è una penuria di generi di prima necessità che nel caso della carta ha esiti grotteschi (la scomparsa di quella igienica) e inquietanti (il rischio di chiusura dei giornali, soprattutto quelli di opposizione).

L’insicurezza è indicata dai 23.763 omicidi commessi nel 2013: uno ogni 20 minuti, per un totale di 200 mila nei 15 anni di governo prima di Hugo Chávez e adesso di Nicolás Maduro, con un tasso – il 5° al mondo – passato dai 19 omicidi ogni 100 mila abitanti del 1998 ai 79 attuali.

Il deterioramento del pluralismo informativo, dopo che le minacce di azioni penali e multe draconiane hanno intimidito i media non allineati al punto che i proprietari della tv critica Globovisión hanno deciso – per disperazione – di vendere a un imprenditore filo-chavista, è testimoniato da quanto successo il 13 febbraio: mentre la violenza nelle manifestazioni dilagava, c’è stato un black-out informativo interrotto solo da reti sociali e dalla tv colombiana Ntn 24. Questa a un certo punto è stata bruscamente oscurata e poco dopo è stato bloccato anche Twitter…. («LIMES, rivista italiana di geopolitica»).

Care e cari,

vi vorrei invitare a tener conto di altre informazioni. A esempio di quanto ha scritto Ignacio Ramonet sull’ultimo numero del mensile «Le Monde Diplomatique»; è il direttore dell’edizione spagnola di «Diplò» e profondo conoscitore dell’America Latina, compreso il Venezuela. Ecco il testo.

Nei mesi scorsi, in Venezuela, ci sono state quattro elezioni decisive: due presidenziali, il voto per i governatori e infine le municipali. Tutte vinte dal blocco della rivoluzione bolivariana. Nessun risultato è stato impugnato dalle missioni degli osservatori internazionali. La votazione più recente ha avuto luogo appena due mesi fa… E si è conclusa con una netta vittoria –l’ 11,5% di differenza – dei chavisti. Da quando Hugo Chávez ha assunto la presidenza nel 1999, tutte le tornate elettorali mostrano che, sociologicamente, l’appoggio alla rivoluzione bolivariana è maggioritario.

In America latina, Chávez è stato il primo leader progressista – dai tempi di Salvador Allende – che ha scelto la via democratica per arrivare al potere. Non si può capire il chavismo se non si considera il suo carattere profondamente democratico.

La scommessa di Chávez ieri, e di Nicolás Maduro oggi, è il socialismo democratico. Una democrazia non solo elettorale. Anche economica, sociale, culturale… In 15 anni il chavismo ha consentito a milioni di persone – che in quanto poveri non avevano carta d’identità – lo statuto di cittadini e ha consentito loro di votare. Ha devoluto oltre il 42% del bilancio dello Stato agli investimenti sociali. Ha tolto dalla povertà 5 milioni di persone. Ha ridotto la mortalità infantile. Ha sradicato l’analfabetismo. Ha moltiplicato per cinque il numero di maestri nella scuola pubblica (da 65.000 a 350.000). Ha creato 11 nuove università. Ha concesso pensioni d’anzianità a tutti i lavoratori (incluso quelli del settore informale)… Questo spiega l’appoggio popolare che ha sempre avuto Chávez, e le recenti vittorie elettorali di Nicolás Maduro.

Perché allora le proteste? Non dimentichiamo che il Venezuela chavista – che custodisce le principali riserve di idrocarburi del pianeta – è stato (e sarà) sempre oggetto di tentativi di destabilizzazione e di campagne mediatiche sistematicamente ostili.

Nonostante si sia unita sotto la leadership di Henrique Capriles, l’opposizione ha perso quattro elezioni in successione. Di fronte a questo fallimento, la sua frazione più di destra, legata agli Stati uniti e diretta dal golpista Leopoldo López, punta ora su un colpo di stato a lenta combustione. E applica le tecniche del manuale di Gene Sharp.

In una prima fase: creare lo scontento mediante l’accaparramento massiccio dei prodotti di prima necessità; far credere nell’incompetenza del governo; fomentare manifestazioni di scontento; e intensificare la persecuzione mediatica.

Dal 12 febbraio, gli oltranzisti sono passati alla seconda fase, propriamente insurrezionale: utilizzare lo scontento di un gruppo sociale (una minoranza di studenti) per provocare proteste violente, e arresti; organizzare manifestazioni di solidarietà con i detenuti; introdurre tra i manifestanti pistoleri con il compito di provocare vittime da ambedue i lati (la perizia balistica ha stabilito che gli spari che hanno ucciso a Caracas, il 12 febbraio, lo studente Bassil Alejandro Dacosta e il chavista Juan Montoya provenivano dalla stessa pistola, una Glock calibro 9 mm); incrementare le proteste e il loro livello di violenza; raddoppiare l’attacco mediatico, con l’appoggio delle reti sociali, contro la repressione del governo; fare in modo che le grandi istituzioni umanitarie condannino il governo per l’uso smisurato della violenza; ottenere che i governi amici lancino avvertimenti alle autorità locali.…

Siamo in questa tappa. E dunque: è a rischio la democrazia in Venezuela? Sì, perché è minacciata, una volta di più, dal golpismo di sempre.

