L’economia dopo la catastrofe

La economía después de la catástrofedi Atilio Boron

La Grande Depressione degli anni Trenta trascinò a fondo, nella sua caduta, l’ortodossia liberale, i cui pilastri erano la divisione internazionale del lavoro tra i Paesi avanzati e la periferia capitalistica produttrice di materie prime; il gold standard e la dottrina del laissez-faire che sanciva il primato assoluto dei mercati e, di conseguenza, lo “Stato Minimo” che si limitava a garantire che quest’ultimi portassero sotto la sua orbita le più diverse componenti della vita sociale, instaurando, di fatto, una vera e propria “dittatura del libero mercato”. Ma sul finire del 1929 scoppia la Grande Depressione e il mondo che emerge dalle ceneri della crisi è molto diverso: la divisione internazionale del lavoro comincia a vacillare perché alcuni Paesi della periferia iniziano un vigoroso processo di espansione industriale. Il gold standard fu sostituito, dopo un turbolento interregno che si sarebbe concluso solo con la fine della seconda guerra mondiale, dal dollaro, che fu introdotto come moneta di scambio universale perché a quel tempo non c’era altra moneta che potesse competere con essa per le distruzioni causate dalla guerra. E soprattutto la cosa più importante: i mercati furono sottoposti ad una crescente regolamentazione da parte dei governi, il che portò a rovesciare un’asimmetria che se prima era stata molto favorevole ai mercati, per poi cominciare a spostarsi a favore degli Stati. Di conseguenza la spesa pubblica richiesta dalle nuove esigenze di una cittadinanza mobilitata e rafforzata dalle lotte contro la depressione e dalla ricostruzione post bellica fece crescere notevolmente la dimensione dello Stato in rapporto al PIL, come mostra la tabella seguente.


Debito totale dei governi, 1900, 1929, 1975
(% del Pil)


1900         1929         1975
__________________

Germania                     19.4          14.6          51.7

Regno Unito                 11.9          26.5          53.1

Stati Uniti                       2.9            3.7          36.6

Giappone                        1.1            2.5          29.6

Fonte: IMF Data, Fiscal Affairs Departmental Data, Public Finances in Modern History

 

Le cifre parlano da sole e ci risparmiano di dover ricorrere a complicate argomentazioni per dimostrare l’enorme portata del cambio di paradigma della governance macroeconomica del capitalismo dopo la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. La Germania ha più che triplicato la spesa pubblica tra il 1929 e il 1975; il Regno Unito l’ha aumentata di poco più del doppio e gli Stati Uniti e il Giappone rispettivamente quasi di dieci e dodici volte! Più Stato che mercato per sostenere il processo di democratizzazione e di cittadinanza del dopoguerra. La salute, la sicurezza sociale, l’istruzione, l’abitare e tutti i beni pubblici che lo Stato deve garantire sono stati i motori della crescente centralità dello Stato nella vita economica e sociale.

Ma questo non è tutto: un altro aspetto da sottolineare è che una volta esaurito il ciclo keynesiano nel 1974/75 e realizzato il nefasto ritorno del liberalismo (ora addolcito con il prefisso “neo”, per indurre l’ingenuo a credere che si tratti di una formula innovativa) in nessuno di quei Paesi lo Stato si è ridotto al livello che aveva alla vigilia della Grande Depressione, stravolgendo il ruolo di centro gravitazionale ormai assunto nelle economie. Il ritmo di crescita conobbe un rallentamento e la spesa pubblica si ridusse, soprattutto in Gran Bretagna (sotto il Thatcherismo) e in Germania (con la truffa della “terza via”) e meno negli Stati Uniti e in Giappone. Ma anche così, nel 2010, questi quattro paesi erano ancora, in termini di peso dello Stato, ben al di sopra dei livelli esibiti durante il periodo di massimo splendore del liberalismo dei primi tre decenni del ventesimo secolo. Anche tenendo conto dei tagli avvenuti negli ultimi dieci anni, lo Stato ha un peso ancora superiore rispetto al 1929.

Quale sarebbe la conclusione da trarre da quest’analisi? Che la pandemia che oggi colpisce il pianeta, avrà un impatto pari o superiore a quello della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale. Il capitalismo europeo e americano, che aveva già dato chiari segnali di avvicinarsi a un’imminente recessione, sarà spazzato via dalle conseguenze economiche dell’attuale catastrofe sanitaria. E la via d’uscita da quella crisi avrà come uno dei suoi segni distintivi il fallimento ideologico del neoliberismo, con la sua stupida fede nella “magia dei mercati”, nelle privatizzazioni e nelle deregolamentazioni, e nella presunta capacità delle forze di mercato di allocare razionalmente le risorse. Questo costringerà ad una profonda revisione del paradigma delle politiche pubbliche a partire dall’assistenza sanitaria e, subito dopo, dalla previdenza sociale, come preludio a quella che sarà la battaglia decisiva: mettere sotto controllo il capitale finanziario e la sua rete globale che sta soffocando l’economia mondiale, causando recessioni, aumentando la disoccupazione e portando la disuguaglianza economica a livelli estremamente elevati. Un capitale finanziario ultra parassitario che finanzia e protegge le mafie dei “colletti bianchi” e che, con la compiacenza o la complicità dei governi dei capitalismi centrali e delle istituzioni economiche internazionali, crea “paradisi fiscali” che facilitano l’occultamento dei loro crimini e l’evasione fiscale che impoverisce gli Stati privandoli delle risorse necessarie per garantire una vita dignitosa ai propri popoli.

Questo è il mondo che verrà una volta che la pandemia sarà un triste ricordo del passato. Naturalmente, a quel punto le forze popolari dovranno essere molto ben organizzate e coscienti (e coordinate a livello internazionale) perché questi cambiamenti non saranno un regalo di una borghesia imperialista pentita dei suoi crimini e disposta ad abbandonare i suoi privilegi, ma dovranno essere conquistati attraverso grandi mobilitazioni e lotte sociali per imporre un nuovo ordine economico e sociale post-capitalista. Ci vorrà coraggio per combattere per la costruzione di quel nuovo mondo, ma anche intelligenza per stimolare la coscienza critica delle grandi masse popolari ed evitare che cadano, ancora una volta, nelle trappole che gli stregoni del neoliberismo stanno già preparando. Hanno un obiettivo molto chiaro: dopo la pandemia, che tutto rimanga uguale. Dobbiamo essere pronti ad affrontarli e ad assumerci la responsabilità di realizzare esattamente il contrario: che nulla rimanga uguale, illuminando con le nostre lotte e con la nostra coscienza i contorni della nuova società che sta lottando per nascere. Una società, insomma, dove la salute, la medicina, l’istruzione, la sicurezza sociale, l’abitare, i trasporti, la cultura, la comunicazione, la svago, lo sport e tutte le cose che fanno la vita dignitosa non siano più merci, ma acquisiscano il loro irrinunciabile status di diritti universali. E questa sarà una grande opportunità per cercare di farlo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessio Decoro]

Dalla Germania solidali con il Venezuela Bolivariano!

da linksfraktion.de

I risultati dell’elezione per la Costituente dimostrano che ci sono opportunità per una ri-progettazione democratica del Venezuela. Questa occasione dovrebbe essere colta con urgenza, ha detto Wolfgang Gehrcke, vice presidente del gruppo della Die Linke (il Partito della Sinistra tedesca) al Bundestag (il Parlamento tedesco), in relazione al voto costituzionale in Venezuela. Gehrcke continua:

“La riforma costituzionale è stata una richiesta di lunga data dell’opposizione in Venezuela, che ora, dopo aver visto una larga maggioranza di partecipanti al voto, compara il processo di riforma costituzionale con una dittatura del presidente Maduro. Questo non è solo sbagliato e falso, ma ha bloccato la strada per i necessari e ulteriori confronti tra il governo e l’opposizione. Un’opposizione saggia e un governo saggio dovrebbero ora impegnarsi in un processo di dialogo. A questo è pronto il presidente Maduro mentre l’opposizione continua a rifiutarlo. Le prese di posizione provenienti dagli Stati Uniti, da diversi vicini dell’America Latina e dall’Unione Europea incitano l’opposizione a cercare il confronto decisivo nelle strade. Ai mediatori internazionali come il Vaticano si chiede ora di evitare spargimenti di sangue, di fare tutto il possibile per evitare una guerra civile in Venezuela; questo è ciò che è all’ordine del giorno e il compito in cui deve impegnarsi la sinistra in Europa e in America Latina.”

