Geopolitica dell’assedio

C20E783FCI militari USA nell’America del Sud [i]

di André Deak e Bianca Paiva

Agência Brasil defesanet.com.br

  1. In questa intervista rilasciata qualche hanno fa dal politologo brasiliano ed esperto di geopolitica, Moniz Bandeira, poneva l’accento sulla presenza di basi militari nordamericane in alcuni paesi (teatri di guerra) strategici dell’America meridionale, i quali sono selezionati dal complesso strategico-militare americano per conservare lo statu quo regionale. Questo tipo di strategia consente alle unità operative americane l’appoggio logistico necessario per la conduzione di azioni belliche nei diversi teatri di operazioni che dovessero sorgere nella regione. La strategia nazionale di Difesa degli Stati Uniti ha più volte rimarcato l’importanza di espandere le truppe e l’equipaggiamento logistico militare nel mondo e, nello specifico, nei diversi paesi dell’America meridionale e caraibica (Curaçao, Barbados, Colombia, Guiana, Ecuador, Perù, Paraguay) per consentire un maggiore controllo spaziale e operativo verso quei paesi considerati d’importanza geoeconomica e geostrategica – Brasile e Argentina e, non ultimo nell’ordine, il Venezuela -. L’adozione di questo tipo di disegno influenza la sicurezza dello Stato assediato, le sue relazioni commerciali, diplomatiche e di sviluppo, giacché sono subordinate agli interessi strategici e di sicurezza degli Stati Uniti. Fattori che fortemente influenzano le scelte in politica estera e che limitano di molto l’autonomia in sede internazionale.

Il Venezuela, considerato paese che erode l’influenza e il potere USA nell’America meridionale e caraibica, è stato inserito nel novero degli Stati che bisogna combattere e indebolire mediante lotte economiche (guerra economica), contrabbando, crimine organizzato, innesco di conflitti transfrontalieri, violazione delle libertà civili e dei diritti umani, guerra psicologica, ecc., dilatandoli nel tempo e con lo scopo di riconfermare l’incontrastata supremazia americana nella regione. Il controllo delle risorse naturali dei venezuelani costituisce un fattore molto importante per assicurare a lungo termine il dominio economico, politico e la stabilità della società nordamericana. Difatti il processo di sviluppo economico dei paesi iperindustrializzati dipende dall’approvvigionamento di energia e il petrolio è la più importante fonte energetica.  Ciò ha contrassegnato la storia economica, politica e militare dei nordamericani per il dominio del Venezuela degli ultimi cento anni.

  1. La concretizzazione di un’entità geografica comune che potesse coniugare l’aspetto economico con quello politico da proiettarsi su scala internazionale, si poteva solo ottenere attraverso l’elaborazione di nuovi schemi d’integrazione sub regionale. È stato così che è sorta l’idea della strutturazione di nuove entità (Mercosur, Unasur) come formule più avanzate di quelle già esistenti (Alalc, Sela, Pacto Andino, Comunidad del Caribe, Mercado Centroamericano) con l’obiettivo di coordinare la posizione dell’America Latina di fronte alle sfide del mondo.

Tuttavia questo continente fatto di capricci e dispersioni, diffidenze e aspirazioni di grandezza, continua a fare tutto il possibile affinché questi meccanismi restino limitati, ininfluenti per non produrre l’integrazione richiesta e tanto meno far ascoltare la voce di un’America Latina unita. In questi ultimi anni i governi di alcune nazioni hanno preferito la scelta di negoziare con gli Stati Uniti o con l’Unione Europea sul piano di una presunta uguaglianza o bilateralismo. Preferiscono agire con manifestazioni d’individualismo esacerbato (Colombia e la nuova Argentina di Macri) che in fin dei conti non sono altro che l’espressione di un nazionalismo da sottosviluppo: declamatorio in modo reboante ma privo di contenuti. Sono scelte politiche che non tengono in conto primario l’interesse nazionale, ma garantiscono solo il protettorato americano.