Certamente è importante analizzare e capire anche quali cambiamenti in Venezuela sono necessari. Nello stesso numero di «Le Monde dipolomatique» in un articolo intitolato «Nuovi strumenti per gli obiettivi rivoluzionari» Jaques Sapir afferma che contro la destabilizzazione tentata dalla destra e dall’élite si impongono, in campo monetario e di bilancio, nuove misure economiche di breve e lungo periodo. Ma è prioritaria la difesa e il sostegno della rivoluzione bolivariana, per quello che significa per Venezuela, America Latina e il mondo intero, contro il golpismo interno e l’imperialismo degli Stati Uniti.

Voi che avete intitolato il circolo a Sankara sapete bene quanto sia feroce l’imperialismo contro chi osa ribellarsi

Grazie per l’attenzione.

Un caro saluto e buon lavoro,

Francesco Cecchini
(*) Mentre scrivevo questa nota il vento della crisi ha investito l’Arci, mettendo in rilievo le contraddizioni fra una concezione istituzionale e una movimentista dell’organizzazione. Ne può nascere un reale rinnovamento dell’Arci e una sua maggiore presenza nel fronte delle lotte politiche, sociali e culturali. Leggendo «il manifesto» del 18 marzo ho appreso che l’Arci sostiene il legittimo governo del Venezuela. Dell’iniziativa del circolo Thomas Sankara di Messina, intitolata «CARACAS BRUCIA», ho saputo perché invitato. Dissento da un’ impostazione che non prende una chiara e netta posizione a favore della rivoluzione bolivariana; l’oratrice ufficiale Elizabeth Ramirez accusa apertamente il governo di Maduro di essere una dittatura. Da qui la mia lettera aperta. Segnalo anche per chi volesse sentire una campana diversa dai media italiani tutti schierati contro la Rivoluzione bolivariana:

– un ottimo articolo di Marina Correggia: «L’ ALBA, HUGO CHAVEZ E L’AFRICA», dove si accenna anche a Thomas Sankara; mi piacerebbe che fosse letto sabato a Messina per onorare sia la memoria di Hugo che quella di Thomas.

– le riflessioni di Valerio Evangelisti: Venezuela, la repubblica degli accattoni

pubblicate il 9 marzo 2014 nella rivista «Carmilla» (http://www.carmillaonline.com)

Il modo indicativo ed imperativo nella comunicazione

di Vicente Romano

Estratto da La intoxicación lingüística. El uso perverso de la lengua. Caracas

Ediciones Correo del Orinoco, correodelorinoco.gob.ve

 

Il testo del professor Romano, di cui qui si propone un piccolo estratto tratto dal libro La intoxicación lingüística. El uso perverso de la lengua, analizza il modo in cui l’autoreferenzialità assoluta si presenta come uno degli aspetti con i quali si definisce la cultura imperiale. L’ideologizzazione della realtà mediante l’uso strumentale del linguaggio, tema principale del libro, veicolata dai moderni mezzi di comunicazione (stampa, televisione satellitare, Internet, ecc.) garantisce in modo autoreferenziale la secolarizzazione morale di teorie economico-politiche originariamente teologiche. Sotto questa luce diventa immorale tutto ciò che non rispetta i termini contrattualistici che la potenza occultante del linguaggio ideologico universalmente condiviso propone. Pertanto chi se ne discosta da questa logica, è considerato una minaccia alla propria assolutezza paranoica. La più fondamentale delle domande economiche di miliardi di persone in tutto il mondo, il bisogno concreto al nutrimento, all’igiene e alle cure mediche (compreso il diritto a far rispettare i fondamentali diritti dei popoli) è sostituita dagli economisti e dai governanti da quella del denaro atto a soddisfarli. L’elaborazione linguistica praticata per raggiungere questo scopo, nonostante tutto quello che comporta a livello di condizionamenti subiti e le sue reali mistificazioni, rende intelligibile e significativa la sua presenza all’interno dei rapporti di lavoro e di produzione così come li conosciamo. Ciò è all’origine di tutti i presupposti materiali, psicologici e militari di una complicità occultata dal lavoro linguistico che reprime quegli stessi principi fondamentali che i governanti e gli economisti invocano.

