Dichiarazione dell’ALBA-TCP sulla crisi umanitaria nel mediterraneo

IV RIUNIONE STRAORDINARIA DEL CONSIGLIO POLITICO DELL’ALBA-TCP

I ministri degli Esteri del Consiglio Politico dell’ALBA-TCP di fronte alla terribile situazione umanitaria che si verifica nel Mediterraneo dichiarano:

  1. La causa principale delle tragedie umanitarie che hanno trasformato il Mediterraneo in una immensa e profonda tomba è il modello capitalista coloniale e neocoloniale, che ha precipitato i popoli di Africa e Asia nel sottosviluppo e distrutto i loro modelli produttivi, ponendoli al servizio delle metropoli occidentali. Nel 2015 oltre 2000 persone hanno perso la vita per sfuggire alle severe condizioni di vita e all’instabilità in Africa e Asia.

  1. Le economie africane sono state schiacciate sotto il pesante fardello della tassazione imposta dalle metropoli imperialiste europee, che ha generato crisi umanitarie in molti dei suoi paesi, e reso vani tutti i tentativi di rilanciare le loro economie a beneficio dei popoli africani.

  1. L’Occidente utilizza la violenza terroristica per rovesciare quei legittimi governi che si rifiutano di applicare il modello capitalistico di sfruttamento e non soddisfano i suoi voraci interessi.

  1. Con il patrocinio e la complicità dell’Occidente, la violenza si è diffusa nei paesi africani, l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq e il Medio Oriente perpetrati da gruppi terroristici impuniti che hanno causato profonda sofferenza ai popoli di queste vaste regioni.

  1. I processi di destabilizzazione della regione sono andati a sommarsi alle già nefaste conseguenze del colonialismo e del neocolonialismo. Le modalità con cui la Libia è stata smembrata nel 2011 rappresentano il massimo esempio di questo. Il rovesciamento illegittimo del suo governo, in contrasto con il diritto internazionale, ha costretto al trasferimento di migliaia di cittadini, che, nel tentativo di attraversare il Mar Mediterraneo, rischiano la vita per sfuggire alla violenza terroristica e alle carestie provocate dall’Occidente.

  1. Allo stesso modo, l’Occidente intende rovesciare il legittimo e costituzionale governo della Siria, promuovendo ulteriore violenza terroristica e destabilizzazione in tutta la regione.

  1. Riteniamo che questa nuova avventura imperialista incrementerà l’attuale tragedia umanitaria, e renderà l’Europa l’obiettivo principale delle terribili conseguenze umane derivanti da questa azione che è in contrasto con i principi fondamentali del Diritto Internazionale.

  1. Facciamo appello all’Europa affinché si svegli e reagisca immediatamente, con sensibilità e giustizia, e accetti la sua responsabilità storica che supera i limiti della tragedia umana.

  1. I paesi dell’ALBA-TCP chiedono ai governi e ai popoli del mondo di costruire un Piano di Solidarietà per i popoli che subiscono oggi le conseguenze del terrorismo internazionale, e di investire il 20% della spesa militare mondiale per sostenere il diritto alla salute, istruzione, cibo, abitazioni e diritti umani fondamentali di milioni di cittadini colpiti dal terrorismo promosso e supportato dall’Occidente.

  1. Inoltre, esprimiamo la nostra costante e seria preoccupazione per le deportazioni e i trasferimenti forzati in corso di cittadini dominicani di origine haitiana, e riaffermiamo i diritti umani fondamentali di tutti coloro che sono sfollati, e chiediamo una soluzione giusta e pacifica di questa crisi in conformità con i principi del diritto internazionale.

Caracas, Repubblica Bolivariana del Venezuela, 10 agosto 2015.

I movimenti di protesta USA contro la guerra in Vietnam

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di Alessandro Pagani

Gli anni della protesta contro la guerra in Vietnam furono quelli con la maggiore divisione interna negli Stati Uniti dai tempi della guerra civile. Un importante settore della popolazione si mobilitava per chiedere l’immediato ritiro di tutte le truppe di occupazione statunitensi dall’Indocina.

Iniziata da pochi giovani studenti delle principali università, la protesta crebbe parallelamente all’estendersi delle violenze perpetrate dai marines e dalla CIA ai danni della popolazione civile in Vietnam. Nonostante l’eterogeneità tra i vari settori del movimento e la repressione condotta dal governo mediante l’impiego della forza militare, il movimento contro la guerra riuscì a rappresentare un importante fattore di indebolimento della politica imperialista nordamericana.

1. I semi della protesta contro la guerra in Vietnam

Per individuare l’origine del movimento è necessario fare un passo indietro agli anni Cinquanta, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale. La società statunitense era caratterizzata da un clima conservatore, maccartista, base e sostegno della politica da guerra fredda.

Sul piano esterno, con la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si tramutarono nel centro propulsore del terrorismo capitalista internazionale, sentendosi nel diritto di svolgere il ruolo di gendarme del mondo, contro il cosiddetto “pericolo rosso”. Mentre i dividenti miliardari delle grandi multinazionali statunitensi assicurarono un patto sociale di carattere neo-corporativo nel quale le burocrazie dei principali sindacati statunitensi, assieme ad altri settori della cosiddetta società civile, costituirono un’alleanza col blocco sociale al potere. Tutto ciò pose fine a quasi un secolo di lotte sindacali, permettendo l’estendersi del consenso nell’opinione pubblica statunitense, intorno alla politica interna ed estera.

La spesa pubblica degli Stati Uniti crebbe spropositatamente, fomentando la produzione per fini bellici. L’intervento del settore militare non risparmiò nemmeno la ricerca scientifica: l’influenza del Pentagono e della CIA su settori come la chimica e la biologia fu totale.

Rappresentativa del clima di quegli anni fu la condanna a morte dei coniugi Rosenberg.

Ciò che si consolidò durante tutto il decennio degli anni Cinquanta fu l’alienazione delle persone dal complesso sistema dei rapporti sociali; il cittadino statunitense fu portato a elaborare i propri pensieri meccanicamente e a comportarsi come un individuo avulso dall’insieme della società, il cui unico orizzonte e rifugio era diventato l’alveo della famiglia bianca di classe media, considerata la cellula fondamentale del sistema nordamericano. Venne parallelamente implementata una vera e propria operazione di ingegneria sociale: la creazione di quartieri dove furono ghettizzati interi settori appartenenti alle classi sociali subalterne, soprattutto delle minoranze afroamericane, ispaniche e cinesi.

Tale situazione divenne insostenibile per la comunità nera, che iniziò a organizzare le proprie rivendicazioni a partire dalla questione dei diritti civili, per giungere a una critica complessiva del sistema socio-economico.

Questa esperienza di lotta sensibilizzò notevolmente le coscienze delle giovani generazioni degli anni Sessanta. Nello specifico ciò avvenne tra gli studenti delle università, che compresero il significato politico delle contestazioni afroamericane e l’importanza di appoggiarne le rivendicazioni.

E’ in questo contesto che va individuata l’accumulazione delle forze che si misero in moto per protestare contro la guerra in Vietnam.

Agli albori degli anni Settanta la lotta degli afroamericani contro il razzismo e la segregazione secolare era abbastanza matura da permettere a Martin Luther King di dare battaglia contro la violenza di classe perpetuata dagli Stati Uniti sui propri cittadini.