Onore alla combattente Monika Ertl!

di Nina Ramon – Cubadebate

Oggi veniva uccisa Monika Ertl mai ricordata come doveva. Onore a lei 

Monika Ertl: la donna che giustiziò l’uomo che tagliò le mani al Che.

Ad Amburgo, in Germania, erano le dieci meno venti della mattina del 1° aprile 1971. Una bella ed elegante donna dai profondi occhi color del cielo entra nell’ufficio del console della Bolivia e, aspetta pazientemente di essere ricevuta.

Mentre fa anticamera, guarda indifferente i quadri che adornano l’ufficio. Roberto Quintanilla, console boliviano, vestito elegantemente con un abito oscuro di lana, appare nell’ufficio e saluta, colpito dalla bellezza di quella donna che dice di essere australiana, e che pochi giorni prima gli aveva chiesto un’intervista.

Per un istante fugace, i due si trovano di fronte, uno all’altra. La vendetta appare incarnata in un viso femminile molto attraente. La donna, di bellezza esuberante, lo guarda fissamente negli occhi e senza dire nulla estrae un pistola e spara tre volte. Non ci fu resistenza, né lotta. Le pallottole hanno centrato il bersaglio. Nella sua fuga, lasciò dietro di sé una parrucca, la sua borsetta, la sua Colt Cobra 38 Special, ed un pezzo di carta dove si leggeva: “Vittoria o morte. ELN”.

Chi era questa audace donna e perché avrebbe assassinato “Toto” Quintanilla?

Nella milizia guevarista c’era una donna che si faceva chiamare Imilla, il cui significato in lingua quechua ed aymara è Niña o giovane indigena. il suo nome di battesimo: Monica (Monika) Ertl. Tedesca di nascita, che aveva realizzato un viaggio di undici mila chilometri dalla Bolivia persa, con l’unico proposito di giustiziare un uomo, il personaggio più odiato dalla sinistra mondiale: Roberto Quintanilla Pereira.

Lei, a partire da quello momento, si trasformò nella donna più ricercata del mondo. Accaparrò le prime pagine dei giornali di tutta l’America. Ma quali erano le sue ragioni e quali le sue origini?

Ritorniamo al 3 marzo 1950, data in cui Monica era arrivata in Bolivia con Hans Ertl –suo padre–attraverso quella che sarebbe stata conosciuta come la rotta dei topi, cammino che facilitò la fuga di membri del regime nazista verso il Sud-America, terminato il conflitto armato più grande e sanguinoso della storia universale: la II Guerra Mondiale.

La storia di Monica si conosce grazie all’investigazione di Jürgen Schreiber. Quello che io vi presento è appena una piccola parte di questa appassionante storia che include molti sentimenti e personaggi.

Hans Ertl (Germania, 1908-Bolivia, 2000) alpinista, innovatore di tecniche sottomarine, esploratore, scrittore, inventore e materializzatore di sogni, agricoltore, ideologo convertito, cineasta, antropologo ed etnografo affezionato. Molto presto ha raggiunto la notorietà ritraendo i dirigenti del partito nazionalsocialista quando filmava la maestosità, l’estetica corporale e le destrezze atletiche dei partecipanti nei Giochi Olimpici di Berlino (1936), con la direzione della cineasta Leni Riefenstahl, che glorificò i nazisti.

Tuttavia, ebbe l’infortunio di essere riconosciuto dalla storia (e la sua posteriore disgrazia), come il fotografo di Adolfo Hitler, benché l’iconografo ufficiale del Führer sia stato Heinrich Hoffman dello squadrone di difesa. Citano alcune fonti che Hans era assegnato per documentare le zone di azione del reggimento del famoso maresciallo di campo, soprannominato la “Volpe del Deserto” Erwin Rommel, nella sua traversata per Tobruk, in Africa.

Come dato curioso, Hans non appartenne al partito nazista però, malgrado odiasse la guerra, esibiva con orgoglio la giacca progettata da Hugo Boss per l’esercito tedesco, come simbolo delle sue gesta in altri tempi, ed il suo garbo ariano. Detestava che lo chiamassero “nazista”, non aveva nulla contro di loro, ma neanche contro gli ebrei. Per ironico che sembri fu un’altra vittima della Schutzstaffel.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando il Terzo Reich precipitò, i gerarchi, collaboratori e parenti del regime nazista fuggirono dalla giustizia europea rifugiandosi in diversi paesi, tra cui, quelli del continente americano, col beneplacito dei loro rispettivi governi e l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti. Si dice che era una persona molto pacifica e non aveva nemici, cosicché optò per rimanere in Germania per un periodo, lavorando in assegnazioni minori al suo status, fino a che emigrò con la sua famiglia. Prima di tutto in Cile, nell’arcipelago australe di Juan Fernandez, “affascinante paradiso perso”, dove realizzò il documentario Robinson (1950), prima di altri progetti.

Dopo un lungo viaggio, Ertl si stabilisce nel 1951 a Chiquitania, a 100 chilometri della città di Santa Cruz. Fino a lì arrivò per stabilirsi nelle prospere e vergini terre come un conquistatore del XV secolo, tra la spessa ed intricata vegetazione brasiliano-boliviana. Una proprietà di 3.000 ettari dove avrebbe costruito con le sue proprie mani e con materia autoctona quella che è stata la sua casa fino ai suoi ultimi giorni; “La Dolorida”.

Il vagabondo della montagna, come era conosciuto dagli esploratori e scienziati, deambulava col suo passato in spalla, nell’immensa natura con la visione avida di sviscerare e catturare con la sua lente tutto quello percepito nel suo ambiente magico in Bolivia, mentre cominciava una nuova vita accompagnato da sua moglie e le sue figlie. La maggiore si chiamava Monica, aveva 15 anni quando è incominciato l’esilio e, qui incomincia la sua storia…

Monica aveva vissuto la sua infanzia in mezzo all’effervescenza dei nazismi della Germania e quando emigrarono in Bolivia imparò l’arte di suo padre, fatto che le è servito per lavorare poi col documentarista boliviano Jorge Ruiz. Hans realizzò in Bolivia vari film (Paitití e Hito Hito) e trasmise a Monica la passione per la fotografia. Certamente possiamo considerare Monica come una pioniera, la prima donna a realizzare documentari nella storia del cinema.

Monica è cresciuta in un circolo tanto chiuso come razzista, nel quale brillavano tanto suo padre come un altro sinistro personaggio al quale ella si abituò a chiamare affettuosamente “Lo zio Klaus”. Un imprenditore tedesco (pseudonimo di Klaus Barbie (1913-1991) ed ex capo della Gestapo a Lyon, in Francia) meglio conosciuto come il “Macellaio di Lyon.”

Klaus Barbie, cambierà il suo cognome per “Altmann” prima di invischiarsi con la famiglia Ertl. Nello stretto circolo di personalità a La Paz, dove quest’uomo guadagnò sufficiente fiducia in modo che, lo stesso padre di Monica, è riuscito a fargli ottenere il suo primo impiego in Bolivia come cittadino Ebreo Tedesco, che poi si dedicò ad essere consigliere delle dittature sud-americane.

La celebre protagonista di questa storia, si sposò con un altro tedesco a La Paz e visse vicino alle miniere di rame nel nord del Cile ma, dopo dieci anni, il suo matrimonio fallì ed ella si trasformò in una politica attiva che appoggiò cause nobili. Tra le altre cose aiutò a fondare una casa per orfani a La Paz, ora convertito in ospedale.

Visse in un mondo estremo circondata di vecchi lupi torturatori nazisti. Qualunque indizio perturbatore non gli risultava strano. Tuttavia, la morte del guerrigliero argentino Ernesto Che Guevara nella selva boliviana (ottobre del 1967) aveva significato per lei lo spintone finale per i suoi ideali. Monica –secondo sua sorella Beatriz–“adorava il “Che” come se fosse un Dio.”