Vincenzo Paglione

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Il modo indicativo e imperativo

Il modo con il quale si presenta il discorso diretto è quello dell’indicativo e dell’imperativo. È la parola che, come affermava Marcuse, “induce ad agire, comprare e accettare”. E tutto ciò si veicola mediante uno stile conciso, con una sintassi compressa e condensata che impedisce lo sviluppo del vero significato che si cela in ogni singola espressione. Non ammette né contraddizioni né sfumature. La definizione chiusa con la quale si presentano i concetti può corrompere il discorso a tal punto da consentire in nome della libertà di espressione il bombardamento dei giornali e delle emittenti radiofoniche e televisive, oppure definire la guerra come “pace” e le vittime “danni collaterali”. La guerra criminale contro la Iugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq o il Libano, può servire da esempio per descrivere questa perversione del linguaggio. All’interno di questa logica della ragione pervertita gli affari di guerra e gli effetti che essi producono, così come gli interessi privati di coloro che si arricchiscono con la distruzione e la morte, s’identificano con i vantaggi della pace e gli interessi generali fondati sul bene comune.

Le proposizioni di questo linguaggio indifferenziato, magico, sono intimidatorie e allo stesso tempo glorificatrici. Sono le forme di ordini suggestivi, più evocativi che dimostrativi. Si tratta del discorso ipnotico della réclame pubblicitaria o di quello della brutalità imperativa dell’ “ordino e comando”, se il caso lo richieda. È il linguaggio unidimensionale che incalza la formazione dell’uomo unidimensionale.

La frequenza con la quale si esibiscono le abbreviature (come NATO, ONU, UE, ecc.) ostacola l’impostazione delle domande non fatte. In questo modo, NATO non suggerisce la stessa cosa se dicessimo Organizzazione del Trattato Atlantico Nord. In questo caso c’è da chiedersi cosa fanno al suo interno paesi come la Turchia, la Grecia o l’Italia, poiché non condividono nulla con l’Atlantico Nord o che le loro truppe in questo momento stiano difendendo gli interessi delle grandi multinazionali petrolifere usa-americane in Asia centrale.

Il discorso chiuso presenta la realtà in termini dicotomici di buoni e cattivi. Non dimostra né spiega, solo insegue il controllo riducendo le forme e i simboli della riflessione, l’astrazione, la contraddizione e la dialettica della complessa realtà sociale in immagini semplificatrici. E nonostante le persone non credano in questo linguaggio o lo ignorino, tuttavia essi agiscono d’accordo a esso, seguendo le sue indicazioni.

Nel frattempo i mezzi di comunicazione impiegano con sempre maggiore frequenza l’indicativo nella vita pubblica. Nella realtà la gente si domanda quotidianamente cosa succederebbe se…  Ciò ha a che fare con l’imperativo dalla parola “breve” e con la brevità della trasmissione tecnica. L’informazione televisiva rafforza questa tendenza. Un’immagine mostra quello che presenta. Il linguaggio deve spiegare il significato plurale delle cose, la relatività dei concetti. Ma, per ragioni di tempo e di spazio, non consente nessun congiuntivo né condizionale, nessuna subordinata. Lo sguardo fugace verso i piccoli segni si può compensare con le illusioni che si ricavano da Internet, seduti comodamente nella propria postazione. Ma ciò non fornisce nessuna certezza. Se è ciò quello che si desidera, bisogna che ciascuno di noi la verifichi per se stesso attraverso l’interazione con la realtà e con gli altri esseri umani, mediante il dialogo costruttivo.

[Trad. dal castigliano per AlbaInformazione di Vincenzo Paglione]

Gli Usa annunciano: «Sanzioni a Caracas, ma escludiamo l’intervento militare»

di Geraldina Colotti – Il Manifesto

Caracas, 27mar2014.- San­zioni eco­no­mi­che sì, ma nes­sun inter­vento mili­tare in Vene­zuela. Parola di Roberta Jacob­son, sot­to­se­gre­ta­ria di Stato Usa per l’Emisfero occi­den­tale: «Se non c’è movi­mento, se non c’è pos­si­bi­lità di dia­logo, se non c’è spa­zio demo­cra­tico per l’opposizione, è chiaro che dovremo pen­sare alle san­zioni, e ci stiamo pen­sando — ha affer­mato Jacob­son -, ma nes­suno sce­na­rio include azioni militari».