King, forse, non seppe dirigere il movimento di protesta come in tanti avrebbero voluto, ma con il suo attivismo politico riuscì a favorire e accompagnare il risveglio della comunità nera da quella “atmosfera di novocaina”, vale a dire da quel senso di rassegnazione e passività in cui era imprigionata (Cleaver, 1969). La più grande mobilitazione afroamericana avvenne in quel lontano e retrogrado Sud degli Stati Uniti in cui la violenza e la repressione fascistoide e xenofoba da parte del Ku Klux Clan (gruppo di mercenari razzisti al soldo del capitale agrario meridionale) sembravano condannare la comunità nera a un sistema di oppressione senza via d’uscita (Marine, 1971).

Nello stesso tempo si costituirono diverse organizzazioni di solidarietà in seno ai giovani bianchi, tra le quali vi era l’NSM (Movimento Studentesco del Nord) fondato nel 1962, che vide militare nelle sue file studenti come Abbie Hoffman, il quale divenne uno dei leader durante le proteste contro la guerra in Vietnam.

Nel biennio 1963-64 le rivendicazioni all’interno della stessa comunità afroamericana si elevarono sensibilmente.

All’inizio degli anni Sessanta cominciarono a conquistare grande risonanza i discorsi e i proclami rivoluzionari di Malcom X, che fu assassinato nel 1965 nel quadro della repressione militare e poliziesca di cui furono sistematicamente oggetto i movimenti d’avanguardia negli Stati Uniti.

Nell’estate del 1964 ci furono le proteste di Watts, il ghetto nero di Los Angeles (Canot, 1970).

Questa radicalizzazione da parte della gioventù è da considerarsi come un momento chiave per la lettura del movimento di protesta negli Stati Uniti, e per l’emergere di una serie di nuove leve rivoluzionarie come Eldrige Cleaver, Bobby Seale, Huey P. Newton e Rap Brown.

2. Formazione e consolidazione della protesta.

I semi della protesta contro la guerra in Vietnam, che vanno collocati a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, cominciarono a far germogliare i propri fiori.

I movimenti studenteschi furono i protagonisti della prima fase della protesta contro la guerra.

L’SDS (Studenti per una Società Democratica) nacque negli anni Sessanta dopo essersi allontanata dalla vecchia organizzazione studentesca, la SLID (Lega Studentesca per una Democrazia Industriale), che dal 1921 aveva raggruppato vari settori di socialisti e progressisti nelle università del paese.

Nel 1962, l’SDS si riunì a Port Huron, Michigan, e pubblicò una dichiarazione d’intenti che avrà una profonda ripercussione sul movimento giovanile studentesco di allora. In questa dichiarazione si proclamava la ricerca di una “democrazia partecipativa e diretta”, che avrebbe dovuto ampliare gli elementi democratici a tutti i livelli della società. Ispirata agli scritti di Herbert Marcuse e Wright Mills, la Dichiarazione di Port Huron si convertì in uno dei manifesti più letti e discussi della “Nuova Sinistra”. L’SDS divenne una delle maggiori organizzazioni durante i primi anni di protesta contro la guerra (Harwey, 1966).

Nel 1964, l’amministrazione universitaria di Berkeley proibì una serie di conferenze e sit-in pubblici organizzati dagli studenti in solidarietà con la lotta degli afroamericani, definendoli come politically incorrect per l’immagine dell’università. La decisione dell’amministrazione universitaria fu la goccia che fece traboccare il vaso. Gli studenti cominciarono ad adottare le tattiche già utilizzate dagli afroamericani nel Sud. A causa del susseguirsi di arresti indiscriminati (oltre 800 studenti), sorse il “Free Speech Movement” (Movimento per la Libertà di Espressione), guidato da Mario Savio. I successi ottenuti rafforzarono l’intero movimento studentesco.

Il 17 aprile, l’SDS convocò la prima giornata di protesta contro l’intervento imperialista in Vietnam, con la partecipazione di oltre 20.000 persone a Washington. La manifestazione fu un momento di grande rilevanza politica, dato che per la prima volta un’organizzazione studentesca aveva potuto riunire soggetti politici differenti, sulla base del totale disprezzo nei confronti della guerra e del saccheggio promossi dal governo.

Anche la musica veniva intrinsecamente legata alla protesta. Cantanti come Bob Dylan e Phil Ochs si convertirono in portavoce della sensibilità più profonde della protesta contro la guerra.

Nell’agosto del 1965 si riunì a Washington l’assemblea degli “uomini senza rappresentanza”, in commemorazione del Ventesimo anniversario della catastrofe nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Parteciparono non pochi gruppi formati da nativi americani, indipendentisti portoricani, rappresentanti del Catholic Worker, donne della WSP e leaders dell’SDS. Dalla plenaria nacque il NCCEWV (Comitato Nazionale per porre fine alla guerra in Vietnam), che contava su una trentina di organizzazioni.

Proprio in quei giorni aumentava in maniera drammatica l’aggressione contro il Vietnam: in gennaio il numero di truppe statunitensi su suolo vietnamita era arrivato a 50.000 effettivi; alla fine dell’anno solare era cresciuto a 200.000. Nell’ottobre del 1965 il NCCEWV indisse la sua prima giornata nazionale di protesta contro la “sporca guerra”: 25.000 persone marciarono nella città di New York, 10.000 a Berkeley, mentre in tutto il paese parteciparono all’incirca 100.000 persone.

Poco a poco la resistenza comunista vietnamita trovò numerosi simpatizzanti in seno alla gioventù statunitense. La figura di Ho Chi Minh, per i giovani che partecipavano contro la guerra in Vietnam, venne elevata a livello di eroe.

L’altro importante settore della società nordamericana, che con lo svilupparsi degli eventi ebbe un ruolo di grande rilevanza nella protesta contro la guerra, fu il movimento afroamericano. Nel 1964, mentre da un lato il pacifismo di King raggiungeva il suo culmine con l’ottenimento del premio Nobel per la Pace, si cominciava a sentire all’interno stesso del suo movimento il rumoreggiare di un processo di radicalizzazione.

La rivolta popolare di Watts fece riflettere moltissimi giovani bianchi sull’importanza di aprire gli occhi e di prendere posizione contro il proprio governo.

Nel 1966 a Oakland, California, Huey P. Newton e Bobby Seale formarono il Blacks Panthers Party for self-defense (il Partito delle Pantere Nere per l’auto difesa), che cercavano di fomentare un processo rivoluzionario attraverso il lavoro sociale nei ghetti delle grandi metropoli statunitensi ed educando la propria comunità all’autodifesa dal terrorismo di Stato. Il Partito delle Pantere Nere criticò aspramente la strategia politica di altre organizzazioni nere. Nello specifico non condivideva la politica di esclusione di tutti quegli studenti bianchi della classe media nordamericana che da anni si opponevano alla guerra e si esprimevano in solidarietà alla comunità afroamericana. Le Pantere Nere si unirono alle proteste contro la guerra, esplicitando altresì l’alleanza con il movimento studentesco (Seale, 1971). La reale volontà da parte dei settori rivoluzionari del movimento afroamericano di unire le proprie forze con il movimento studentesco bianco si scontrava con le politiche fino allora espresse in numerosi suoi discorsi dallo stesso King. Il reverendo King considerava ancora che gli afroamericani avrebbero dovuto concentrare i propri sforzi nella lotta contro la discriminazione razziale e che la protesta contro la guerra in Vietnam avrebbe sviato le forze del movimento su questioni non fondamentali per la propria lotta. Riteneva assai importante, per gli interessi della comunità nera, mantenere e dove fosse possibile ampliare, l’alleanza con i dirigenti del Partito Democratico, in particolare con i presidenti John F. Kennedy e Lyndon Johnson, Per non rischiare di compromettere le sue relazioni, King trattò in questa fase di mantenersi passivo rispetto alla tematica della guerra.