A causa di questo, la relazione padre e figlia fu difficile per questa combinazione: un fanatismo aderito ad un spirito sovversivo; chissà fattori detonanti che generarono una posizione combattiva, idealistica, perseverante. Suo padre fu il più sorpreso e, con il cuore rotto, la cacciò dalla tenuta. Forse questa sfida produsse in lui una certa metamorfosi ideologica negli anni 60, fino a trasformarlo in un collaboratore e difensore indiretto della Sinistra in Sud-America.

“Monica fu sua figlia favorita, mio padre era molto freddo verso di noi e lei sembrava essere l’unica che amava. Mio padre nacque come risultato di una violenza, mia nonna non gli mostrò mai affetto e questo lo segnò per sempre. L’unico affetto che mostrò fu per Monika”, ha detto Beatriz in un’intervista per la BBC News.

Alla fine degli anni sessanta, tutto cambiò con la morte del Che Guevara, Monica ruppe con le sue radici e diede un drastico cambio per entrare in pieno nella milizia con la Guerriglia di Ñancahuazú, come aveva fatto il suo eroe in vita, per combattere la disuguaglianza sociale.

Monica smise di essere quella ragazza appassionata per la macchina fotografica per convertirsi in “Imilla la rivoluzionaria” rifugiata in un accampamento delle colline boliviane. Man mano che sparivano dalla faccia della Terra la maggior parte dei suoi membri, il suo dolore si trasformò in forza per reclamare giustizia, trasformandosi in una chiave operativa per l’ELN.

Durante i quattro anni che rimase nell’accampamento scrisse a suo padre solamente una volta all’anno, per dire testualmente: “non si preoccupino per me… sto bene”. Tristemente, non l’ha potuta vedere mai più; né viva, né morta.

Nel 1971 attraversa l’Atlantico e torna alla sua Germania natale, ed ad Amburgo uccide personalmente il console boliviano, il colonnello Roberto Quintanilla Pereira, responsabile diretto dell’oltraggio finale a Guevara: l’amputazione delle sue mani, dopo la sua fucilazione a La Higuera. Con quella profanazione firmò la sua sentenza di morte e, da allora, la fedele “Imilla” si propose una missione di alto rischio: giurò che avrebbe vendicato il Che Guevara.

Dopo avere raggiunto il suo obiettivo iniziò una battuta di caccia che attraversò paesi e mari e che solo trovò la sua fine quando Monica cadde nell’anno 1973, in un’imboscata che secondo alcune fonti fedeli gli tese il suo traditore “zio” Klaus Barbie.

Dopo la sua morte, Hans Erlt continuò a vivere ed a filmare documentari in Bolivia, dove morì all’età di 92 anni (anno 2000) nella sua tenuta ora convertita in museo grazie all’aiuto di alcuni istituzioni della Spagna e della Bolivia. Lì rimane sepolto, accompagnato dalla sua vecchia giacca militare tedesca, la sua fedele compagna degli ultimi anni. Il suo sepolcro rimane tra due pini e terra della sua Bavaria natale. Lui stesso si incaricò di prepararlo e sua figlia Heidi di rendere realtà il suo desiderio. Hans aveva espresso in un’intervista concessa all’agenzia Reuters:

“Non voglio ritornare al mio paese. Voglio, perfino da morto, rimanere in questo nuova mia terra”.

In un cimitero di La Paz, si dice riposino “simbolicamente” i resti di Monica Ertl. In realtà non sono mai stati consegnati a suo padre. I suoi appelli furono ignorati dalle autorità. Questi rimangono in qualche posto sconosciuto del paese boliviano. Giacciono in una fossa comune, senza una croce, senza un nome, senza una benedizione di suo padre.

Così fu la vita di questa donna che in un periodo, secondo la destra fascista di quegli anni, praticava “il comunismo” e per conseguenza “il terrorismo” in Europa. Per alcuni il suo nome rimane inciso nei giardini della memoria come guerrigliera, assassina o chissà terrorista, per altri come una donna coraggiosa, che ha compiuto una missione.

Secondo me, è una parte femminile di una rivoluzione che lottò per le utopie della sua epoca, e che alla luce dei nostri occhi c’obbliga a riflettere, un’altra volta su questa frase: “Non sottovaluti mai il valore di una donna.”

[Trad. dal castigliano per Cubadebate di Ida Garberi]

Problemi alimentari per gli europei a causa delle politiche neoliberiste

bandiere-europeeda HispanTV

Secondo uno studio, il 50% degli europei per ragioni economiche, non può seguire una dieta variegata.

Uno studio commissionato dal Moviemnto ENOUGH di Elanco e realizzato dall’istituto SWG, coinvolgendo oltre 2000 persone provenienti da Italia, Germania, Francia e Regno Unito, ha rivelato che il pesce, la carne di manzo, e il maiale, figurano tra gli alimenti spesso assenti nella dieta.

Come ha spiegato il presidente di SWG, Maurizio Pessato, «questa carenza non è dovuta unicamente a scelte personali o gusti, ma è dettata da ragioni economiche».

Le zone più critiche sono Italia e Francia, dove si è registrata una drastica riduzione dei consumi di carne (79% in Italia e il 62% in Francia).

Le persone sottoposte all’inchiesta hanno riconosciuto che la loro dieta è stata ridefinita quando è iniziata la crisi, con la riduzione del consumo di alimenti costosi sostituiti da cibi più economici.

A questo proposito, l’accesso al cibo e la sua disponibilità, è visto come un problema reale il cui impatto può essere misurato nel campo della vita quotidiana. In particolare, l’Italia è il paese in cui questa percezione è più diffusa, con l’84 per cento degli intervistati che sostengono questo punto di vista.

Inoltre, secondo lo studio, gli europei prevedono due strade differenti ma complementari per risolvere il problema, tenendo in considerazione la responsabilità individuale del cittadino così come quella globale. Mentre la riduzione dei rifiuti alimentari e i piani educativi sono visti come priorità, vengono considerati fondamentali anche l’uso delle nuove tecnologie e i cambiamenti nei processi di commercio.

Infine, due intervistati su tre si sono a favore di un aumento degli investimenti in ricerca e tecnologia per affrontare la questione della sostenibilità del cibo e per migliorare l’efficienza della produzione agricola.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Ministro degli esteri tedesco: «Colloqui necessari con Assad»

da süddeutsche zeitung

Sullo sfondo della drammatica situazione in Siria, con più di 200 000 morti, dopo circa quattro anni di guerra il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ritiene necessaria la possibilità di avere colloqui con il Presidente siriano Bashar al Assad. Steinmeier ha dichiarato al quotidiano “Süddeutsche Zeitung: «Il modo per porre fine alla violenza è solo attraverso i negoziati per una soluzione politica, anche con colloqui con Assad se si rendessero necessari».

 Il ministro degli Esteri tedesco ha sostenuto, a tal proposito, gli sforzi delle Nazioni Unite attraverso il  Rappresentante speciale Staffan de Mistura, che è attualmente in trattative anche con il governo di Damasco per trovare una via d’uscita dal conflitto devastante.

Secondo il Ministero degli Esteri tedesco, tutti gli sforzi precedenti hanno raggiunto un punto morto; quindi, il supporto per la missione di de Mistura è un tentativo per rompere i blocchi, anche pensando di porre fine a sofferenze insopportabili. Allo studio, secondo Steinmeiersi bisognerebbe fare «una massiccia pressione su Assad, insieme alla possibilità di offrirgli negoziati seri», questa sembra essere la soluzione in grado di superare la situazione di stallo e di creare nuovo corso politico.

[Trad. dal tedesco per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Assad riceve parlamentari francesi: «Aperti nel rispetto di sovranità»

da sana.sy

Il presidente Bashar al-Assad ha discusso, oggi con una delegazione francese guidata dal membro del Senato Jean Pierre Vial, lo stato degli sviluppi e delle relazioni siro-francese nella regione araba e in Europa, in particolare, con sul terrorismo. I parlamentari francesi stanno svolgendo una missione in Siria per la prima volta dopo la rottura delle relazioni diplomatiche decisa a maggio 2012 congiuntamente da Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania e Spagna.