Una pro­po­sta di legge bipar­ti­san per chie­dere a Obama san­zioni al Vene­zuela è stata pre­sen­tata alle due camere. Intanto il Con­so­lato Usa ha già ridotto i visti turi­stici ai vene­zue­lani, addu­cendo dif­fi­coltà di per­so­nale: dovuta all’espulsione di tre fun­zio­nari con­so­lari Usa, accu­sati di orga­niz­zare piani ever­sivi, e alla suc­ces­siva ritor­sione di Washing­ton nei con­fronti dell’ambasciatore vene­zue­lano. Cara­cas ne ha nomi­nato un altro, chie­dendo la nor­ma­liz­za­zione dei rap­porti «su un piano di rispetto reci­proco», ma Jacob­son ha rin­viato la deci­sione «a quando si sarà con­so­li­dato il dia­logo fra tutte le parti».

Ha anche espresso pre­oc­cu­pa­zione per la deci­sione delle auto­rità vene­zue­lane di togliere l’immunità par­la­men­tare a Maria Corina Machado e ha defi­nito «deplo­re­vole» che la set­ti­mana scorsa la depu­tata di oppo­si­zione non abbia potuto inter­ve­nire alla sezione pub­blica dell’Organizzazione degli stati ame­ri­cani (Osa), boc­ciata dalla maggioranza.

Il Panama, che ha richie­sto l’invio di una mis­sione Osa con­tro il governo Maduro, ha pro­vo­cato la rot­tura degli accordi diplo­ma­tici e com­mer­ciali con Cara­cas. E in seguito ha ceduto il suo diritto di parola a Machado, grande spon­sor degli Usa nel suo paese, attiva nel golpe con­tro Cha­vez del 2002. Secondo il pre­si­dente dell’Assemblea, Dio­sdado Cabello, Machado ha vio­lato la costi­tu­zione accet­tando di rap­pre­sen­tare un paese stra­niero senza l’autorizzazione del par­la­mento. E per que­sto è stata destituita.

Non ha però smesso di isti­gare le piazze alle “gua­rim­bas” — bar­ri­cate di chiodi, cemento e spaz­za­tura incen­diata — che hanno già pro­vo­cato 36 morti e milioni di dol­lari di danni: pensa di vin­cere così lo scon­tro per il potere in corso nella Mesa de la uni­dad demo­cra­tica (Mud) ege­mo­niz­zato dalle com­po­nenti più oltran­zi­ste. Su di lei pende però una denun­cia e la deci­sione della magi­stra­tura, che potrebbe por­tarla in car­cere come Leo­poldo Lopez (lea­der del par­tito di estrema destra Volun­tad popu­lar) e a due sin­daci di oppo­si­zione che hanno diretto, incap­puc­ciati, gli scon­tri violenti.

Il governo man­tiene il con­trollo poli­tico e mili­tare del paese, ma in alcune zone (soprat­tutto alla fron­tiera e nei quar­tieri agiati della capi­tale), i gruppi vio­lenti (e anche armati) con­ti­nuano i bloc­chi stra­dali e gli attac­chi ai mili­tanti cha­vi­sti e alle strut­ture pubb­bli­che: case popo­lari, cen­tri medici, biblio­te­che, uni­ver­sità, tra­sporti gratuiti…

Dal ’99 a oggi, il socia­li­smo boli­va­riano ha desti­nato ai pro­getti sociali circa 623.508 milioni di dol­lari: la cifra più alta di tutto il Suda­me­rica. Uno spreco, secondo l’opposizione che ha salu­tato la pro­po­sta del Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale di tor­nare nel paese, da cui è stato espulso durante il governo Cha­vez: per «aiu­tare» l’economia venezuelana.

Ieri, la com­mis­sione della Una­sur, a Cara­cas per age­vo­lare il pro­cesso di pace, ha incon­trato i rap­pre­sen­tanti stu­den­te­schi della destra, finora sordi agli inviti al dia­logo rivolti dal pre­si­dente Nico­las Maduro. Il governo ha intanto deciso di instal­lare un Con­si­glio nazio­nale per i diritti umani per rac­co­gliere «ogni tipo di denuncia».

E per domani è pre­vi­sta una mani­fe­sta­zione ambien­ta­li­sta, orga­niz­zata dal cha­vi­smo per denun­ciare i danni all’ambiente pro­vo­cati dalle vio­lenze e riba­dire le linee pro­gram­ma­ti­che dell’eco-socialismo appro­vate dall’Assemblea nazio­nale «per pre­ser­vare la natura attra­verso uno svi­luppo respon­sa­bile, equi­li­brato, ecologico».

La resistenza della rivoluzione bolivariana e l’isolamento degli Stati Uniti


di Gianmarco Pisa

La vittoria conseguita dal Venezuela nell’ambito della filo-statunitense Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ha ancora di più mostrato la tenuta della solidarietà latino-americana e le difficoltà degli Stati Uniti in un mondo multipolare. Nel voto del 21 marzo, in ordine alla situazione in Venezuela e ad una ipotesi di condanna del governo bolivariano per le violenze di piazza, fomentate in realtà dalle opposizioni interne e da settori golpisti nazionali e internazionali, 21 Paesi hanno votato contro, 9 si sono astenuti e solo 3 a favore (al solito, Stati Uniti, Canada e Panama).