D’altro canto, durante gli ultimi mesi del 1966 e i primi mesi del 1967 sorgevano, intorno a King, nuove voci che cercavano di persuaderlo nel cambiare linea politica e d’intraprendere un’azione più diretta contro il governo. Tra questi va segnalato il giovane Jesse Jackson.

King, influenzato positivamente dalle tesi politiche espresse da Jackson, lanciò una nuova linea di aperta condanna contro la guerra in Vietnam, contro il sistema capitalista e di ricerca di unità con la classe operaia statunitense. Ciò portò da una parte alla rottura con il presidente Johnson e a un avvicinamento ai radicali; dall’altra, al materializzarsi di un’esplicita critica al riformismo e all’attendismo (liberal) di quegli anni (Naso, 1993).

Il campione del mondo dei pesi massimi Mohamed Ali fu spogliato del suo titolo per essersi negato a prestare il servizio militare, dichiarando: “laggiù inviano musi neri a uccidere musi gialli, affinché dei bianchi possano appropriarsi della terra che vogliono rubare ai rossi” e infine disse: “nessun Vietcong mi ha mai chiamato sporco negro”.

Non pochi gruppi che si opponevano alla guerra in Vietnam si conformarono in ogni angolo degli Stati Uniti.

Los Chicanos, capeggiati da Cesar Chavez, avevano cominciato nel 1965 a organizzare gli operai agrari dell’industria fruttifera californiana. Così come gli afroamericani, inizialmente, anche Los Chicanos iniziarono a lottare per ottenere riforme settoriali, ma col passare del tempo compresero che i risultati delle loro rivendicazioni sarebbero stati effimeri qualora non fossero passati a una lotta politica contro il sistema economico capitalista.

Dalle Università ai quartieri popolari, dal profondo Sud fino a Washington D.C., il carattere popolare della protesta, che gli statunitensi chiamavano gross-roots. come se fosse un torrente in piena, rafforzava la protesta. Alla fine del 1967 il movimento di protesta contro la guerra in Vietnam sembrava ormai consolidato.

3. La fase più acuta

L’anno 1968 fu quello con il più alto grado di conflitto e cominciò con l’intensificarsi della guerra imperialista in Vietnam. In quell’anno la presenza statunitense arrivò a mezzo milione di soldati. Nonostante la stampa embedded statunitense cercasse di nascondere i crimini commessi dalle proprie truppe, una parte dell’opinione pubblica statunitense si rese conto del vero volto della guerra.

il 4 aprile del 1968, durante un comizio a Memphis, anche Martin Luther King fu assassinato da un sicario. La reazione di fronte a questo ulteriore atto di terrorismo di Stato fece esplodere i quartieri popolari delle maggiori città statunitensi. L’omicidio di King non fu il gesto isolato di qualche razzista, ma una fase dell’operazione militare di repressione del dissenso politico sistematicamente condotta in quegli anni.

Il Convegno del Partito Democratico di agosto a Chicago si convertì nel centro di vastissime e imponenti attività di lotta. Tutti i principali gruppi di protesta erano presenti: le Pantere Nere marciarono per le strade, i giovani dell’SDS, occuparono con le loro tende il Lincoln Park. All’imbrunire del giorno il sindaco di Chicago, Richard Daley, ordinò alla polizia di “ripulire l’immondezzaio che occupa abusivamente le strade di Chicago”.

Le proteste di Chicago vennero schiacciate.

Alle presidenziali dello stesso anno si impose il falco repubblicano Richard Nixon, che cavalcava un becero nazionalismo sintetizzato dal suo slogan sulla “pace con onore”, che implicitamente accusava gli oppositori alla guerra di voler svendere la dignità nazionale, con la complicità del Partito Democratico.

I settori di opposizione alla guerra in Vietnam si resero conto di cosa in realtà significasse per Nixon la cosiddetta “pace con onore”, e come questa comportasse nient’altro che una nuova strategia di guerra, per mezzo dell’intensificarsi dei bombardamenti con armi chimiche sul Vietnam e di operazioni militari sotto false flag (falsa bandiera) nel Laos e in Cambogia; dove gruppi di mercenari assoldati e addestrati dalla CIA, compivano azioni paramilitari contro la popolazione civile trattando di farne ricadere la responsabilità sui Vietcong.

Parallelamente continuarono a crescere le azioni repressive del governo, che attraverso ondate di arresti e omicidi, portarono alla fine del 1969 alla disarticolazione delle principali organizzazioni di opposizione alla guerra, compreso il Partito delle Pantere Nere, considerato all’epoca la maggiore minaccia per la sicurezza nazionale.

In quegli stessi mesi si resero pubbliche le foto del terribile massacro perpetrato dai marines ai danni di anziani, donne e bambini nel piccolo villaggio vietnamita di My Lai.

Si decise di convocare una grande giornata nazionale di protesta contro la guerra per il 15 ottobre, denominata Vietnam Moratorium Day.

La manifestazione ebbe un risultato sorprendente: nonostante l’indebolimento organizzativo oltre 600.000 persone in tutti gli Stati Uniti risposero positivamente scendendo in strada.

Alla fine di aprile del 1970 una serie di manifestazioni contro l’invasione militare della Cambogia si svolsero in moltissime università statunitensi. Nell’università del Kent State, Ohio, quattro studenti furono assassinati per mano della Guardia Nazionale. Non pochi furono gli scontri e le rivolte in quasi tutte le università degli Stati Uniti. Oltre 500 università – per ordine della Casa Bianca – furono chiuse, mentre circa 20 furono occupate militarmente dalla Guardia Nazionale. Il 9 maggio, centinaia di migliaia di lavoratori e studenti s’incontrarono a Washington, sotto la Casa Bianca, per denunciare la criminalizzazione del movimento studentesco.

Nel 1970, di fronte al prolungarsi della guerra, alla diffusione del malcontento interno e alle sempre maggiori capacità militari della Resistenza vietnamita, i senatori contrari al proseguimento della guerra ottennero la revoca dei poteri illimitati di cui aveva goduto il Presidente a partire dalla Risoluzione del Golfo di Tonchino.

4. L’ultimo periodo

La fase successiva del movimento si caratterizza per la divisione interna tra i settori sopravvissuti alla campagna militare e giudiziaria condotta ininterrottamente contro di esso e per la sua progressiva riduzione entro vie più istituzionali. La repressione aveva colpito in modo particolarmente pesante le avanguardie del movimento e all’inizio del 1971 divenne chiaro che l’esito positivo delle grandi proteste del 1970 non era sufficiente a unificarlo. Si formarono due principali correnti. La NPAC (Coalizione Nazionale d’Azione per la Pace), che chiedeva il ritiro immediato dei marines dal Vietnam e rifiutava l’appoggio al Partito Democratico, e il PCPJ (Coalizione Popolare per la Pace e la Giustizia), che proponeva di fissare una data per il ritiro delle truppe e prediligeva una propria partecipazione attiva al processo elettorale. La disputa tra il NPAC e il PCPJ si acutizzò quando il senatore McGovern annunciò la sua candidatura per le elezioni presidenziali del novembre 1972. Il PCPJ sostenne apertamente la campagna presidenziale nei campus universitari, mentre la NPAC criticò aspramente la scelta, considerando fosse destinata a indebolire l’azione di opposizione alla guerra in Vietnam. L’aspro confronto tra la NPAC e il PCPJ contribuì a deteriorare ulteriormente il movimento.