  1. Nella presente fase multipolare la voce dell’America Latina rischia di azzittirsi. La deriva populista a destra di alcuni attori importanti rischia di rendere nulli i criteri che riguardano la difesa dei prezzi delle materie prime o l’intercessione ai forum per un commercio più giusto. L’importanza geostrategica e geopolitica data ai progetti Alba, Celac e Unasur da parte dell’allora presidente venezuelano, Hugo Chávez, rispondevano alle richieste di una regione desiderosa di affermare nel mondo la propria immagine storica; la percezione di una responsabilità e di un destino compartecipe che incalzava verso la realizzazione di uno sforzo comune per combinare le risorse (primarie, energetiche, demografiche) di cui dispone e fare dell’America Latina un potere mondiale.

La presenza di alcuni meccanismi come il Mercosur nel panorama internazionale ha, seppure in modo impercettibile (economicamente e politicamente), confermato e quindi cominciato a produrre la certezza di sviluppi importanti. In più di un’occasione Hugo Chávez aveva segnalato che non si trattava più di una necessaria volontà politica di appoggio al processo d’integrazione, ma della costruzione di una vera e propria concezione politica comune che possa proiettarsi sia verso l’esterno sia verso l’interno. Nonostante le ragioni storiche e sociopolitiche che si avviano verso l’integrazione, il raggiungimento della stessa è piuttosto lastricato di ostacoli.  Esistono grosso modo due gruppi di pressione che ostacolano questo percorso, le multinazionali e gli interessi locali che lavorano in associazione con le prime. In particolare questi ultimi ignorano volutamente gli obiettivi globali di un’integrazione. Ed è proprio qui che non esiste un’intesa. Spesso si tralascia il principio fondamentale, ovvero, la nozione di giungere ad essere una unità, più grande. Invece, le borghesie locali preferiscono adottare la scelta subalterna di comodo, cioè quella delle piccole monadi. La riconsiderazione in termini geopolitici dell’interesse nazionale è una via obbligata che tutti i paesi dell’America Latina devono riconsiderare per evitare di essere dei semplici spettatori, di ruolo e di rango, nello scacchiere internazionale.

Vincenzo Paglione

 

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Agência Brasil: Cosa ci vuole dire riguardo alla presenza degli Stati Uniti in America del Sud?

Moniz Bandeira: Gli Stati Uniti stanno realmente creando, da ormai molti anni, una fascia intorno al Brasile.

Agência Brasil: Di basi militari?

Moniz Bandeira: Proprio così, di basi militari si tratta. La Base di Manta, in Ecuador, e altre in Perù. Alcune di esse sono permanenti, altre sono solo occasionali. Come la base che si trova in Paraguay, che non è una vera e propria base. Hanno una pista di atterraggio costruita negli anni ’80, più grande della pista Galeão (in Rio de Janeiro, la maggior pista di atterraggio del Brasile, con 4.240 m di longitudine).

Ora circola la notizia che questa base sarà dotata di 400 soldati (nordamericani in Paraguay). Eseguono addestramenti insieme ai paraguaiani e formano gruppi di soldati per allenarsi vicino alla frontiera con il Brasile e in altri punti. La cosa più curiosa di tutto ciò e che fa insospettire è che: 1° è concessa l’immunità ai soldati sudamericani; 2° la visita di Donald Rumsfeld (segretario della Difesa degli USA) alla capitale, Asunción de Paraguay; 3° il fatto che Dick Cheney (vicepresidente nordamericano) ha ricevuto negli Stati Uniti il presidente del Paraguay. Che cosa rappresenta il Paraguay per gli Stati Uniti? Ciò costituisce solo una forma di perturbazione del Mercosur.

Agência Brasil: Gli analisti affermano che il Paraguay compie la funzione di alleato degli USA, che già in altro momento aveva svolto l’Argentina, con il presidente Carlos Menem, e in seguito l’Uruguay, con Jorge Battle.