Sarebbe ingenuo negare gli effetti di tale contraccolpo sul Dipartimento di Stato: durante la visita di Joe Biden, in Cile, in occasione dell’inaugurazione del nuovo mandato presidenziale di Michelle Bachelet, il vicepresidente USA ha dichiarato come uno dei suoi compiti principali sia quello di spingere sui governi dell’America Latina per cambiarne la posizione su quanto accade in Venezuela e per disarticolare la rete di solidarietà latino-americana con il Venezuela.

La pressione sulla OSA da parte della destra continentale, con gli Stati Uniti in testa, è accompagnata da una campagna mediatica feroce, che ha il doppio scopo di promuovere il fascismo e sostenere le politiche interventiste, che sembrano piuttosto isolate in questo momento, se persino in sede OSA gli Stati Uniti sono rimasti, praticamente, da soli. A titolo di esempio, l’ex presidente colombiano Pastrana ha parlato di “chiara violazione” della democrazia da parte di Maduro.

I 96 ex presidenti raggruppati nel “Club di Madrid” hanno rilasciato poi una dichiarazione a sostegno dei fascisti e dei golpisti, anche in questo caso per attivare l’opinione pubblica internazionale a sostegno di una ulteriore pressione e ingerenza, di chiara matrice golpista ed eversiva, contro il governo democratico in Venezuela. Nella lista del “Club” figurano nomi noti come José María Aznar, Vicente Fox, Alejandro Toledo, Oscar Arias, Felipe Calderón, Sanchez de Lozada.

Nonostante tutte queste manovre e le pratiche eversive delle forze reazionarie legate a siffatti circuiti di quello che una volta, prima del mondo multipolare, si sarebbe definito Washington Consensus, la posizione del governo bolivariano in ambito internazionale, in particolare in America Latina, resta solida e gli stessi progetti dei golpisti sempre più perdono terreno.

Nel frattempo, il capo della parte più fascista e oltranzista della destra venezuelana, Leopoldo Lopez ha ribadito il carattere del suo tentato golpe, in una comunicazione che è stata letta in una delle ultime manifestazioni della destra, dove non ha mancato di minacciare il presidente Maduro: «Chiedo a Dio di illuminare il tuo passo e che decida di dimetterti per aprire la strada ad un futuro migliore per tutti i venezuelani… fino alla solitudine del potere che non ha la capacità di guidare i destini della nazione se non con la repressione e la violenza; e come sarebbe bello il Venezuela, se solo decidessi di farti da parte». Tale spavalderia mira a sostenere lo spirito della base militante del fronte più oltranzista della destra, ma, in certa misura, anche a nasconderne il sostanziale fallimento.

La risposta all’eversione è soprattutto sul terreno economico e sociale. La settimana scorsa il governo bolivariano ha firmato accordi istituzionali per stabilire prezzi equi per vari prodotti di largo consumo, concordando questa “politica sociale dei prezzi” con alcune grandi imprese come Nike, Converse, Everlast, Vita Kids, Adidas, Locatel, Farmatodo e Farmahorro.

Maduro ha accolto gli imprenditori nel palazzo presidenziale e ha dichiarato che la soluzione ai problemi economici, legati anche al sabotaggio, al saccheggio e alla guerriglia economica del fronte golpista, è possibile grazie al dialogo nazionale e alla Conferenza di Pace in corso nel Paese, un forum di dialogo e di confronto per individuare le soluzioni ai problemi, e anche un luogo di ulteriore consolidamento del processo bolivariano. Questa tattica, attaccata peraltro non solo da destra ma anche da ambienti della estrema sinistra, comincia a mostrare risultati sul fronte economico.

L’intellettuale argentino Atilio Boron ha discusso i punti deboli delle politiche di comunicazione del governo bolivariano e la necessità di superare le difficoltà attuali. In un articolo in cui interviene in merito alle iniziative che il Venezuela dovrebbe intraprendere per sconfiggere il fascismo e consolidare la rivoluzione, sollecita ad «impegnare tutte le risorse per combattere più efficacemente nel settore cruciale dei mass media che, a detta del Pentagono, è il luogo-chiave in cui oggi si combatte la battaglia tra fronte rivoluzionario e fronte contro-rivoluzionario ed in cui i governi progressisti, specie nella regione, hanno sempre mostrato debolezze pericolose contro nemici da più lungo tempo schierati e molto meglio attrezzati nel quadro di una strategia di dominio e di manipolazione dei media e degli strumenti della comunicazione che ha sempre avuto un profondo impatto sulla fantasia popolare».