Nel corso di questo incontro aperto e franco, i membri della delegazione francese hanno espresso il desiderio di molti parlamentari francesi di visitare la Siria per conoscere la realtà e riportarla al popolo francese, sottolineando la necessità di coordinarsi per lo scambio di informazioni tra i due Paesi sulle questioni di interesse comune.

Hanno sottolineato l’importanza di un’azione comune in vari settori a beneficio di entrambi i popoli, francese e siriano, garantendo il ripristino della sicurezza e della stabilità nella regione e la cooperazione con la Siria per mettere fine al terrorismo che minaccia l’Europa, così come la Francia.

Da parte sua, il presidente al-Assad ha sottolineato che la Siria, nel corso della sua storia, è stata e sempre sarà per lo sviluppo e il rafforzamento delle relazioni con gli altri paesi sulla base del rispetto della sovranità e non ingerenza nei rispettivi affari interni, sottolineando l’importanza del ruolo dei parlamentari nella razionalizzazione delle politiche di governo per realizzare gli interessi del popolo.

Assad ha precisato che la lotta contro il terrorismo richiede una volontà politica e la forte convinzione che minaccia tutti, chiedendo di adottare questo principio nel trattare la questione per avere risultati positivi al più presto possibile.

«La Siria ha sempre promosso la cooperazione tra i paesi, perché è il modo migliore per fermare la diffusione del terrorismo e per eliminarlo», ha dichiarato al-Assad.

La delegazione francese era composta da Jacques Myard, vice presidente del Comitato Amicizia Francia-Siria all’Assemblea nazionale, François Zocchetto, senatore francese ed altri.

Inoltre, anche il presidente del Assemblea Popolo Mohammad Jihad al-Laham ha incontrato la delegazione francese.

Le due parti hanno sottolineato il rafforzamento delle relazioni e il dialogo tra parlamentari al servizio della stabilità e degli interessi comuni.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

 

Auschwitz, a 70 años de la liberación


“El genocidio puede ocurrir cuando ignoramos las señales de advertencia y no queremos actuar”, Eliasson en el acto celebrado en la sede de la ONU, víspera del 70° aniversario de la liberación del campo de Auschwitz-Birkenau convocado por la Misión Permanente de Polonia.
 
Por alguna razón siempre se habla de conmemorar el aniversario de la liberación de Auschwitz, no así con Dachau, liberado el 29 de abril de 1945; Bergen Belsen, liberado a mediados de abril de 1945; y los otros campos de concentración nazi.

Tampoco se suele recordar a otras víctimas del nazismo, como por ejemplo los gitanos; es que a la teoría de la pureza racial se añade el componente socioeconómico, según Hans F. K. Günter, uno de los ideólogos raciales nazis. Los gitanos, quienes de hecho descienden de los arios, procedían de las clases más pobres que se habían mezclado con razas consideradas “inferiores” que encontraron en su paso errante. Éstos fueron señalados para ser exterminados en la misma forma que a los judíos, ya que también eran considerados inferiores racialmente. El destino de ambos grupos era similar. Estaban sujetos a encarcelación, trabajos forzados, deportación a los campos de exterminio. Varios cientos de miles fueron encerrados en los campos de concentración de Bergen Belsen, Sachsenhausen, Buchenwald, Dachau, Mauthausen y Ravensbrück. Los “Einsatzgruppen”, grupos de operaciones nazis, mataron a miles de gitanos en las regiones orientales de Europa ocupados por los alemanes: Auschwitz-Birkenau, Treblinka, Bełżec, Chelmno y Sobibor.

El 21 de septiembre de 1939, Reinhard Heydrich, jefe de la Oficina principal de seguridad del Reich, se encontró con oficiales de la policía de seguridad y del Servicio de Seguridad, en Berlin, y decidió deportar a 30.000 gitanos alemanes y austríacos del Gran Reich alemán al gobierno general, un territorio dentro de la Polonia ocupada por los alemanes. En abril y mayo de 1940 fueron enviados a Polonia unos 2.500 gitanos. La mayoría al ser privados de comida, murieron como consecuencia del trabajo forzado, los que enfermaban o quedaban incapacitados terminaron siendo fusilados. Otros 5.000 gitanos fueron deportados a Lodz, donde acabaron detenidos en un área separada dentro del ghetto de Lodz, para ser finalmente llevados al campo de exterminio de Chelmno donde murieron en camiones de gas.

La decisión de priorizar las deportaciones de judíos y la oposición de Hans Franck, gobernador general nazi de la Polonia ocupada, hizo fracasar el plan. Sin embargo, tiempo después continuaron las deportaciones de gitanos.
En preparación para su eventual alejamiento de Alemania todos los gitanos hubieron de ser confinados en campos. Con la suspensión de deportaciones de gitanos en 1940, estos lugares se convirtieron en campos de concentración de largo plazo para los zíngaros. Mahrzan en Berlin, junto con Lackenbach y Salzburg en Austria eran de los peores de estos campos; cientos de romaníes murieron a consecuencia de las condiciones horrendas. Irónicamente los alemanes de la zona se quejaban constantemente de los campos, exigiendo la deportación de los gitanos internados ahí para “proteger la moralidad y la seguridad pública”.

La policía del barrio usó estas quejas como apelación oficial a Heinrich Himmler, el jefe de las SS, para que reanudara la expulsión de los gitanos al este. Es así que en diciembre de 1942 firmó una orden para la deportación, permitiendo algunas excepciones que a menudo fueron ignoradas a nivel local. Incluso gitanos que formaban parte del ejército alemán, Wehrmacht, y se encontraban en sus casas con licencias temporarias, fueron capturados y deportados a Auschwitz, donde un campo especial fue establecido para ellos en Auschwitz-Birkenau, el campo de las familias gitanas, el cual estaba plagado de epidemias, tifus, viruela y disentería que redujeron severamente a la población. Familias enteras fueron encarceladas juntas. Los mellizos y enanos eran separados y sujetos a experimentos médicos seudocientíficos conducidos por el SS capitán Dr Joseph Mengele. Aunque no sólo en Auschwitz usaban prisioneros gitanos en los experimentos médicos, sino también en los campos de Ravensbrück, Struthof-Natzweiler y Sachsenhausen.


En mayo de 1944 los alemanes decidieron liquidar el campo de los gitanos. Al rodear los SS el campo, encontraron a los gitanos armados con tubos de hierro y otras armas improvisadas. Los alemanes se retiraron y aplazaron la liquidación. Después, ese mismo mes las SS transfirieron alrededor de 1.500 gitanos que eran todavía capaces de trabajar fuera del campo de las familias. Casi 1.500 más fueron transferidos en agosto. Los gitanos restantes, alrededor de 3.000, fueron asesinados. Sólo en la noche del miércoles 2 de agosto al jueves 3 de agosto de 1944 en Auschwitz exterminaron 2.897 romaníes, bajo órdenes de Heinrich Himmler, en la tristemente recordada Zigeunernacht, la Noche de los gitanos. A la mañana siguiente un oficial de las SS de Auschwitz escribió después del envío de los gitanos a la cámara de gas, “Misión cumplida. Tratamiento especial ejecutado”. “Tratamiento especial”, peor todavía que el que sufrieron judíos, minusválidos, enfermos mentales, homosexuales, comunistas o los miembros de la resistencia, y en resumen sólo en Alemania perecieron entre 500.000 y 600.000. En Dachau los asesinaban el mismo día que llegaban o al día siguiente, simplemente porque habían nacido gitanos.

En los campos de concentración nazis los gitanos fueron literalmente masacrados. Por lo menos 19.000 de los 23.000 gitanos llevados a Auschwitz murieron ahí.