Moniz Bandeira: È proprio quello che cercano di fare, prima con l’Argentina di Menem, dopo con l’Uruguay di Battle e ora vogliono manipolare il Paraguay. È una faccenda molto delicata. Il Paraguay non ha nessun peso. Anzi, se il Brasile decidesse di aumentare la vigilanza nella frontiera, finirebbe il Paraguay, perché la maggior parte delle esportazioni che effettua questo paese le compie attraverso il contrabbando con il Brasile.

Ufficialmente il Paraguay destina al Brasile più del 30% delle sue esportazioni. Se si prende in considerazione anche il contrabbando, la percentuale salirebbe a più del 60%. Ma anche per esportare verso altri paesi il Paraguay, in sostanza, dipende dal Brasile, attraverso i corridoi di esportazione che conducono verso i porti di Santos, Paranaguá e Rio Grande. Il Paraguay è un paese che presenta molte difficoltà, si sovrastima, ma non corrisponde alla realtà. Ogni paese dovrebbe riconoscere i propri limiti e le sue reali relazioni di potere. Il Paraguay è inagibile senza il Brasile e l’Argentina. L’Argentina è solidale con il Brasile e non ha alcun interesse verso il Paraguay come strumento degli Stati Uniti per ferire il Mercosur.

Agência Brasil: Dove si trovano, nello specifico, i militari nordamericani che formano questa “fascia” intorno al Brasile.

Moniz Bandeira: Si estendono dalla Guyana, passano per la Colombia … Bisogna evidenziare che non sono militari uniformati, ma imprese militari private che eseguono una serie di servizi terziarizzati per gli Stati Uniti. Il Pentagono sta terziarizzando la guerra. Già da qualche tempo, inizi degli anni ’90, hanno creato le Military Company Corporations, le quali eseguono i servizi militari per sfuggire alle restrizioni imposte dal Congresso americano. Pilotano gli aerei nella guerra d’Iraq, per esempio. Le compagnie militari private svolgono ogni sorta di lavoro, persino quello sporco: le torture. Con questa trovata eludono le restrizioni imposte.

Agência Brasil: Esistono anche delle operazioni segrete?

Moniz Bandeira: Sì, ma ciò rappresenta un’altra cosa. Abbiamo informazioni al rispetto. Se lei legge i giornali, qualche volta si segnalerà che è stato intercettato un aereo americano in Brasile che in modo clandestino proveniva dalla Bolivia verso il Paraguay. Queste informazioni si trovano un po’ ovunque.

Agência Brasil: Qual è il motivo per il quale ci sono i militari americani in America del Sud?

Moniz Bandeira: I fattori sono diversi. Le basi consentono il mantenimento del bilancio del Pentagono. Per causa dell’industria bellica e del complesso industriale militare, loro hanno bisogno di spendere negli equipaggiamenti militari per realizzare nuovi ordini. È un circolo vizioso. E qual è il migliore mercato per il consumo delle armi? La guerra.

Gli Stati Uniti s’interessano della guerra perché la loro economia dipende in larga parte dal complesso bellico per il mantenimento degli impieghi. Esistono alcune regioni degli USA sotto il totale dominio da parte di queste industrie. Esiste una simbiosi tra Stato e industria bellica. Lo Stato finanzia l’industria bellica e l’industria bellica ha bisogno dello Stato per dare sfogo ai suoi armamenti e alla sua produzione.

Agência Brasil: Esiste qualche ragione strategica dal punto di vista delle risorse naturali?

Moniz Bandeira: I paesi andini sono responsabili di più del 25% del consumo di petrolio negli Stati Uniti. Solo il Venezuela è responsabile di circa il 15% di questo consumo. Da una parte vogliono rovesciare il presidente venezuelano Hugo Chávez, dall’altra sanno che una guerra civile potrebbe far balzare il prezzo del petrolio a più di US$ 200 il barile.