[Rielaborazione da testi e materiali di analisi di ANROS – Venezuela e di Néstor Francia, si ringrazia Mario Neri del Circolo Bolivariano “Antonio Gramsci”, Caracas per la messa a disposizione della documentazione di riferimento]

Machado destituita e agli arresti tre generali

di Geraldina Colotti, Il Manifesto

Caracas, 25mar2014.- Destituita la parlamentare di estrema destra Maria Corina Machado.

Tre gene­rali dell’aviazione, legati all’opposizione, sono stati arre­stati in Vene­zuela per sospetto gol­pi­smo. Lo ha annun­ciato il pre­si­dente Nico­las Maduro durante la riu­nione di Una­sur, nel paese per age­vo­lare il pro­cesso di pace. E Dio­sdado Cabello, a capo dell’Assemblea nazio­nale, ha comu­ni­cato che Maria Corina Machado “non è più par­la­men­tare”. La depu­tata dell’ultradestra ha vio­lato gli arti­coli 191 e 149 della Costi­tu­zione che vie­tano ai fun­zio­nari pub­blici di accet­tare inca­ri­chi da un governo stra­niero senza l’autorizzazione del parlamento.

Il 20 marzo ha par­te­ci­pato a una riu­nione dell’Organizzazione degli stati ame­ri­cani (Osa), invi­tata dal Panama come suo “rap­pre­sen­tante alter­na­tivo”. La mag­gio­ranza degli stati mem­bri le ha impe­dito di par­lare con­tro “il regime dit­ta­to­riale di Nico­las Maduro”. Ha otte­nuto solo alcuni minuti in udienza pri­vata. Si è lagnata del cam­bio di indi­rizzo dell’Osa, di solito subal­terna a Washing­ton, per­ché ha respinto la richie­sta di san­zioni al Vene­zuela. E men­tre i grandi media pre­sen­tano “la rivolta dei ric­chi” (così ha giu­sta­mente tito­lato il Guar­dian) come ribel­lione di pie­tre con­tro “la dit­ta­tura” (vedi il bacio dei due “gua­rim­be­ros” dif­fuso da Reu­ters), Machado aizza l’estrema destra latinoamericana.

In Sal­va­dor, dove il cen­tro­si­ni­stra ha vinto le pre­si­den­ziali per pochi voti, ha inci­tato il par­tito Arena a disco­no­scere i risul­tati. La stessa stra­te­gia adot­tata in Vene­zuela dopo la vit­to­ria risi­cata di Maduro sul can­di­dato di oppo­si­zione, Hen­ri­que Capri­les. La Mesa de la uni­dad demo­cra­tica (Mud) avrebbe voluto tra­sfor­mare le comu­nali dell’8 dicem­bre in un refe­ren­dum con­tro il governo, ma il cha­vi­smo ha vinto il 67% dei muni­cipi. Nell’opposizione, si è aperta una lotta per il potere. L’ala oltran­zi­sta, capi­ta­nata da Machado e Leo­poldo Lopez (lea­der di Volun­tad popu­lar) ha preso l’iniziativa. Ha pro­vato a spin­gere con vio­lenza il pedale del disa­gio, in un paese pro­vato dal sabo­tag­gio eco­no­mico e dalla per­dita di un pre­si­dente cari­sma­tico com’era Hugo Cha­vez. E’ par­tita la cam­pa­gna per “la rinun­cia” di Maduro come con­se­gna per le pro­te­ste stu­den­te­sche, in corso dal 12 febbraio.

Gli scon­tri, le bar­ri­cate dei gruppi oltran­zi­sti e l’intervento di cec­chini e para­mi­li­tari hanno pro­vo­cato 36 morti. L’ultima vit­tima è una ven­tot­tenne, inter­prete dei segni per non udenti in una tele­vi­sione di oppo­si­zione, Vene­vi­sion. Era incinta di 5 mesi, è stata uccisa da uomini armati men­tre cer­cava di rimuo­vere una “gua­rimba” — bar­ri­cata di chiodi, cemento e spaz­za­tura data alle fiamme – per tor­nare a casa. E’ acca­duto nello stato di Miranda, gover­nato da Capri­les. Il governo ha indetto tre giorni di lutto nella zona e ha accu­sato la poli­zia locale di com­pli­cità e ina­dem­pienza. L’opposizione ha denun­ciato invece i “col­let­tivi” cha­vi­sti che cer­cano di impe­dire le bar­ri­cate e ne ha chie­sto la messa fuori legge.