Nel gennaio del 1972 Richard Nixon annunciò un’iniziativa consistente nel ritiro graduale di tutte le truppe statunitensi, In questa maniera ripresentò furbescamente la sua cosiddetta “pace con onore”, negoziata e graduale.

Se da una parte la proposta di Nixon rifletteva il delinearsi della vittoria vietnamita attraverso la Guerra del popolo del Generale Vo Nguyen Giap, dall’altra la mossa del presidente degli Stati Uniti sembrava indirizzata a “strappare dalle mani” di MoGovern la bandiera della pace. La tattica gattopardesca attuata da Nixon era chiara: già non si trattava più della dicotomia tra guerra e pace, ma piuttosto tra una “pace negoziata” e una “pace immediata”.

La sconfitta del candidato del Partito Democratico si abbatté sul movimento di protesta contro la guerra, poiché in molti avevano riposto tutte le loro speranze nella vittoria di McGovern.

Alla fine del 1972, l’aviazione nordamericana realizzò i bombardamenti su Hainoi e Haiphong. Questa volta le manifestazioni di protesta non ebbero la forza del passato. L’obiettivo del movimento non andava ormai oltre l’ottenimento della pace e le attese si concentravano solo sui dialoghi di Parigi.

il 27 gennaio del 1973, Kissinger per gli Stati Uniti e Le Duc Tho, a nome della Repubblica Democratica del Vietnam, firmarono l’accordo che prevedeva il ritiro delle truppe USA e la legittimazione del governo rivoluzionario del Fronte di Liberazione Nazionale del Sud Vietnam. In violazione degli accordi di Parigi gli Stati Uniti non cessarono il proprio coinvolgimento e la guerra proseguì tra l’esercito sudvietnamita sostenuto dagli Stati Uniti e le forze popolari del Sud e del Nord Vietnam.

Il movimento di protesta negli Stati Uniti produsse ancora solo le manifestazioni volte a ottenere l’amnistia per gli oltre cinquecentomila giovani nordamericani che rifiutavano di trasformarsi in carne da cannone per gli imperialisti. Obiettivo che venne conseguito alcuni anni dopo con l’amministrazione Carter.

Angela Davis aveva insistito sull’importanza di sviluppare un grande e forte movimento di opinione contro il capitalismo. Ma il movimento non aveva le energie interne per fare complessivamente un salto di qualità politico. Non è stato in grado durante il suo percorso di realizzare gli obiettivi dei suoi migliori e più lungimiranti esponenti, forgiando una vera e propria opposizione di classe. Tuttavia la protesta contro la guerra creò, pur nella parabola, notevoli problemi alle varie amministrazioni statunitensi, che dovettero elevare gli omicidi selettivi e il terrorismo di Stato al rango di comune prassi.

Governo e apparato bellico nordamericano non poterono contare in modo continuativo su quell’egemonia interna che gli aveva assicurato la libertà di manovra per gettarsi nell’avventura bellica indocinese. E non hanno potuto evitare che i guerriglieri vietcong liberassero completamente Saigon il 30 aprile 1975: la “sporca guerra” terminava definitivamente con l’immagine dei resti del regime sudvietnamita che fuggivano in elicottero dal tetto dell’ambasciata statunitense.

*(Scheda storica tratta dal libro di Phan Thi Quyen, Vivere come lui. Nguyen Van Troi, simbolo della lotta di liberazione del Vietnam, Zambon Editore, 2014).

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BIBLIOGRAFIA:

ALOISI Massimo, La guerra chimica. Imperialismo ed ecologia, Bertani Editore, Verona, 1972.
BACHARAN Nichole , Histoire de noirs américains au XX siècle, Editions Complexe, Bruxelles, 1994.
CANOT Robert , L’estate di Watts, Rizzoli Editore, Milano, 1970.
CLEAVER Eldridge, Anima in ghiaccio, Rizzoli, Milano, 1969,
GLABER Martin (a cura di Bruno Cartosio), Classe operaia, imperialismo e rivoluzione negli USA, Musolini Editore, Torino, 1976.
HAL Drapel, La rivolta di Berkeley, Einaudi, Torino, 1966.
HARWEY Pekar, Studenti contro il potere: la storia del SDS, il movimento studentesco protagonista del ’68 americano, Alet Edizioni, Padova, 2008.
JAMES C. L, Baron H.M,, Gutman H.G. (a cura di Cartosio Bruno), Da schiavo a proletario. Tre saggi sull’evoluzione storica del proletariato nero negli Stati Uniti, Musolini Editore, Torino, 1973
MARINE Gene, Black Panthers. Storia delle Pantere Nere, Rizzoli, Milano, 1971.
MEEREPOL Robert, Quando il governo decise di assassinare mio padre e mia madre. Il figlio di Ethel e Julius Rosenberg racconta, Zambon Editore, 2007.
NASO Paolo, L’altro Martin Luther King, Claudiana Editrice, Torino, 1993.
SEALE Bobby, Cogliere l’occasione. La storia del Black Panthers Party e di Huey P. Newton, Einaudi Editore, Torino, 1971.

Alleanza del Pacifico e TPP: prospettive per l’America Latina

AlleanzaPacifico

di Alessandro Pagani – Cubadebate

Prima di cominciare ad analizzare la politica estera degli Stati Uniti del Nord America attraverso l’Alleanza del Pacifico e l’Accordo Transpacifico (TPP), è necessario analizzare la ratio con la quale gli USA, si sono inseriti all’interno della cosiddetta globalizzazione finanziaria con la pretesa di dirigerla. Sia Fukuyama con i suoi discorsi altisonanti di “esportazione della democrazia”, sia Huntington con la definizione fuorviante di “scontro tra civiltà”, non solo si sono fatti portavoce di concetti astratti o poco idonei per comprendere il mondo nel suo divenire, ma rappresentano anche un ostacolo al dialogo pacifico per la pace e l’amicizia tra i popoli.

Influenzati da siffatte concezioni, gli Stati Uniti si ritrovano, oggi, senza una strategia idonea ai nuovi tempi. Se da una parte cercano, infatti, di difendere, la loro posizione egemonica; d’altro canto, è anche vero che questi non hanno un piano credibile per diffondere il proprio ordine mondiale, giacché il sistema economico e finanziario capitalista è giunto ormai all’estremo. Pertanto – secondo non pochi analisti e opinionisti – l’unica opzione che la Roma americana (secondo le categorie utilizzate allora dallo stesso José Marti per definire gli Stati Uniti), ha ancora a portata di mano, per recuperare il proprio dominio imperialista, sembra proprio che sia una guerra di tipo convenzionale. Ciò nonostante, l’idea di impantanarsi in un’altra guerra di lunga durata (in un nuovo Vietnam, per intenderci), assieme all’alto costo che questo provocherebbe, sono alcune delle ragioni per le quali gli Stati Uniti non si sono tuttora gettati in un intervento diretto e hanno preferito, invece, di provocare conflitti di tipo micro – regionali, dove a farne da padroni sono quegli squadroni paramilitari o quei governi allineati ai loro interessi. Il principale problema che Washington ha da risolvere è che gli Stati Uniti non sanno cosa realmente potrebbe avvenire qualora si lanciassero in un conflitto armato e, nello specifico, contro chi dovrebbero utilizzare tutto il loro potenziale tecnologico e militare? Contro i Russi o i Cinesi? o contro entrambi?