Agência Brasil: Nel libro Formação do Império Americano, lei segnala la presenza di militari nordamericani in America del Sud. Gli Stati Uniti assicurano che molti di quei militari sono lì stanziati per combattere il terrorismo.

Luiz Alberto Moniz Bandeira: Combattere il terrorismo è una sciocchezza. Il terrorismo non è un’ideologia, non è uno Stato. Costituisce uno strumento di lotta, è un metodo di cui tutti ne hanno fatto uso nel corso della storia. Loro ora affermano di voler combattere il terrorismo islamico. Ma perché è sorto il terrorismo islamico?

Perché gli americani presenti in Arabia Saudita occupano i luoghi sacri, per esempio. Prima di ciò, gli USA introdussero il terrorismo islamico in Afganistan per combattere i sovietici. Da lì è iniziato tutto.

Agência Brasil: Gli USA classifica come terroristi all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del Messico e alle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia. Hanno ragione?

Moniz Bandeira: Loro desiderano che tutti quelli che insorgono contro di loro siano considerati terroristi. È sempre stato così. Hitler definì terroristi tutti quelli che si opponevano all’occupazione tedesca. I compagni che hanno combattuto nella lotta armata in Brasile contro il regime autoritario sono stati classificati come terroristi.

Il terrorismo è un metodo di guerra, usato persino dalla CIA. Che cosa ha fatto la CIA contro Cuba? Progettò un attentato, abbattendo un aereo, per accusare il governo cubano e giustificare l’invasione di Cuba. Progettò di far esplodere un razzo che avrebbe dovuto condurre allo spazio a John Gleen e accusarla per invaderla. La CIA è sempre stata uno strumento di terrorismo. Gli USA definiscono il terrorismo come un’organizzazione al servizio di uno Stato che pratica atti di violenza per il raggiungimento di obiettivi politici. Ed è ciò che sempre ha fatto la CIA.

La CIA, il Mossad [l’agenzia d’intelligence israeliana] e altre organizzazioni. Chi sono i terroristi? Ariel Sharon, David Ben Gurion e Menachem Begin sono stati dei terroristi. Loro hanno fatto esplodere il King David Hotel di Gerusalemme nel 1946, uccidendo delle persone contro il dominio inglese. Hanno vinto e oggi sono diventati statisti.

Agência Brasil: Gli Stati Uniti affermano che esistono dei terroristi nella triplice frontiera.

Moniz Bandeira: Un’altra sciocchezza. Lo dicono solo perché c’è una presenza d’islamici. Questi spediscono del denaro alle loro famiglie. Il fatto che quel denaro possa essere deviato per finanziare altre attività nessuno lo può impedire. È solo un pretesto per giustificare la loro presenza militare nel Paraguay e in altre parti dell’America del Sud. Gli Stati Uniti sono l’unico paese che possiede un esercito che non è pensato per la difesa del paese, ma per mantenere basi americane in tutto il mondo.

Agência Brasil: La presenza delle basi americane può attirare il terrorismo?

Moniz Bandeira: La maggior parte degli attacchi terroristi contro gli Stati Uniti, fino ad ora, sono avvenuti in America Latina. Un buon numero contro i militari, le aziende private nordamericane e contro gli oleodotti in Colombia. Ma possono inventarsi un attentato terrorista a Foz do Iguaçu per accusare i terroristi e, effettivamente, uno di questi attentati è stato organizzato dalla CIA. È il oro mestiere. Questo si chiama guerra psicologica. La CIA è abituata a fare queste cose, persino in Brasile. Veda il caso di Rio Centro: un attentato preparato per giustificare la repressione[ii].

 

NOTE:

[i] Articolo pubblicato da Agência Brasil il 18 gennaio 2006.