En las áreas de Europa ocupadas por los alemanes el destino de los gitanos variaba de país a país, dependiendo de las circunstancias locales. Los nazis por lo general encarcelaban a los roma y luego los transportaban a Alemania o Polonia para hacer trabajos forzados o para ser exterminados. Muchos gitanos de Polonia, Holanda, Hungría, Italia, Yugoslavia, Albania fueron fusilados o deportados a los campos de exterminio y matados. En los Estados Bálticos y en las áreas de la Unión Soviética ocupadas los einzangruppen, equipos móviles de matanza, mataban roma al mismo tiempo que a los judíos y a los líderes comunistas. Miles de hombres, mujeres y niños gitanos murieron en estas acciones; por ejemplo muchos gitanos fueron fusilados junto con los judíos en Babi Yar, cerca de Kiev. En Francia las autoridades pusieron en práctica medidas restrictivas contra los gitanos incluso antes de la ocupación alemana del país. Las deportaciones de los romaníes empezaron desde la Francia ocupada hacia fines de diciembre de 1941. En la zona no ocupada los oficiales del gobierno de Vichy bajo la supervisión de Xavier Vallat y el Ministerio de los Asuntos judíos, internaron a alrededor de 3.500 roma, la mayoría de ellos fueron enviados a campos en Alemania como Buchenwald, Dachau y Ravensbrück.

Los rumanos no pusieron una política de exterminio sistemática de los gitanos; no obstante en 1941 entre 20.000 y 26.000 gitanos del area de Bucarest fueron deportados a Transnistria en la Ucrania ocupada por los rumanos, donde miles murieron de enfermedades, inanición y el tratamiento brutal. En Serbia en el otoño de 1941 los pelotones de ejecución del ejército alemán, werchmart, mataron a casi toda la población adulta de gitanos junto con la mayoría de los hombres adultos judíos como represalia por la matanza de soldados alemanes realizada por los luchadores serbios de la resistencia. En Croacia los ustachas, los fascistas croatas aliados con los fascistas alemanes, mataron a unos 28.000 gitanos. Muchos gitanos fueron internados y murieron en el campo de concentración de Jasenovac.

No se sabe precisamente cuántos gitanos murieron en el porraimos. Los historiadores calculan que los alemanes y sus aliados mataron entre el 25 y el 50 % de todos los gitanos europeos. Antes de la guerra dicen algunas estadísticas que habían alrededor de 1.000.000 de gitanos en Europa , aunque esto no es muy seguro ya que muchos no estaban empadronados y no había forma de contabilizarlos, por lo tanto el número podía ser muy superior.

Como los judíos, los gitanos fueron víctimas de la ideología nazi, de la política racista que pretendía regenerar la sangre alemana y de la política de crear el espacio para una gran Alemania liberada de elementos impuros extranjeros e inferiores. ¿No suena eso familiar en la actualidad, “impuro, extranjero, inferior”? La eliminación de los gitanos sería mejor aceptada porque ya estaban señalados desde hacía mucho tiempo. La discriminación hacia ellos continúa aún hoy. Ninguna voz se levanta para defender la causa de los gitanos discriminados, esterilizados, perseguidos y exterminados. Ninguna memoria, ninguna indemnización, ninguna conmemoración. En todos estos años muy pocas veces hubierondisculpas. En Rumania sólo una vez, y esto fue después de haber llamado a una periodista “gitana apestosa” en mayo de 2007. El 23 de octubre de 2007 el presidente rumano Traian Basescu se disculpó públicamente por el papel desempeñado por su nación en el Porraimos, genocidio gitano.

Después de la guerra la discriminación contra los gitanos continuó cuando la República Federal de Alemania decidió que todas las medidas tomadas contra los gitanos antes de 1943 eran políticas legítimas del Estado y los gitanos no tenían derecho a restitución. La encarcelación, la esterilización y hasta la deportación fueron consideradas como políticas legítimas. Además la policía criminal de Bavaria asumió los archivos de Robert Ritter, incluyendo sus registros sobre gitanos en Alemania. Ritter el experto racial nazi sobre los gitanos retuvo sus credenciales y volvió a su trabajo anterior en psicología de niños. Los esfuerzos por someter a juicio a Ritter por su complicidad en la matanza de los gitanos terminaron con su suicidio en 1950. El canciller alemán Helmut Kohl reconoció el genocidio contra los gitanos en 1982; para ese momento la mayoría de los gitanos que hubieran tenido derecho a la restitución bajo la Ley alemana ya habían muerto.

En 2012 se inauguró un monumento en Alemania en homenaje a las víctimas gitanas del porraimos, en una esquina del parque Tiergarten, entre las Puertas de Brandemburgo y el edificio del Reichstag.

Sin embargo, no mucho ha cambiado en la Europa de hoy con respecto a la de los años 30 del pasado siglo. Sólo para dar un ejemplo, en la república Checa el 12 de julio de 2013 se realizaron manifestaciones antigitanas en České Budějovice. Los niños de la comunidad gitana checa siguen siendo asignados a escuelas para discapacitados mentales, a pesar de que una sentencia del Tribunal de Derechos Humanos hace siete años haya declarado la práctica como ilegal.

De ninguna manera debemos olvidar la masacre contra los judíos, pero también debemos recordar que hubieron otras víctimas de la locura y la barbarie, y que hoy esa barbarie se está viendo otra vez en la situación actual en Ucrania, con los grupos nazis que masacraron gente en Odessa el 2 de mayo de 2014 y los bombardeos del gobierno de Kiev sobre Donetsk y Lugansk “casualmente” recrudecidos después de los acontecimientos en París; las políticas antiinmigratoriastanto en Europa como en EEUU; las constantes acusaciones infundadas a la comunidad musulmana residente en los países occidentales. México y los países latinoamericanos no se quedan muy atrás, no olvidemos los asesinatos a miembros de la comunidad Quom en Argentina en 2013, grupo que dicho sea de paso en los últimos días ha sufrido nuevas amenazas y golpes.

Me gustaría terminar diciendo “Que la historia no se repita”. Lamentablemente se está repitiendo.
———————–
Bibliografía:

 

Un numero crescente di israeliani rinuncia alla nazionalità

da al manar

La percentuale di cittadini israeliani che rinunciano alla loro nazionalità è aumentato del 65% nel 2014. La maggior parte di coloro che hanno rinunciato alla nazionalità israeliana si sono stabiliti in Germania, Austria, Regno Unito, Olanda e Stati Uniti.

Lo scorso anno 765 israeliani hanno presentato documenti per rinunciare alla nazionalità israeliana contro i 478 presentati nel 2013, secondo l’Amministrazione delle Frontiere, Popolazione e Immigrazione delle ambasciate israeliane all’estero. Lo ha riferito il sito web Ynet.

Molti di questi ex cittadini israeliani hanno dichiarato di rinunciare alla cittadinanza israeliana perché vogliono acquisire un’altra o lasciare Israele a causa delle tensioni militari, per problemi di sicurezza o difficoltà economiche. La maggior parte di loro affermano di voler stabilirsi in paesi stranieri in via definitiva.

La legge israeliana stabilisce le condizioni per l’approvazione della rinuncia: Deve essere presentata in un’ambasciata israeliana all’estero, il richiedente deve dimostrare che la sua vita non si svolge in Israele e che possiede la cittadinanza di un altro Stato.

Inoltre, fa riflettere il desiderio di molti israeliani di lasciare il paese, più di 11.000 persone hanno aderito alla pagina “Olim lui Berlin” (Emigrare a Berlino) nelle ultime settimane. Il sito offre consigli per gli israeliani che vogliono emigrare a Berlino. Secondo i creatori della pagina, più di 9.000 israeliani hanno mostrato il desiderio di abbandonare Israele per stabilirsi nella capitale tedesca.

La pagina “Olim le Berlin” ha causato scalpore nel mese di ottobre, quando i suoi amministratori hanno pubblicato la scansione di uno scontrino di un supermercato a Berlino, dove i prezzi sono molto più bassi di quelli di Israele, per informare gli israeliani circa gli enormi costi di vita nell’entità sionista. Dopo la pubblicazione, i “Like” sulla pagina si sono moltiplicati e le reazioni sono anche giunte alla stampa locale.

[Trad dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Telegraph: l’Italia deve ritornare alla lira per porre fine alla depressione

315443-995x662da vocidallestero.blogspot.it

di Ambrose Evans-Pritchard

E’ un fatto incontrovertibile che il disastro che dura da 14 anni in Italia coincide con l’adesione all’UEM.

L’Italia è in depressione da quasi sei anni. Il crollo è stato costellato da false riprese, sopraffatte ogni volta dai dilettanti monetari responsabili della politica UEM.