Ora, se è vero che gli strateghi militari del Pentagono sono una banda di criminali e terroristi che meriterebbero di essere trascinati di fronte alla Corte Penale Internazionale dell’AJA, d’altra parte, è altresì vero che costoro sono consapevoli che la Federazione Russa o la Repubblica Popolare cinese non sono affatto l’Irak, l’Afganistan o la Libia e che, pertanto, nell’epoca delle “guerre senza limiti”, una guerra ad alta intensità rappresenterebbe una scelta disastrosa per gli obiettivi di dominio imperialista del capitale. Portare il mondo ai limiti di una catastrofe nucleare, dissolverebbero in pochi secondi i profitti che si nascondono dietro a tutte le guerre di carattere imperialista che scoppiano e che – come ebbe a dire Lenin – sono orchestrate con il fine di saccheggiare le risorse naturali del Paese che è aggredito; ovvero, per distruggere e ricostruire le infrastrutture con i capitali delle proprie imprese transnazionali. Insomma, una guerra termonucleare disintegrerebbe sia le risorse naturali e umane in pochi secondi, e il capitale non può permettersi questo, giacché il principale interesse non è di estinguere la specie umana (anche se talvolta sembra questa sia la loro tendenza predominante), bensì di sfruttarla, attraverso quello che Marx definì – correttamente – come “lavoro astratto”.

Cosicché il Pentagono, di fronte a tale scenario, ha attuato la dottrina militare della guerra di “Quarta Generazione”; vale a dire, di una catena di guerre di tipo micro – regionale (vedi: Afganistan, Irak, Siria, Ucraina), e mai una guerra simmetrica, che provocherebbe senz’altro un intervento diretto di altre potenze militari come la Russia e Cina. Sicché, vediamo come la mancanza di una strategia bellica ben definita da parte degli USA – assieme al fatto di aver perso la leadership come prima economia del mondo: la Cina ha superato gli Stati Uniti da parecchio tempo – abbia messo in serio pericolo la sopravvivenza degli interessi nazionali statunitensi che sono, principalmente, quelli delle multinazionali transnazionali, della finanza, dell’industria tecnologica – militare e delle lobbie che decidono la politica interna ed estera di Washington.

In questo senso va letto, da una parte, il colpo di Stato in Ucraina, dove gli Stati Uniti hanno sostenuto militarmente ed economicamente alle bande paramilitari neofasciste di “Settore Destro”; e dall’altra parte, la politica aggressiva portata avanti dagli stessi in tutto l’Emisfero Occidentale, contro i Paesi membri dell’ALBA-TCP, in generale, e Cuba, Venezuela ed Ecuador, nella fattispecie. Ed ecco che, proprio per queste ragioni, vediamo come gli Stati Uniti sono sempre più propensi a svolgere il loro sguardo anche in quello che hanno sempre considerato come il loro “giardino di casa”: l’America Latina e i Caraibi. Questo per molteplici ragioni, tra queste vi è il fatto che l’America Latina rappresenta geograficamente il confine tra centro e periferia dell’Impero e che è assai ricca di tutte quelle risorse naturali utili ad alimentare quella stessa industria bellica statunitense che abbiamo menzionato.

Ora, questa politica imperialista si pone in essere quando vediamo come, per esempio, l’aquila fascista del Nord cerca di spezzare la consolidazione di alleanze strategicamente importanti per la realizzazione del sogno bolivariano e martiano di una Patria Grande in quella che José Martì ebbe a definire come “Nuestra América”; vale a dire: la creazione di una Confederazione di Repubbliche sovrane e indipendenti dagli Stati Uniti del Nord America. In questo senso, va analizzato lo sforzo degli USA di scardinare le nuove triangolazioni che si sono concretate all’interno di blocchi regionali tra i “Sud” del mondo; ovvero: la creazione di organismi internazionali come l’ALBA-TCP, l’UNASUR, la CELAC, i BRICS e il G77+la Cina. Ergo: per contrarrestare suddette istituzioni, Washington ha creato parallelamente altre organizzazioni micro – regionali come l’Alleanza del Pacifico tra Messico, Colombia, Perù e Chile e l’Accordo del Transpacifico nel sud est asiatico.

Per comprendere a fondo la politica degli Stati Uniti nella regione “Asia – Pacifico” e, quindi, anche in America Latina e nei Caraibi, è importante soffermarci ad analizzare il concetto di “sguardo verso il Pacifico”, o se preferiamo, “verso il Sud” e che vanno interpretati attraverso la genesi storico e politica delle relazioni interamericane; là dove risulta evidente un’evoluzione perversa e inquietante dei rapporti stessi. Ebbene, quando analizziamo la formazione degli Stati Uniti del Nord America, va ricordato che essi hanno sempre rivolto i loro interessi – il loro “sguardo” – in direzione del Pacifico (Asia) e verso il Sud (America Latina). Una volta portato a termine il processo di “conquista del grande Ovest” – attraverso il genocidio delle popolazioni ancestrali nordamericane – e di saccheggio e occupazione di oltre metà del territorio messicano (California, Nuovo Messico, Colorado, Nevada, Texas, Florida, sono territorio messicani!), cominciarono a proiettarsi verso il Pacifico, mettendo in piedi una proiezione geopolitica e strategica che andava oltre il Pacifico: verso l’Asia. Insomma, se concentriamo le nostre ricerche verso la storia delle Relazioni Internazionali, dalla Dottrina Monroe fino al crollo dell’URSS, dagli anni Novanta del secolo passato fino a oggi; se analizziamo siffatte relazioni, vediamo come taluni progetti che sono stati sviluppati dopo la “fine” della guerra fredda, allorché si parlava già del ruolo da protagonista che in pochi anni avrebbe svolto la Cina, l’India e il Giappone nel campo delle relazioni commerciali, e quindi di come, concretamente, l’Asia e il Pacifico avrebbero rappresentato nei sogni imperialisti dei neo conservatori negli Stati Uniti, il “Nuovo Continente” dove l’aquila del Nord avrebbe dovuto svolgere il proprio sguardo, comprenderemo non poco l’insieme della politica estera della Casa Bianca di oggi.

Ed ecco che, proprio per questa ragione, gli USA hanno fabbricato a livello mediatico -fomentando la guerra psicologica come arma di tipo non convenzionale – i “Nuovi Nemici” della cosiddetta “democrazia” a stelle strisce e che sono rappresentati da quei Paesi che possono creare nuove geometrie (o triangolazioni) all’interno delle relazioni internazionali e, nello specifico, nell’asse Sud – Sud all’interno del “continente” Asia – Pacifico (America Latina, Cina e Russia). Trattasi, invero, di una “rivoluzione passiva” (secondo le categorie utilizzate da Antonio Gramsci), o se si preferisce, di una “controrivoluzione conservatrice” che gli Stati Uniti del Nord America stanno cercando di portare avanti a scapito del progetto di unità e integrazione latinoamericana e caraibica oggi in pieno sviluppo in tutto l’Emisfero Occidentale. Orbene, da quando è sorta suddetta Alleanza del Pacifico e svolgendo le nostre attenzioni agli attori che fanno parte di siffatta alleanza, è difficile non accorgersi che quattro dei Paesi membri sono rappresentati da Governi che avevano già firmato in precedenza accordi bilaterali di tipo economico e militare con Washington.