 

[ii]  È il nome con il quale si conosce un attentato che il 30 aprile 1981 si voleva perpetrare ai danni di uno spettacolo commemorativo il Primo Maggio, durante il periodo della dittatura militare in Brasile. In un primo momento il governo accusò la sinistra radicale. Ma in seguito si venne a sapere che l’attentato fu organizzato dai settori più radicali del governo militare. Questi ultimi volevano convincere quelli più moderati sulla necessità di avviare una nuova ondata di repressioni con l’obiettivo di paralizzare le manifestazioni di apertura politica che il governo stava attuando. [N.d.T]

[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione da Vincenzo Paglione]

Una risposta di sinistra alla minaccia terrorista: l’esempio di Cuba

cuban antiterrorismdi Katrien de Muynck e Marc Vandepitte

30nov2015.- La maggior parte della gente associa Cuba alle vetture antiche originali, alla deliziosa salsa, alle spiagge di sogno, ai sigari, ai mojitos… Rari sono quelli che sanno che il paese vive dal 1959 sotto un livello di minaccia 4. Come lo vivono i Cubani e cosa possiamo imparare dalla loro esperienza di specialisti?

Al livello 4 da 55 anni

57 anni fa, quando Fidel e i suoi vincono l’esercito e cacciano il dittatore Batista, l’1% dei Cubani più fortunati devono anche loro fare le valigie. Si ritirano nelle loro seconde case a Miami, circa 200 km dall’isola. Sono convinti che i ribelli barbuti non avranno avuto più di qualche mese e che potranno recuperare in fretta i loro privilegi. Il governo degli Stati Uniti pensa anche lui di poter presto controllare i “barbuti”. Ma appare chiaro ben presto che il nuovo governo ribelle non si lascerà fare fuori così presto. Alla fine del 1959, il presidente Eisenhower lancia un programma per minare la rivoluzione cubana.

È l’inizio di una lunga serie di attacchi terroristici contro l’isola: i vivai, i grandi magazzini, gli alberghi ed altri edifici pubblici sono l’obiettivo di attentati dinamitardi. Il 4 marzo 1960 una nave carica di armi belghe salta nel porto de L’Avana. Contro-rivoluzionari armati seminano il terrore nelle campagne con l’appoggio della copertura aerea degli Stati Uniti. Poi vengono le azioni di sabotaggio, le decine di esplosioni, le centinaia di tentativi di assassinio contro Castro. Invasioni si verificano lungo la costa da parte di commandos armati, che uccidono indiscriminatamente. Gli Stati Uniti non esitano ad usare le armi biologiche per distruggere i raccolti e si diffondono malattie come la dengue, causando centinaia di morti.

Nel mese di aprile 1961, bombardieri statunitensi colpiscono gli aeroporti cubani, per preparare un’invasione militare di 1.200 mercenari nella Baia dei Porci. L’operazione è un fallimento totale. Gli strateghi americani giungono alla conclusione che la rivoluzione può essere sconfitta solo dal massiccio impiego di truppe di terra (1). I progetti sono temporaneamente messi da parte perché Washington si sta preparando nel frattempo per la guerra in Vietnam. Nel 1976, il terrore raggiunge il suo culmine quando un aereo di linea cubano è abbattuto. Tutti i 73 passeggeri vi perdono la vita. Gli anni ’90 conoscono una nuova ondata di violenza. In quel momento, rispondendo a un inasprimento del blocco economico, Cuba sviluppa il suo settore turistico. Questa volta, gli hotels dei centri turistici, gli autobus, gli aeroporti e altre strutture per le vacanze diventano il bersaglio di una serie di attentati dinamitardi (2).

L’invasione dell’Iraq coincide con un autentico attacco di isteria da guerra negli Stati Uniti. La politica nei confronti di Cuba subisce il contraccolpo. In effetti, ci sono voci negli Stati Uniti che prevedono di invadere Cuba dopo l’Iraq (3). In Florida gruppi para-militari apertamente si allenano con armi pesanti per una futura invasione (vedi foto). (4)

I gruppi terroristici operano da Miami. Essi sono spesso istruiti e formati dalla CIA. Erano stati creati in passato dall’1% dei Cubani partiti per Miami, in collaborazione con i servizi di sicurezza americani e il finanziamento delle autorità pubbliche. Essi sono ancora oggi del tutto tollerati.