L’ultima ripresa è svanita dopo un solo trimestre. L’economia è di nuovo in recessione tecnica. La produzione è crollata del 9% dal suo piccoindietro a livelli di 14 anni fa. La produzione industriale è scesa a livelli del 1980.

Ci vogliono errori di politica economica madornali per realizzare un tale risultato in una economia moderna. L’Italia non ha subito niente di simile durante la Grande Depressione, facendo segnare una crescita del 16% tra il 1929 e il 1939. Nemmeno Mussolini era così maniacale da perseguire i suoi deliri sul Gold Standard fino all‘amaro finale.   

Le autorità italiane intravvedono segnali di ripresa, come le guardie della fortezza nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, ingannati dalle illusioni ottiche dell’orizzonte senza vita. I prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo a un tasso del 4.5%. Moody‘s dice che quest’anno l’economia si contrarrà dello 0.1%. Société Génerale prevede -0.2%.

Il crollo della proprietà immobiliare non ha ancora toccato il fondo. La Banca d’Italia ha detto che il numero dei mesi necessari per vendere una casa è salito a 9,4, da 8,8 della fine dell’anno scorso.L’indice del peggioramento delle condizioni di mercato è passatda 19.6% a 34.7% in tre mesi. 

chart1 Pritchard

«Non possiamo andare avanti più a lungo», hanno dichiaratalla filiale di Taranto dell’associazione degli industriali italiana, Confindustria, in una lettera aperta al Presidente della Repubblica. La regione sta diventando un “deserto industriale”, hanno avvertito, con le piccole imprese sull’orlo della chiusura e dei licenziamenti di massa.

 

Il mix letale di contrazione economica e inflazione zero sta portando la traiettoria del debito in Italia a crescere in maniera esponenziale, nonostante l’austerità e un avanzo primario del 2% del PIL. 

Nel primo trimestre il debito pubblico è salito al 135.6%, da130.2% dell’anno prima. Questo è un effetto meccanico, il risultato dell’onere dell’interesse composto su una base nominale staticaI tassi di interesse reali sullo stock del debito italiano di € 2.100 miliardi – con una scadenza media di 6,3 anni – sono in realtà in aumento a causa dell’arrivo della deflazione.


Il rapporto del debito può arrivare al 140% entro la fine dell’anno, in acque inesplorate per un paese che in realtà si indebita in D-Marks. «Nessuno sa quando i mercati reagiranno», ha detto un banchiere italiano. 


La recessione sta erodendo le entrate fiscali così 
gravemente che il premier Matteo Renzi dovrà venirsene fuori con nuovi tagli, dai 20 ai 25 miliardi di €, per soddisfare gli obiettivi di disavanzo dell’UE, perpetuando il circolo vizioso.

Il compito è senza speranza. Uno studio del think-tank Bruegel ha rilevato che l’Italia deve realizzare un avanzo primario del 5% del PIL per stabilizzare il debito con un’inflazione al 2%. L’avanzo sale al 7.8% a inflazione zero. Qualsiasi tentativo di raggiungere questo obiettivo porterebbe ad una implosione autodistruttiva dell’economia italiana. 

 

chart2 Pritchard  
Ashoka Mody, fino a poco tempo fa alto funzionario del piano di salvataggio del FMI in Europa, ha detto che gli studi interni del Fondo hanno ritenuto impossibile realizzare avanzi primari nella scala necessaria. Egli consiglia alle autorità italiane di cominciare a consultare “dei bravi avvocati per garantire una ristrutturazione ordinata del debito sovrano“.
    
«Non deve essere un cataclisma. Ci sono modi di dilazionare gli obblighi di pagamento nel corso del tempo. Ma non c’è nessuna ragione di attendere fino a che il rapporto giunga al 150%. Dovrebbero andare avanti in questo senso da subito» ha detto.
 
Eugenio Scalfari, il decano de La Repubblica e leader dell’establishment UEM in Italia, dice che la ricaduta degli ultimi mesi ha ucciso tutte le illusioni. Ha raccomandato a Renzi diprepararsi a un salvataggio. «Devo esprimere una amara verità, perché tutti noi possiamo vedere la realtà davanti i nostri occhi. Forse l’Italia dovrebbe mettersi sotto il controllo della Troika dCommissione, BCE e FMI» ha detto.
   
Scalfari sembra pensare che la democrazia in Italia dovrebbe essere sospesa per salvare l’euro, che il paese dovrebbe raddoppiare le politiche di terra bruciata, imbarcandosi in uno sforzo ancora più draconiano per recuperare competitività attraverso un svalutazione interna.
 
Il giovane Renzi – appena 17enne quando fu firmato il Trattato di Maastricht, e quindi libero dal peccato originale – potrebbe equamente concludere il contrario, che l’euro dovrebbe essere abbandonato per salvare l’Italia.
   
E’ un fatto incontrovertibile che il disastro 
italiano che dura da 14anni coincide con l’adesione all’UEM. Questo non prova che ci sia causalità. Ma suggerisce che l’UEM ha messo in moto una dinamica molto distruttiva per le particolari condizioni dell’Italia, ed è molto chiaro che l’UEM ora impedisce al paese di uscire dalla trappola.
 
Ci dimentichiamo che l’Italia registrava abitualmente un surplus commerciale nei confronti della Germania nel periodo pre-UEM. Le industrie italiane del nord erano viste come concorrenti formidabili, quando la lira era debole.

Antonio Guglielmi, d
i Mediobanca, dice che l’Italia teneva, prima di agganciare la lira al marco nel 1996. Solo allora è entrata in una “spirale negativa della produttività”.

In un rapporto che è una condanna, 
egli ha mostrato come negli ultimi 40 anni la crescita della produttività e della competitività in Italia ha vacillato ogni volta che la valuta nazionale è stata agganciata a quella tedesca E si è ripresa dopo ogni svalutazione.
   
Una ragione è che 
l’economia Italiana ha un “gearing” del 67% sul tasso di cambio a causa dei tipi di prodotti che fabbrica, rispetto al 40% della Germania. Il tallone d’Achille è la metà arretrata dell’economia Italiana, soprattutto il Mezzogiorno, che compete testa a testa con la Cina e le economie emergenti dell’Asia, la Turchia e l’Europa orientale in settori sensibili ai prezzi.
 
Non vorrei tornare sul dibattito stantio sul perché l’Italia ha continuato a perdere competitività del lavoro nei confronti della Germania per un decennio e mezzo, se non per dire che questo dimostra solo quanto sia difficile piegare le culture profondamente radicate dei paesi europei alle esigenze di un esperimento monetario. Gli economisti avevano detto che le nazioni UEM avrebbero dovuto convergere. Gli antropologi e gli storici hanno sostenuto che una cosa simile non sarebbe accaduta.

E ora 
siamo arrivati qui, la situazione è ormai insostenibile. L’Italia è sopravvalutata del 30% rispetto alla Germania. Non può recuperare attraverso la deflazione, in quanto la stessa Germania è vicina alla deflazione.
   
Le élite 
della UEM esortano l’Italia a fare le «riform, un termine che viene buttato là liberamente. «E’ tutto un pio desiderio. Le metriche del mercato del lavoro per la Germania e l’Italia non sembrano così diverse. Non è più facile assumere e licenziare in Germania», ha detto Modi, che era il direttore del FMI in Germania.
   
Il professor Giuseppe Ragusa, della Luiss Guido Carli di Roma, ha detto che il principale fallimento in Italia è la mancanza di investimenti in capitale umano. «Ciò che veramente colpisce è quanto siamo indietro nell’istruzione», ha detto.
   
I dati dell’OCSE mostrano che l’Italia spende solo 
il 4.7% del PIL per l’istruzione, rispetto al 6.3% di tutta l’OCSE. La quota di giovani di età compresa tra 25-34 anni che hanno completato gli studi superiori è del 21%, rispetto ad una media del 39%. Gli insegnanti sono pagati una miseria.
 