Senza l’immunità par­la­men­tare, Machado potrebbe essere pro­ces­sata per vio­lenze e atti­vità desta­bi­liz­zanti, in base a una denun­cia pen­dente alla magi­stra­tura. Il suo posto sarà occu­pato da un depu­tato sup­plente, con­si­de­rato meno ostile al governo per aver riti­rato il suo appog­gio elet­to­rale a Capri­les. Si attende anche la deci­sione dei giu­dici in merito alla richie­sta di scar­ce­ra­zione pre­sen­tata dagli avvo­cati di Lopez, dete­nuto con l’accusa di isti­ga­zione alle violenze.

Secondo le inchie­ste, la mag­gio­ranza della popo­la­zione rifiuta la vio­lenza, e Maduro ha un gra­di­mento del 57%. L’azione desta­bi­liz­zante, però, con­ti­nua: con­te­nuta ma mici­diale, soprat­tutto nelle zone di fron­tiera. E si dif­fonde il timore del ter­ro­ri­smo. Un sospetto emerso dopo un gua­sto a un bina­rio del metro di Cara­cas (il primo del genere nella sto­ria della metro­po­li­tana, secondo il Mini­stero dei tra­sporti), e dopo la denun­cia del Mini­stero dell’ambiente circa la con­ta­mi­na­zione delle acque con sostanze tos­si­che, nello stato Merida.

Tre incendi rite­nuti dolosi hanno pro­vo­cato inter­ru­zioni di cor­rente, ripor­tando ai cit­ta­dini l’incubo dei black out (che in paese di gran caldo, signi­fi­cano anche danni ingenti). I mili­tari pre­si­diano i porti da cui arri­vano gli ali­menti impor­tati, per evi­tare il con­trab­bando e l’attacco ai camion. A Bar­qui­si­meto è stata attac­cata la sede del Psuv.

Ieri, si è svolta anche la prima gior­nata del Sistema Com­ple­men­ta­rio de Admi­ni­stra­cion de Divi­sas (Sicad 2), un terzo mec­ca­ni­smo per dif­fe­ren­ziare il con­trollo del cam­bio, che va incon­tro all’inesauribile sete di dol­lari di pri­vati e impren­di­tori. Il pre­si­dente di Data­na­li­sis, l’economista Luis Vicente Leon (di oppo­si­zione), ha com­men­tato con un esem­pio il Sicad 2, che alcuni leg­gono come una libe­ra­liz­za­zione dei prezzi e una sva­lu­ta­zione masche­rata: “il Sicad 2 non libera il pri­gio­niero – ha detto – gli per­mette solo di gio­care a pal­lone e di rice­vere una visita coniu­gale nel fine settimana”.

 

Porte sempre più chiuse alla Osa per Machado

di Geraldina Colotti – Il Manifesto

L’Organizzazione degli stati americani (Osa) impedisce a maggioranza l’intervento della parlamentare venezuelana contro il governo Maduro.

Caracas, 23 mar2014.- Nel metro di Cara­cas, un uomo com­menta i titoli di un quo­ti­diano pri­vato che tuona con­tro “la dit­ta­tura”. La ragazza di fronte ha la maglietta con la scritta “Cha­vez vive” e legge un libro sui “piani dell’imperialismo in Ame­rica latina”. Poco distante, si scor­gono ber­retti tri­co­lori e ban­diere: il giallo (sim­bolo dell’oro e delle terre fer­tili), l’azzurro (del mar dei Caraibi che bagna le coste) e il rosso (che ricorda il san­gue ver­sato nelle lotte indi­pen­den­ti­ste).  Sem­brano uguali, ma non lo sono, e stanno por­tando in piazza due mani­fe­sta­zioni diverse: gli Stu­denti per la pace, che appog­giano il governo con­tro “l’aggressione fasci­sta”; e la mar­cia nazio­nale “con­tro la dit­ta­tura e per la libertà” indetta dall’opposizione.

Otto stelle nella fascia azzurra distin­guono la ban­diera boli­va­riana, l’allora governo Cha­vez le ha adot­tate nel 2006 per inclu­dere la Gua­yana nel numero delle sue pro­vince. La Mesa de la uni­dad nacio­nal (Mud), con­ti­nua invece a esporre le sette stelle, sia sulla ban­diera che sul ber­retto tri­co­lore, che ha deciso di con­ten­dere al campo cha­vi­sta. Per distin­guersi, i mili­tanti socia­li­sti hanno aggiunto la scritta “4F”: 4 feb­braio, giorno della ribel­lione civico-militare gui­data dall’allora tenente colon­nello Hugo Cha­vez nel 1992. E’ dalle pre­si­den­ziali del 2012, vinte da Cha­vez con­tro Hen­ri­que Capri­les, che la Mud cerca di vol­gere a pro­prio van­tag­gio la pro­pa­ganda del campo avverso: fino ad assu­mere alcuni temi della sini­stra, per strap­pare con­sensi negli strati popo­lari nono­stante il suo pro­getto di paese sia tarato sul modello del Fondo mone­ta­rio internazionale.

