da Brasil de fato
La consigliera comunale di Rio Marielle Franco (PSOL) e l’autista Anderson Pedro Gomes sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco, la notte dello scorso mercoledì (14 marzo), nel quartiere do Estácio, al centro di Rio de Janeiro.
Marielle era appena uscita dall’iniziativa “Giovani nere che muovono la struttura” e quando stava passando davanti al Municipio, un’auto si è accostata al veicolo, ha fatto fuoco numerose volte ed è fuggita di corsa. Un’addetta alla comunicazione che era nell’auto è stata ferita ma non è grave.
La polizia di Rio de Janeiro ancora sta investigando il caso, ma lavora sull’ipotesi dell’esecuzione. Sono stati identificati per lo meno nove colpi d’arma da fuoco nella carrozzeria e nei vetri dell’auto. A partire da giovedì 15, in varie città del Brasile, si sono organizzate veglie di protesta e manifestazione per ricordare l’attivista e per esigere pronta giustizia verso esecutori e mandante dell’efferato omicidio. In poche ore, il caso di Mireille già ha conquistato il mondo e mette in luce l’attuale congiuntura politica che sta vivendo il paese.
Nata nel complesso della Maré, Marielle era impegnata nella difesa dei diritti umani dei neri e delle nere, nonché nella denuncia del genocidio di giovani nelle favelas da parte della Polizia Militare. A febbraio, era passata a integrare la Commissione che accompagna l’intervento militare a Rio. Tre giorni prima del delitto, Marielle aveva denunciato il coinvolgimento di poliziotti nell’uccisione di giovani in città.
[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]
NOTA AGGIUNTIVA
di Marco Nieli
Il coinvolgimento delle forze di sicurezza nell’esecuzione della Franco è stato provato lo scorso venerdì da una perizia forense che ha individuato la provenienza dei proiettili da 9 mm usati dai sicari da un lotto venduto a Brasilia nel 2016 alla Polizia Federale.
L’attivista e militante politica del PSOL era da tempo impegnata a monitorare e denunciare abusi e violenze della polizia e dell’esercito sui giovani neri delle favelas, uccisi in vere e proprie esecuzioni extra-giudiziarie o terrorizzati in raids improvvisi come nella favela Acarì lo scorso 10 marzo. Nel Brasile di Temer, si stima che circa 155 favelados neri vengano uccisi ogni giorno e che su 100 omicidi, 71 hanno come vittime neri e mulatti. Inoltre, gli 8500 soldati, dispiegati a sostegno delle forze di polizia dal governo Temer con il decreto Garanzia delle Legge e dell’Ordine (GLO) del luglio 2017, sono indice di una crescente militarizzazione del territorio, in un paese in cui il consenso al governo golpista è ai minimi storici.
Come in ogni contesto storico-politico in cui l’egemonia in crisi viene sostituita dal dominio diretto e repressivo delle classi possidenti, l’unica opzione sul tappeto rimane la forza brutale e il gorillismo. Di fatto, l’assassinio politico sta ritornando in auge nei paesi sudamericani che hanno svoltato recentemente a destra, per via elettorale (l’Argentina di Macri) o golpista (il Brasile di Temer), come pratica repressiva del dissenso, in modi che ricordano per molti versi l’epoca del famigerato Plan Condor. In Argentina, le forze dell’ordine, mai completamente epurate dall’epoca della Dittatura (1976-1982), sono tra le più corrotte del continente. Le recenti misure adottate dal governo Macri in termini di detenzione preventiva dei sospetti e di sostanziale impunità di agenti e soldati di fronte ai manifestanti e agli attivisti/militanti sociali portano quotidianamente a episodi di tortura, maltrattamenti e perfino sparizioni/uccisioni come quella del militante pro-Mapuche Santiago Maldonado lo scorso ottobre. La spietata esecuzione di Marielle Franco a Rio porta oggi alla ribalta internazionale un’analoga situazione esistente nel Brasile golpista di M. Temer.
L’ONU, come anche il Social Forum di Bahia, hanno già preso una chiara posizione sull’esecuzione della consigliera, esigendo indagini rapide, trasparenti e giustizia certa verso mandanti ed esecutori. Chissà se le organizzazioni diritto-umanitarie alla Amnesty o alla Human Rights Watch, sempre pronte a fustigare paesi scomodi per l’Impero come il Venezuela, Cuba o la Siria, si faranno sentire stavolta, prendendo in considerazione la violazione sistematica dei diritti umani in questi paesi latino-americani, neo-alleati degli Stati Uniti. Fatto sta che, all’epoca dell’integrazione continentale promossa dal compianto Presidente del Venezuela Hugo Chávez, queste pratiche barbariche, retaggio di un’epoca che si sperava ormai passata, sebbene non del tutto inesistenti a livello locale, venivano comunque osteggiate e scoraggiate dai governi dei rispettivi paesi. La deriva attuale verso destra riporta indietro di decenni i popoli brasiliano e argentino e la reazione in termini di mobilitazione sociale e denuncia deve essere pronta ed efficace.