Questo è davvero un grosso problema strutturale, ma non può essere risolto dalle «riform, figuriamoci dall’austerità. Pochi contestano che lo Stato italiano ha bisogno di una revisione radicale. Ma ciò di cui l’Italia ha bisogno è anche un New Deal, un massiccio investimento in infrastrutture e competenze, sostenutda uno stimolo monetario per sollevare il paese dalla sua soffocante tristezza cosmica. Renzi deve ormai aver capito che questo non può essere fatto sotto l’attuale regime dell’UEM.
 
Improvvisamente si ritrova nella stessa situazione terribile di Francois Hollande in Francia. Da outsider, sè scagliato contro l’ austerità dell’UEM, solo per sottomettersi tranquillamente una volta in carica, rassicurato dai suoi consiglieri che la ripresa era a portata di mano. Entrambi si ritrovano con il cappio al collo.
 
La differenza è che Hollande è oltre ogni possibilità di salvarsi. Il regime depressivo dell’UEM ha distrutto la sua presidenza. Le Figaro sta pubblicando una fiction estiva in cui si esplora la possibilità di dimissioni anticipate. Il signor Renzi non ha ancora bruciato il suo capitale politico, ed è un giocatore d’azzardo per natura.
   
Non c’è più alcuna possibilità 
che Italia e Francia conducano una rivolta dei paesi latinimettendo insieme una maggioranza in seno al Consiglio europeo e alla Banca centrale per imporre una strategia di rilancio a livello dell’UEM che cambi completamente il panorama economico. Con l’adesione alla Germania a tutti i costi, la forza politica di Hollande è bruciataGli Spagnoli pensano – sbagliando – di essere fuori dal guado, e di non averne bisogno.
 
Renzi è solo. Egli si trova davanti una BCE che ha sostanzialmente violato il suo contratto con l’Italia, lasciando cadere l’inflazione a 0.4% sapendo che questo avrebbe fatto andare in metastasi la crisi italiana. Egli si trova davanti una Commissione subentrante che promette di attuare le stesse disastrose politiche economiche che si sono già dimostrate rovinose.
   
Non vi è alcuno 
spazio di negoziazione. Queste istituzioni non sono riuscite a garantire un aggiustamento simmetrico che costringa sia il Nord che il Sud ad adottare delle misure per chiudere il divario intra-UEM da entrambe le estremità, assumendosi pari responsabilità per la cattiva gestione della joint venture UEM nei suoi primi anni. Sostenendo solo la volontà dei creditori, hanno messo a terra l’unione monetaria. Non hanno più alcuna legittimità.
 
L’Italia deve badare a se stessa. Si può riprendere solo se si libera dalla trappola UEM, riprende il controllo dei suoi strumenti di politica economica e ridenomina i suoi debiti in lire, con controlli dei capitali fino a quando le acque si calmano.
   
L’Italia non si troverebbe ad affrontare una crisi immediat
a di finanziamento, dal momento che ha un avanzo primario di bilancio. La sua posizione patrimoniale netta sull’estero è al -32% del PIL, a fronte di un -92% della Spagna e -100% del Portogallo.
   
Il paese non soffre di eccesso di debito 
da un punto di vista fondamentale. Il debito ipotecario è molto basso. Il debito aggregato è circa il 270% del PIL, molto inferiore a quello dFrancia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi. Il problema principale è un disallineamento del tasso di cambio che crea una crisi del debito pubblico non necessaria, attraverso i meccanismi perversi della UEM.
 
Non vi è un modo facildi uscire dall’euro. Le strutture ad incastro dell’unione monetaria sono andate ben oltre un aggancio di cambio fisso. Gli interessi costituiti sono potenti e spietati. Eppure non è impossibile.
   
La faccenda sicuramente precipiterà quando la traiettoria del debito italiano entrerà nella zona di pericolo. Questa volta potrebbe non essere così evidente che il paese vuole essere salvato alle condizioni europee. Renzi può giustamente concludere che l’unico modo possibile per adempiere al suo compito di un Risorgimento per l’Italia, e costruirsi il proprio mito, è quello di scommettere tutto sulla lira.
 

La Francia nega ai siriani il voto alle elezioni presidenziali

da HispanTv

Il più alto tribunale amministrativo francese ha respinto, oggi, una richiesta di cittadini siriani che rivendicavano il loro diritto di voto presso l’ambasciata di Parigi.

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di 19 cittadini siriani residenti in Francia che chiedevano l’annullamento di una decisione del governo francese vieta il voto alle presidenziali siriane.

Secondo l’entità giuridica, la controversia non è di sua competenza, mentre la decisione di Parigi, sulla base della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, “è inseparabile dalla condotta delle relazioni internazionali in Francia”.

«Le autorità francesi hanno recentemente preso la decisione di opporsi alla organizzazione delle elezioni presidenziali siriane il 28 maggio in Francia», secondo la denuncia di Damien Viguier, avvocato per i 19 cittadini residenti in Francia.

A questo proposito, il Belgio e la Germania hanno aderito alla decisione del governo francese di vietare il voto siriani nelle rispettive ambasciate in Europa nel corso della prossima elezioni presidenziali, ritenendole elezioni democraticamente illegittime.

Mercoledì scorso, i cittadini siriani in Francia hanno organizzato una marcia a Parigi per criticare la Francia e la Germania che ostacolano il processo democratico delle elezioni presidenziali in Siria, non permettendo lo svolgimento di elezioni nelle ambasciate che la nazione araba ha in queste nazioni europee.

Le elezioni presidenziali siriane si terranno il 3 giugno, mentre secondo i dati forniti dal Ministero degli Esteri del paese arabo, i siriani che vivono all’estero possono esprimere il loro voto nelle urne previste a tal fine, messe nelle ambasciate dei paesi in cui risiedono, il 28 maggio.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

La lettera di sostegno alla Russia di Putin dalla società civile tedesca

scholz-kleinda lantidiplomatico.it

In una lettera inviata a Vladimir Putin, importanti membri della società civile tedesca hanno condannato apertamente la russofobia dilagante nei media e nell’establishment politico tedesco, manifestando il loro supporto per le azioni di Mosca nell’attuale crisi ucraina.

A scriverla è stato il Luogotenente delle forze aeree tedesche in pensione Jochen Scholz, in risposta al discorso di Putin del 18 marzo scorso in occasione della riunificazione con la Crimea in cui il presidente russo si è rivosto direttamente al popolo tedesco. La missiva è stata cofirmata da centinaia di avvocati giornalisti, dottori, accademici, scienziati, diplomatici e storici tedeschi.

Ribadendo come George Bush padre avesse data chiara assicurazione che la Nato non si sarebbe espansa a est, Scholz scrive come l’occidente ha violato questa promessa a Mosca con la costruzione di un sistema di difesa missilistico nell’Europa dell’est e l’espansione della Nato nelle repubbliche ex sovietiche e l’installazione di basi militari nei paesi dell’ex Patto di Varsavia.

A differenza della guerra fredda, spiega Scholz in un’intervista a RT, quando gli interessi dell’Europa e quelli degli Stati Uniti coincidevano «dagli anni’90 questo è cambiato. Gli interessi europei sono oggettivamente differenti. E quindi il nostro compito è di prendere il nostro destino nelle nostre mani. Lavorare insieme in pace e e cooperazione nel rispetto dei diritti umani».

Avendo in mente il principale obiettivo geopolitico degli Usa, vale a dire neutralizzare la Russia, il colonnello in pensione afferma nella sua lettera che Washington ha usato la crisi ucraina come “strumento” per raggiungerlo. «Questo modello è stato usato ripetutamente: in Serbia, Georgia e Ukraina nel 2004, Egitto, Siria, Libia e Venezuela». La lettera si conclude con un sostegno pieno alle azioni intraprese dalla Russia come contrappeso agli interessi nord-americani.

 

Nasce a Berlino la Rete di Solidarietà con l’America latina ed i Caraibi

Il 27 ottobre 2013 l’Associazione Nazionale delle Reti e delle Organizzazioni Sociali – Italia ha partecipato all’incontro internazionale che ha costituito la Rete di Solidarietà con l’America latina ed i Caraibi. L’incontro si è tenuto presso l’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Berlino. 