Il lea­der di Volun­tad popu­lar, Leo­poldo Lopez — in car­cere con l’accusa di aver isti­gato le vio­lenze di piazza che hanno finora pro­vo­cato 36 morti – si è con­se­gnato alla poli­zia sotto la sta­tua di José Marti, eroe dell’indipendenza cubana. Intanto i gruppi oltran­zi­sti, fomen­tati dalla sua con­se­gna e da quella della depu­tata Maria Corina Machado (la caduta del governo di Nico­las Maduro) bru­ciano i Cen­tri dia­gno­stici inte­grati gestiti dai medici cubani. E chie­dono agli Stati uniti di inter­ve­nire “con­tro la dit­ta­tura castri­sta in Vene­zuela”. Il pro­filo e il per­corso di Machado parla da sé. Figlia di una ric­chis­sima fami­glia di impren­di­tori, ha fir­mato il decreto Car­mona, nel 2002: il primo atto del breve governo gol­pi­sta dell’imprenditore Pedro Car­mona Estanga, con il quale veni­vano sospese tutte le garan­zie costi­tu­zio­nali. Con la Ong Sumate – ema­na­zione della Cia – ha orga­niz­zato il refe­ren­dum revo­ca­to­rio poi perso con­tro Cha­vez e ha riven­di­cato con orgo­glio l’amicizia con il suo grande padrino George W. Bush. Da allora, com­pare nelle infor­ma­tive di intel­li­gence per i ten­ta­tivi desta­bi­liz­zanti con cui vor­rebbe coro­nare i suoi sogni pre­si­den­ziali men­tre dai ban­chi del par­la­mento tuona con­tro “la dit­ta­tura”. Con il fat­tivo appog­gio del Panama, è volata negli Usa per par­lare all’Organizzazione degli stati ame­ri­cani (Osa). Ha otte­nuto solo pochi minuti di inter­vento pri­vato a porte chiuse, durante il quale si è rivolta al Bra­sile e al Cile: “In Vene­zuela ci sono tante Dilma e tante Michelle”, ha detto, allu­dendo alle tor­ture subite dalla pre­si­dente bra­si­liana Dilma Rous­seff e dalla sua omo­loga cilena Michelle Bache­let durante le dit­ta­ture subite nei loro paesi.

Cosa rara nella sua sto­ria di subal­ter­nità a Washing­ton, l’Osa ha recen­te­mente rifiu­tato di inviare emis­sari in Vene­zuela, come aveva invece pro­po­sto il pre­si­dente pana­mense Ricardo Mar­ti­nelli. Maduro ha rotto le rela­zioni diplo­ma­ti­che e com­mer­ciali col Panama, ma Mar­ti­nelli – in vista delle pros­sime pre­si­den­ziali pana­mensi – ha deciso di spin­gere a fondo sul pedale di Washing­ton: per far cadere il governo socia­li­sta del Vene­zuela, fon­da­men­tale tas­sello dell’America latina pro­gres­si­sta, custode delle più grandi riserve petro­li­fere del mondo. Gli Usa hanno pronta una riso­lu­zione bipar­ti­san per disporre san­zioni dirette al Vene­zuela, e hanno pro­te­stato per­ché l’ultima riso­lu­zione dell’Osa “non parla la lin­gua che gli Stati uniti spe­ra­vano”. Hanno anche espresso “pre­oc­cu­pa­zione” per il duplice inter­vento della magi­stra­tura ordi­na­ria e del Tri­bu­nal supremo de justi­cia (Tsj) con­tro alcuni sin­daci di oppo­si­zione, denun­ciati per la par­te­ci­pa­zione attiva nelle bar­ri­cate vio­lente e per non aver rispet­tato le dispo­si­zioni costi­tu­zio­nali riba­dite dal Tsj. Intanto, in alcuni stati e muni­cipi della capi­tale, con­ti­nuano i bloc­chi stra­dali e le “gua­rim­bas” – bar­ri­cate di cemento, chiodi e spaz­za­tura data alle fiamme. Ieri vi sono stati altri 3 morti negli stati di fron­tiera dove agi­scono gruppi armati. Con­ti­nuano anche le Con­fe­renze di pace indette da Maduro e la mas­sic­cia ero­ga­zione di risorse decise nel “governo di strada”, che ha con­cluso alcuni accordi con gli indu­striali per evi­tare il con­trab­bando e l’accaparramento di ali­menti. Secondo i dati uffi­ciali, i danni pro­vo­cati dalle pro­te­ste vio­lente dal 12 feb­braio a oggi ammon­tano a 10 milioni di dollari.

 

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