Nel campo economico, tutti avevano firmato il Trattato di Libero Commercio – il TLC – con gli Stati Uniti. A livello militare, questi avevano concordato di rinunciare alla propria giurisdizione territoriale in nome della cosiddetta (e mai attuata!) “guerra al narcotraffico”. Stiamo parlando – ovviamente – del Messico di Felipe Calderon, della Colombia, nel momento stesso che si era prodotto un “cambio” dovuto alle elezioni presidenziali tra Alvaro Uribe e Manuel Santos; quest’ultimo aveva firmato non pochi accordi di grande interesse per gli USA nel campo strategico – militare. Molti di questi accordi si consolidarono ancor di più in seguito al Vertice delle Americhe che si realizzò in Colombia nel 2011. Nel caso del Perù, nonostante il “cambio” di governo, e rammentando che l’iniziativa inizialmente fu di Alan Garcia, il Governo di Olanda Humala non fece nulla per invertire tale politica; anzi, la incrementò dandogli una parvenza legale e istituzionale.

Anche in Cile con la vittoria della cosiddetta destra “moderata” cilena di Piñera al potere, furono firmati non solo taluni accordi militari, ma anche il già noto TLC con gli Stati Uniti. Scopo di tale politica statunitense – attraverso questi accordi raggiunti – era quella di porre le basi per un’ Alleanza del Pacifico come parte di un “nuovo” progetto di Egemonia Corazzata di Coercizione (secondo la definizione utilizzata da Antonio Gramsci), attuo a dividere e dominare l’Emisfero Occidentale, e per sfiancare – infine – gli sforzi di integrazione e unità latinoamericana; di costruzione di nuovi paradigmi verso la costruzione di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare, multicentrico, multiculturale, che oggi sono all’ordine del giorno nelle discussioni dei movimenti sociali, dei governi e dei paesi che conformano istituzioni come l’ALBA-TCP, la UNASUR e la CELAC. Come se questo non bastasse, Barack Obama ha accettato di farsi portatore per quegli interessi nazionali quivi summenzionati; cioè, di portare a compimento la missione di costituire il Trattato del Trans Pacifico (TTP), là dove – guarda caso – i referenti latinoamericani sono gli stessi che già fanno parte dell’Alleanza del Pacifico.

Mentre i Paesi asiatici soci degli Usa sono il Giappone, l’Indonesia e le Filippine. Invero, quando cerchiamo di analizzare in profondità la strategia militare degli Stati Uniti nell’Emisfero Occidentale, rappresentata dal “Gruppo di Santa Fe”, vediamo come questa si basi sul presupposto che le Forze Armate Nordamericane devono concentrarsi nell’area dell’ Asia – Pacifico”, attraverso il pretesto di appoggiare e proteggere i propri soci in quello che loro definiscono come “sicurezza degli interessi nazionali” in America Latina e nei Caraibi contro il narcotraffico.

Ciò nondimeno, ciò che in realtà gli Stati Uniti vogliono, non è debellare il traffico di droga, bensì di impossessarsi di quelle risorse naturali imprescindibili per il sostegno effettivo di tutto il loro macchinario economico – militare, che abbiamo già analizzato prima. Ora, non c’è dubbio che questi elementi assai preoccupanti, fanno pensare che quando vediamo che attraverso la guerra mediatica e psicologica si cerca di creare un nemico che, secondo la congiuntura può essere la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, la Rivoluzione Cubana o la Rivoluzione Cittadina in Ecuador, dietro vi è senz’altro una controffensiva imperialista e fascista per sgretolare e – infine – distruggere progetti come l’ALBA-TCP, la UNASUR e la CELAC; vale a dire: la libera e giusta emancipazione dei popoli dal giogo imperialista.

In questo senso, vanno interpretate quelle politiche sempre più aggressive contro il Venezuela del Primo Presidente Operaio di “Nuestra América”, Nicolas Maduro e contro la Rivoluzione Cittadina in Ecuador; il blocco genocida contro Cuba socialista, la “Colombianizzazione” del Messico; il “golpe istituzionale” in Paraguay; la questione dei cosiddetti “fondos buitres” in Argentina e il colpo di Stato fascista in Honduras; il ritorno in auge della Quinta Flotta degli Stati Uniti e l’aumento della presenza militare statunitense in America Latina, attraverso la creazione di nuove basi militari nordamericane in Colombia e nella Triple Frontera tra Uruguay, Argentina e Paraguay; il subdolo tentativo (scartato dal Congresso e dalla Corte Suprema colombiana) di far entrare questo Paese nella NATO, rappresentano dei precedenti assai gravi e preoccupanti in una regione dichiarata da UNASUR come territorio di pace. Sicché nel mezzo di una crisi strutturale (e non congiunturale!) del sistema finanziario capitalista, dovuto principalmente dalla cosiddetta caduta (tendenziale) della tassa di profitto – che Marx spiega con precisione nel Capitale -, la Casa Bianca sta cercando di porre in essere una ristrutturazione delle proprie priorità geopolitiche verso “l’area Asia – Pacifico”, passando, finanche, per l’assoggettamento di quello che costoro definiscono, ancora, come il proprio “patio trasero”: l’America Latina e i Caraibi.

Le ragioni sono semplici, e se non basta quanto detto fino a ora – a rischio di essere ridondanti – è necessario sottolineare ancora che gli Stati Uniti abbisognano per alimentare il proprio sistema economico, finanziario e militare di dominio a livello mondiale dell’America Latina; là dove, la presenza di non poche risorse strategiche (minerali, acqua dolce, biodiversità e petrolio) rappresentano il sostegno di quello che molti analisti e opinionisti amano definire come “complesso tecnologico e militare nordamericano”.

Ora, se dinanzi a tutto questo aggiungiamo l’importanza che la regione riveste a livello mondiale; se pensiamo che in America Latina siano presenti gli unici transiti e scali tra l’Atlantico e il Pacifico; se pensiamo che la Cina e la Russia stanno invertendo tutte le proprie energie nella realizzazione di un Grande Canale Interoceanico tra l’Atlantico e il Pacifico, come nella costruzione di un importante scalo industriale – marittimo nel porto de L’Avana (Cuba), comprendiamo, allora, l’ansia degli Stati Uniti di scardinare queste nuove triangolazioni tra i Paesi membri dell’ALBA-TCP la Russia e la Cina stessa attraverso l’incremento della guerra a bassa intensità in Venezuela.

D’altro canto, è altresì chiaro, pertanto, l’importanza da parte dei popoli lavoratori latinoamericani – se vogliono raggiungere il sogno bolivariano e martiano di una Patria Grande latinoamericana, verso la seconda e definitiva indipendenza, il loro impegno rivoluzionario deve passare attraverso il consolidamento di queste nuove relazioni internazionali, sulla base del rafforzamento dell’integrazione e dell’unità latinoamericana, che solo può avvenire attraverso una rottura rivoluzionaria del sistema capitalista e delle sue principali categorie – come la “legge del valore” nelle relazioni commerciali internazionali – verso un sistema basato sulla pace con giustizia sociale, su l’amicizia, la solidarietà e la cooperazione tra i popoli di tutto il mondo; primo passo per la costruzione dei “Nuestros socialismos” in America Latina e in tutto il mondo.

Desde la Alianza del Pacifico hacia un acuerdo del Transpacifico

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por Alessandro Pagani

Cuales perspectivas para America Latina y el Caribe?

Antes de analizar la politica exterior de EE.UU en America Latina mediante la Alianza del Pacifico y el Acuerdo Transpacifico (TPP, por su sigla en Inglés), es necesario analizar el marco conceptual con el cual EE.UU. han entrado en la globalización financiera con la pretesa de dirigirla. Tanto el Fukuyama con su “exportación de la democracia” como la definición de “choque de civilizaciones” de Huntington, resultarón ser completamente infructuosos en sus propias incapacidades de comprender el mundo y llevar a los argumentos de los demás como algo con que dialogar pacíficamente. Quemado por los hechos de estos dos pensamientos, los EE.UU. se quedaron sin ningún tipo de estrategia. Trataron de mantener su posición hegemónica, pero ya no tienen un plan creíble para su proprio orden mundial, ya que al parecer el sistema económico y financiero capitalista ha llegado al extremo.