Del resto, essi non sono utilizzati solo contro Cuba. Il super-terrorista Orlando Bosch, che commette con Luis Posada Carriles il summenzionato attentato contro l’aereo di linea viene utilizzato anche nell’Operazione Condor (5). Si tratta dell’operazione della CIA che, negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, ha sostenuto tutta una serie di dittature del Sud America nella repressione e nelle pratiche di tortura contro tutto ciò che era progressista. Luis Posada Carriles è attivo soprattutto nella guerra dei Contras in Nicaragua, che ha fatto decine di migliaia di vittime innocenti. Bosch, come Posada Carriles, è protetto dalle autorità statunitensi. Posada Carriles continua a spassarsela a Miami.

25 volte Parigi

A Cuba il terrorismo non è mai lontano. Tutti gli attacchi terroristici hanno ucciso nell’insieme 3.478 persone, ovvero 25 volte il numero delle vittime degli attentati di Parigi. 2.099 sono stati feriti o mutilati o rimasti invalidi. (6).

In queste circostanze ci si potrebbe aspettare una società militarizzata, con una forte presenza di blue e cachi per le strade. Ci si potrebbe anche aspettare che le autorità proclamino regolarmente lo stato di emergenza per settimane o per mesi, o che ordinino regolarmente l’arresto dei trasporti pubblici, che vietino le gare sportive, che chiudano temporaneamente le scuole, che sospendano permanentemente le libertà, etc.

Ma questo non è assolutamente il caso. Nessun carro armato o veicolo militare per le strade, nessun cecchino o paramilitare nei pressi di edifici pubblici, anche in occasione di eventi di massa come la manifestazione annuale del 1° maggio o le visite papali. In tali occasioni, centinaia di migliaia di persone si riuniscono in un unico posto.

Non è che Cuba prenda la minaccia terroristica alla leggera o dia libero sfogo a potenziali terroristi, al contrario. Dal ’59 la lotta contro il terrorismo è la priorità assoluta del governo cubano. Le forze migliori di tutto il paese sono impegnate nella lotta contro il terrorismo. Ma l’approccio è totalmente diverso dalla “guerra al terrore”, come abbiamo conosciuta sotto Bush o come è attualmente condotta in Francia e in Belgio.

L’approccio cubano

I rivoluzionari cubani hanno pienamente capito dalla loro lotta di liberazione che gli Stati Uniti non avrebbe mai tollerato un governo progressista, per non parlare di una rivoluzione socialista, nel loro cortile. Sapevano che, dopo aver preso il potere, avrebbero lottato a lungo con l’aggressività e la sovversione provenienti da Washington. Fidel ha detto su questo, circa sei mesi prima della vittoria, durante un bombardamento su un villaggio di montagna: “Quando finisce questa guerra, un’altra mi verrà incontro, che sarà molto più lunga e grande, vale a dire la lotta contro di loro [gli USA] “(7).

La lotta contro il terrorismo e la sovversione è condotta in due modi a Cuba: appoggiandosi alla popolazione e infiltrando le reti terroristiche.

L’appoggio alla popolazione

Nel 1960, sostenuti dalla CIA, contro-rivoluzionari operavano nelle montagne al centro dell’isola. Per sradicarli, il governo non ha inviato l’esercito. Centomila volontari sono stati mobilitati con successo sul posto.