Si sono raccolti nel Salone principale dell’Ambasciata venezuelana in Germania, per esprimere la propria solidarietà e sostegno attivisti dei movimenti sociali in appoggio al processo bolivariano, migranti venezuelani in Germania, tedeschi solidali e provenienti da altri paesi, oltre che dall’Italia, dalla Svizzera, Spagna, Svezia, Cile, Colombia, Perù, Honduras, Iraq, Iran, Kazakistan, in collegamento anche con la Bolivia, Cuba, Argentina, Brasile e Francia.
 
Per l’ANROS Italia hanno partecipato il Presidente Emilio Lambiase (Associazione SurAmericAlba), i consiglieri Ciro Brescia (Associazione ALBA), Alvaro Uzcategui Pereda (Circolo Bolivariano Simón Rodríguez di Napoli) ed in video-collegamento Indira Pineda Daudinot (sociologa cubana attiva nella solidarietà ed amicizia tra Cuba e Italia).
 
L’incontro si è concluso dopo una intensa giornata di dialogo e reciproca conoscenza ed ha prodotto la seguente 
Más de 40 asistentes representantes de Movimientos políticos y sociales de Alemania, Europa y Asia

Dichiarazione di Solidarietà con il Popolo dell’Ecuador, vittima della Chevron e con il Popolo Venezuelano

Manifestiamo la nostra solidarietà con il governo nazionale dell’Ecuador ed il Fronte Amazzonico, lo stesso che richiede l’indennizzo per i danni ambientali storici causati dalla Chevron-Texaco nella selva Ecuatoriana.

Chevron deve riconoscere l’indennizzo di 19 miliardi di dollari, secondo la sentenza di una corte ecuatoriana del 2011. La multinazionale statunitense spende milioni di dollari in ricorsi e campagne sporche contro lo Stato ecuadoriano, invece di attenersi alla sentenza. L’Ecuador non è più il patio trasero degli USA. Il governo, quindi, informa il mondo sull’attualità di questo caso.

Per tanto, come rete di reti di solidarietà tanto con la Revolución Bolivariana come con la Revolución Ciudadana e gli altri popoli latinoamericani e caraibici, membri o meno della Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA), ci impegniamo a diffondere le informazioni sul caso della Chevron e l’esempio da seguire che costituisce l’ALBA per i popoli della Unione Europea.

La prossima occasione di incontro sarà per la serie di eventi che organizzerà la sezione distrettuale della Die Linke a partire dalla fine del 2013. In questo modo, ci impegniamo a cooperare con questa serie di eventi e presentare i nostri suggerimenti ed iniziative, nell’ambito dell’incontro che si terrà il 22 novembre 2013 nella galleria Freies Museum, Berlino-Schöneberg (evento sull’ALBA vs. UE, organizzato dalla Fondazione Rosa Luxemburg).

Dichiariamo la nostra solidarietà con il Popolo della Repubblica Bolivariana del Venezuela di fronte alla guerra mediatica ed economica da parte dei settori antidemocratici appoggiati dall’imperialismo che si sono intensificati alla vigilia delle elezioni municipali dell’8 Dicembre 2013.

Compagne e compagni, siamo al vostro fianco e vi appoggiamo in questa lotta di resistenza!!

Ci dichiariamo solidali con i Cinque Eroi Antiterroristi Cubani che sono stati imprigionati negli USA per la loro instancabile lotta contro il terrorismo imperialista degli USA. Manifestiamo la nostra solidarietà con Julián Conrado, Ilich Ramírez Sánchez, Asier Guridi Zaloña e sollecitiamo il Governo Rivoluzionario del Venezuela, il Presidente Operaio e Chavista Nicolás Maduro affinché intraprenda tutte le azioni necessarie a che possano essi recuperare presto la propria libertà.

Rete di Solidarietà con l’America latina ed i Caraibi

Berlino, 27 ottobre 2013

Sono convenuti ed intervenuti alla giornata del 27:

CADHO, Cadena de Derechos,  Venezuela Avanza, Germania, SoliRedNetz, Patria Grande, Iran, JPSUV-GPP, Venezuela – Germania, Resolver Svezia, JPSUV – Germania, FBR Peumayén, PSUV – Svizzera Venezolanos Patriotas Org. Bolivarianos en Europa, JPSUV – Germania, Portal Amerika 21/Prensa Latina, SoliRedNetz Patria Grande, Freundschaftsgesellshaft Salvador Allende e V/SoliredNetz Patria Grande,  JPSUV – Kazakistan, JPSUV/Fundayacucho, JPSUV Germania, FBR – Peumayén, SoliRedNetz, Die Linke Tempelhof-Schӧneberg, Librepensadores, Berlino, SoliRedNetz Patria Grande Perù, SoliRedNetz Patria Grande, Solidaridad, Spagna, Venezuela Avanza, Germania, Interbrigadas, Germania, GALBAE (Amburgo, Germania), Emilio Lambiase (ANROS Italia), Ciro Brescia (ANROS Italia), Álvaro José Uzcategui (ANROS Italia),Solidaridad, Spagna, Deutscher Friedensrat, Circulos Bolivarianos, Ambasciata del Venezuela a Baghdad, Iraq, Germán Ferrer (ANROS Venezuela), Circulos Bolivarianos 

"En Tiempos de Guarimba"

Conoce a quienes te quieren dirigir

La Covacha Roja

Donde encontramos ideas avanzadas

Pensamiento Nuestro Americano

Articulando Luchas, Cultivando Resistencias

RE-EVOLUCIÓN

Combatiendo al neofascismo internacional

Comitè Antiimperialista

Contra les agressions imperialistes i amb la lluita dels pobles per la seva sobirania

SLAVYANGRAD.es

Nuestra ira no tiene limites. (c) V. M. Molotov

Gli Appunti del Paz83

Internet non accende le rivoluzioni, ma aiuta a vincerle - Il Blog di Matteo Castellani Tarabini

Sociología crítica

Articulos y textos para debate y análisis de la realidad social

Hugo Chavez Front - Canada

Get to know what's really going on in Venezuela

Revista Nuestra América

Análisis, política y cultura

Avanzada Popular

Colectivo Avanzada Popular

Vientos del Este

Actualidad, cultura, historia y curiosidades sobre Europa del Este

My Blog

Just another WordPress.com site

Festival delle idee politiche

Rassegna annuale di teorie politiche e pratiche della partecipazione civile

Far di Conto

Piccoli numeri e liberi pensieri

Miradas desde Nuestra América

Otro Mundo es Posible, Necesario, Urgente. Desde la provincia chilena

Como te iba contando

Bla bla bla bla...

Coordinadora Simón Bolívar

¡Bolívar vive la lucha sigue!

LaDu

Laboratorio di Degustazione Urbana

il Blog di Daniele Barbieri & altr*

"Per conquistare un futuro bisogna prima sognarlo" (Marge Piercy)

KFA Italia - notizie e attività

notizie dalla Corea Popolare e dalla Korean Friendship Association

KFA Euskal Herria

Korearekiko Laguntasun Elkartea | Korean Friendship Association

ULTIMOTEATRO.PRODUZIONIINCIVILI

Nuova Drammaturgia del Contemporaneo

Sociales en PDF

Libro de sociales en formato digital.

matricola7047

Notes de lectura i altres informacions del seminari sobre el Quaderns de la Presó d'Antonio Gramsci ( Associació Cultural Espai Marx)

Centro Cultural Tina Modotti Caracas

Promoción de la cultura y arte Hispanoamericana e Italiana. Enseñanza y educaciòn.

Racconti di quasi amore

a costo di apparire ridicolo

JoséPulido

La página del escritor venezolano

Donne in rosso

foglio dell'ADoC (Assemblea delle donne comuniste)

Conferenza Mondiale delle Donne - Caracas 2011

Just another WordPress.com site

tarot Co_creador

donde las líneas de la vida y el alma convergen

NapoliNoWar

(sito momentaneamente inattivo)

Sonia Serravalli - Opere, biografia e altro

Se non vedi i miracoli, non significa che non esistano

rivoluzionando

La Rivoluzione del Popolo

Sebastiano Isaia

Il punto di vista umano. «Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso» (K. Marx). «Emancipando se stesso, il proletariato emancipa l’intera umanità» (K. Marx).