Por lo tanto, parece que por la Roma americana, la única alternativa para recuperar su dominio imperial podría ser una guerra. Sin embargo, la idea de empantanarse en otra guerra de larga duración (en un nuevo Vietnam) junto con el mayor costo que tendrían que soportar son las razón por la que todavía no hemos visto un intervención directa de EE.UU. El principal problema para los EE.UU., es que ellos no saben exactamente lo que va a suceder una vez armado el conflicto y, especialmente, contra quien tendrán que descargar su poder tecnológico y militar? Contra los rusos o los chinos? O contra ambos? los estrategas militares del Pentágono que si es cierto que son una banda de criminales y terroristas que merecían juzgados en la Corte Penal Internacional del Aja, también saben que la Federación de Rusia y la Republica Popular de China no son Irak, Afganistán o Libia y que en la era de las guerras no convencionales, seria un desastre para los objetivos de dominación imperiales del capital, llevar el mundo a una catástrofe nuclear, que ademas desolveria la posibilidad de aprovecharse de los intereses reales de cualquier guerra imperialista que – como diría Lenin – son hecha para saquear los recursos naturales de un país y para derrocar sus infraestructuras y luego reconstruirlas con los capitales de su propias impresas transnacionales. Una guerra termonuclear no solo desolveria los recursos naturales si no también la misma especie humana, y los capitalistas no tienen en sus propios intereses de Estado hacer desaparecer la especie humana (aunque si tal vez parece así!) si no de aprovechar de ella a travez de lo que Carlos Marx solía definir “trabajo abstracto”. Así que el Pentágono puse en marcha la doctrina militar de la guerra de “Cuarta Generación” cruzada por guerras microregionales como las que tienen lugar en Ucrania o en Siria, pero nunca con una intervención directa por parte de EE.UU, que ademas causaría una reacción a la par por parte de otras grandes potencias militares como Rusia y China, dando lugar a algo de impreveible.

Sin embargo, la falta de una fuerte estrategia de guerra de EE.UU., en paralelo con el hecho de haber perdido el papel de primera economía del mundo (China ha superado a los EE.UU. desde hace bastante tiempo) pone en serio peligro la sobreviviencia de los intereses de Estado norteamericanos. Así que por estas (y otras) razones EE.UU. fomentaron el golpe de Estado en Ucrania, apoyando militarmente y económicamente a los paramilitares fascistas de Sector Derecho.

En este mismo sentido hay que colocar la politica agresiva contra America Latina, considerada desde el 1823 como su proprio “patio trasero”. Asimismo, parece que la águila fascista del Norte quiere derrumbar también la consolidación de alianzas estratégicamente muy importantes (por la realización del sueño bolivariano y martiano de una Patria Grande en Nuestra América) con China y Rusia, en el marco de organismos internacionales como el G77+China, la UNASUR, la CELAC, el ALBA-TCP y los BRICS. Para contrarrestar estas instituciones, Estados Unidos crearon otras organizaciones regionales como la Alianza del Pacifico entre Mexico, Colombia, Perú y Chile y el Acuerdo Transpacifico.

El concepto de la “mirada hacia el Pacifico”, y por ende “hacia el Sur” son conceptos bastante conocidos a nivel histórico pero tal vez parece que han tenido una renovación y también una aceleración muy grave en los últimos años. Cuando se mira a la formación de los EE.UU, siempre se ubicaron con una mirada hacia el Pacifico (Asia) y hacia el Sur (America Latina). Una vez que completaron el proceso de “conquista del Oeste”, pasando sobretodo a través del genocidio de todos los pueblos ancestrales norteamericanos, y luego a través el despojo de más de la mitad del territorio mexicano, ya empezaron a tener una proyección hacia el Pacifico, dando pasos a una proyección geoestrategica y geopolítica más allá del Pacifico; en Asia.

Ahora bien, si miramos a la historia de las relaciones interamericanas desde la Doctrina Monroe hasta la caída de la URSS, desde la década del Noventa del siglo pasado hasta hoy. Si hoy miramos a dichas relaciones veamos como proyectos que vienen desarollandose desde la fin de la guerra fría, cuando ya se venia hablando sobre el nuevo papel protagónico de China, India y Japón en las relaciones comerciales, y donde se venia hablando por ende de como Asia-Pacifico iba a ser considerado como el “nuevo continente” del siglo XXI.

Hoy en día en la politica de EE.UU se está creando la imagen que los “nuevos enemigos” sean sin duda aquellos Países que pueden conformar nuevas geometrias (o triangulaciones) en las relaciones internacionales en el eje Asia-Pacifico y que pueden atentar contra la hegemonía estadounidense en el hemisferio occidental.

En este sentido se puede entender la creación por mando del presidente peruano Alan Garcia, de fundar una Alianza del Pacifico en medio de los acuerdos latinoamericanos. Una verdadera “revolución pasiva” (en el sentido de las categorías que solía utilizar Antonio Gramsci), o “revolución conservadora” en pleno desarrollo en la unidad latinoamericana y en la construcción de una Patria Grande latinoamericana.

Desde cuando surgiò esta alianza del Pacifico y mirando sobretodo a los actores que conforman esta alianza llama mucho la atención que los cuatros gobiernos involucrados tenían todos políticas económicas y militares comunes con Estados Unidos. En lo económico todos habían firmado el Tratado de Libre Comercio (TLC) con Estados Unidos. En lo militar, todos estos países tenían acuerdos bilaterales con EE.UU. Mexico, sobretodo, tenia un acuerdo bilateral con Estados Unidos en la “guerra al narcotraffico” y que había empezado el presidente de Mexico, Felipe Calderon. En el caso de Colombia, adonde había producido un “cambio” entre Alvaro Uribe y Manuel Santos, este ultimo había llegado a acuerdos muy importantes por Estados Unidos a nivel militar, muchos de los cuales se consolidaron aun mas en la Cumbre de las América que se hizo en Colombia en el 2011. En el caso de Perú a pesar del cambio de gobierno, aunque si la iniciativa en el principio fue de Alan Garcia, el gobierno de Ollanta Humala le dio su continuidad. También en Chile con la llegada de la derecha “moderada” chilena de Pinera al poder se firmó el TLC con EE.UU y con acuerdo militares también.

Desde aquel entonces se evaluó una Alianza del Pacifico como parte de un “nuevo” proyecto de hegemónia acorazada de coerción, divisorio y de dominación imperial en el hemisferio occidental y con la intención de derrocar – a travez de una “revolución pasiva” los esfuerzos de integración y unidad latinoamericana y de construcción de nuevos paradigmas hacia un Nuevo orden mundial multipolar, multicentrico, multicultural.

Después de la Alianza del Pacifico, Barack Obama puse en marcha el proyecto de un Tratado Transpacifico y los referentes latinoamericanos de esas alianza son los mismos de la ya mencionada Alianza del pacifico, más algunos Países asiáticos socios de EE.UU. (Japón, Indonesia y Filipinas). Así que, cuando se mira más en la profundidad la estrategia militar de Estados Unidos para el hemisferio occidental divulgada por el “grupo de Santa Fe”, veamos como esta se basa sobre el sobrepuesto de que la Fuerzas Armadas norteamericana tienen que concentrarse en el Pacifico, a través el pretexto de apoyar a sus propios socios en un así mal llamado plan de seguridad en el Hemisferio Occidental.

Sobre como se plantea esta estrategia norteamericana lo veamos por supuesto en Colombia. Bajo el subdolo pretexto de una seguridad en la región contra el narcotraffico, en realidad EE.UU intentan apoderarse de aquellos recursos naturales imprescindibles para el sostenimiento de su maquinaria económica y militar. No cabe duda que todos estos son elementos muy preocupantes y hacen pensar que cuando veamos que a través la guerra mediática y psicológica se intenta crear un enemigo o también horrorizar la politica exterior de los BRICS o del ALBA, de Unasur, de la Celac, atrás hay una contraofensiva imperialista para aniquilar a los nuevos paradigmas que ya se pusieron en marcha en el campo de las nuevas triangulaciones internacionales.

En este sentido, van colocadas, las políticas siempre mas agresivas contra los países del ALBA-Tcp y en particular contra el gobierno bolivariano del presidente obrero Nicolás Maduro; el golpe de Estado en Honduras; la cuestión de los “fondos buitres” en Argentina; el golpe institucional en Paraguay; la “colombianizacion” de Mexico; el bloqueo economico, financiero y comercial contra Cuba Socialista; el regreso en auge de la Quinta Flota de los EE.UU.; la creación de nuevas bases militares norteamericanas en Colombia y el intento (descartado por el congreso colombiano) de hacer entrar el país andino en la OTAN son hechos muy graves y preocupantes. Así que en medio de una crisis estructural del sistema financiero capitalista, debido a la caída (tendencial) de su tasa de ganancia, Estados Unidos están replanteando su prioridad geopolíticas hacia el Pacifico, pasando por la dominación de lo que ellos consideran como su proprio “patio trasero”: America Latina y el Caribe.

Las razones son sencillas: Estados Unidos necesitan para sostener su sistema económico financiero y militar de dominación a nivel mundial de América Latina si pensamos a los minerales, el agua dulce, la biodiversidad, el petróleo y muchos más recursos naturales, trascendentales por lo que le suele definir como el complejo militar y tecnologico norteamericano. Ahora bien, si a todo esto le agregamos la importancia de la región a nivel mundial; si pensamos que es en America Latina que hay los únicos tránsitos entre Atlántico y Pacifico; si pensamos que es China que està invirtiendo para la construcción de un Gran Canal Interoceánico entre Atlántico y Pacifico y también en la construcción de un gran Escalo Industrial Marítimo en el puerto de la Habana, entendemos la ansiedad de EE.UU para romper con estas nuevas triangulaciones entre los países miembros del ALBA-Tcp con China y Rusia y por ende, la importancia para los pueblos latinoamericanos – si quieren lograr por fin el sueño de la Patria Grande y de una segunda y definitiva independencia desde EE.UU – de consolidar aun más dichas nuevas triangulaciones en el marco de la unidad latinoamericana y de un proyecto de ruptura revolucionaria del sistema capitalista hacia un sistema que se base en el “buen vivir” entres los pueblos y la justicia social y que solo en el Socialismo se puede lograr.

L’alleanza America Latina, Asia e Africa è fondamentale per i popoli

Arreaza-Cumbre-Asia-África-en-Indonesiada portalalba.org

Invitato al Vertice Asia-Africa, tenutosi nella città di Bandung in Indonesia, il Vicepresidente Esecutivo del Venezuela, Jorge Arreaza, ha ribadito quanto sia necessaria e indispensabile tra Asia, Africa e i paesi dell’America Latina, al fine di rovesciare l’imperialismo e porre fine al sistema unipolare.

«L’alleanza tra Asia, Africa e America Latina, oggi, non è solo necessaria, è indispensabile. Dal Sud, noi determineremo il futuro, in libertà, dei popoli del mondo. Dal Sud, con i popoli del Sud, dai popoli del Sud e per i popoli del Sud e di tutto il mondo. Oggi, dobbiamo unirci più che mai», ha spiegato ai microfoni dell’emittente di stato Venezolana de Televisión.

Il Vicepresidente Esecutivo ha evidenziato che il Comandante Hugo Chávez sin dal suo arrivo al potere, nel 1999, si pose come obiettivo il consolidamento dell’alleanza dei paesi asiatici e africani con l’America Latina, per combattere le battaglie imposte dall’imperialismo.

«Oggi non si tratta, come allora, solamente di non essere allineati ad una potenza e nel suo ambito di influenza. Oggi la sfida è molto più grande (…). Si tratta di non allinearsi all’ingiustizia, non allinearsi alle guerre, al mancato rispetto del diritto internazionale, di non essere allineati e combattere il neocolonialismo, in tutte le sue forme, combattere la fame, si tratta di non allinearsi alla discriminazione e al dominio in tutte le sue forme», ha spiegato Arreaza.

Al contempo, ha fatto appello ad utilizzare la giustizia come uno strumento fondamentale per combattere il nuovo colonialismo e l’imperialismo, che tentano di utilizzare l’attuale sistema politico ed economico per mantenere il dominio sui popoli e i governi progressisti.

DI fronte a queste potenze imperialiste, i paesi e i popoli devono essere «coscienti dei loro doveri, (dei) pericoli insiti in questa situazione, dei sacrifici economici e politici che non possono mai marciare separati, devono formare un grande blocco compatto, che a sua volta possa aiutare nuovi paesi a liberarsi dal potere politico ed economico imperialista», ha affermato Arreaza, citando il Comandante della Rivoluzione cubana Ernesto ‘Che’ Guevara.

In una trasmissione di VTV, Arreaza ha ribadito la solidarietà del Venezuela con la Palestina, che si trova ad affrontare le politiche espansionistiche del governo israeliano, che ha costretto all’esilio forzato almeno due milioni di palestinesi, il cui paese è stato ridotto al 12% del suo territorio storico, che oggi comprende la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Il Vicepresidente Esecutivo ha infine invitato i capi di Stato del Movimento dei Paesi Non Allineati a la Isla de Margarita, tra il 27 di settembre e il 2 di ottobre, per partecipare al prossimo Vertice dell’organizzazione, che si terrà per la prima volta in Venezuela.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

La Corea del Nord ha ribadito il suo appoggio alla Siria

da sana.sy

L’Ambasciatore della Repubblica democratica popolare di Corea ha visitato, oggi, a Damasco, la sede dell’Unione Generale delle Donne siriane.

Durante l’incontro con la responsabile dell’Unione, Mayyeda Quteit, l’ambasciatore della Corea del Nord ha affermato la posizione del suo paese a sostegno della Siria nella lotta contro il terrorismo, esprimendo fiducia nella saggezza della leadership siriana e nella capacità del popolo e dell’esercito siriano per sradicare il terrorismo e contrastare la trama sviluppata dagli Stati Uniti e dall’Occidente per estendere la loro egemonia nella regione.

Il diplomatico ha anche sottolineato l’importanza di rafforzare le relazioni bilaterali tra la Siria e la Repubblica democratica popolare di Corea in tutti i settori, con una panoramica delle esperienze del suo paese nei settori della sanità e dell’istruzione.

A sua volta, il capo dell’Unione delle Donne siriane ha dichiarato che la Siria e la Corea del Nord affrontano lo stesso nemico, ovvero gli Stati Uniti che cercano di imporre la propria egemonia e minare la sovranità e l’indipendenza dei popoli dei due paesi.

Allo stesso modo, Quteit ha elogiato la degna posizione della Corea del Nord nei confronti della Siria, sottolineando l’importanza di rafforzare le relazioni tra l’Unione delle Donne in entrambi i paesi.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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