Lo stesso anno, Cuba ha sperimentato gli attentati a L’Avana e in altre città. Di nuovo, la popolazione è stata mobilitata per scongiurare il terrorismo. In ogni distretto, un CDR (8) è stato creato, un comitato che ha garantito la sicurezza del quartiere. Così, è nato un grande sistema di vigilanza collettiva. Nel corso degli anni, questi comitati di quartiere si sono occupati anche dei problemi sociali o economici dei residenti, della salute pubblica (eliminazione delle zanzare pericolose, raccolte di sangue…), dell’organizzazione delle elezioni, del riciclaggio…

Cuba si basa anche sul suo popolo per difendere il paese da una possibile invasione militare. Oggi, a fianco dell’esercito regolare, il sistema difensivo può contare su due milioni di Cubani che sono sul piede di guerra entro 48 ore. Questi volontari ricevono una formazione annuale e sanno dove andare ad armarsi, se necessario.

L’infiltrazione

Una collaborazione con Washington non è stata possibile fino ad ora. Dunque, non restava che una sola opzione ai Cubani: l’infiltrazione. Ciò è precisamente ciò che i “Cuban Five”, i Cinque di Cuba hanno fatto durante gli anni ’90. Si sono infiltrati nei gruppi terroristici più violenti in Florida, per raccogliere il massimo di informazioni ed essere in grado di contrastare gli attacchi. Sono stati in grado di evitare più di un centinaio di attacchi (9).

Questo tipo di infiltrazione è tutt’altro che scontato. I terroristi non sono dei buoni a nulla e non esitano a uccidere i rinnegati o gli infiltrati. Se sono smascherati, gli infiltrati rischiano anche lunghe pene detentive negli Stati Uniti. Così, nel 2001, i cinque agenti anti-terrorismo cubani sono stati condannati collettivamente a quattro volte l’ergastolo, più 77 anni. Ironia della sorte, questo accadeva solo pochi mesi dopo gli attentati contro il World Trade Center di New York.

Quando, nel luglio 2004, durante una visita in carcere, abbiamo chiesto a Gerardo Hernández, capo dei Cinque, perché ha accettato un incarico così rischioso, ha sorriso: “Non sono affatto un’eccezione, sai”, ha risposto. “Se ci si rivolge a 10 Cubani per fare questo tipo di lavoro, nell’interesse del nostro popolo, sono sicuro che 7 di loro diranno di sì, senza esitazione. Sappiamo tutti cosa voglia dire perdere amici o parenti in un attacco”.

Dal 17 dicembre 2014, gli Stati Uniti hanno adottato misure per la ripresa delle relazioni con Cuba. I Cinque sono stati rilasciati, in questo contesto, dopo 16 anni di campagne internazionali (10). Ma fino ad ora, la destabilizzazione da parte del blocco politico ed economico degli Stati Uniti è rimasta intatta.

Un altro sguardo

Nei mass-media l’immagine di Cuba è sempre negativa. Colpire Cuba va di moda. Alcuni fatti sono amplificati, alcuni sono sistematicamente nascosti o criminalizzati. Se vi sono degli arresti amministrativi a Cuba, questa diventa rapidamente un’informazione internazionale, mentre nel nostro paese ci sono decine di tali arresti ogni anno. Viceversa, l’informazione generalmente tratta il blocco economico – il più lungo nella storia – come un dettaglio, ammesso che venga menzionato. Per darvi un’idea, in 55 anni, il costo del blocco ha raggiunto 11 volte il PNL (11). Per il Belgio, tale calcolo sarebbe pari a 400 miliardi di euro e per la Francia a 23.000 miliardi. Difficile definirlo un dettaglio.

Il peggio è che non si parla mai della minaccia terroristica permanente. Cuba è considerato un paese normale, pur vivendo da 55 anni sotto la costante minaccia terroristica. Dagli eventi di venerdì 13 Novembre ora sappiamo anche noi per la prima volta cosa significa. Una situazione come questa sconvolge un paese. Per la prima volta, possiamo essere in grado di rappresentarci cosa implica vivere in queste condizioni. Ciò ci può consentire di mostrare una maggiore comprensione nei confronti di Cuba.

Questo ci può anche incoraggiare a esigere da Washington una volta per tutte che fermi i gruppi terroristici sul proprio suolo, in particolare a Miami. Non fa mai male iniziare a spazzare via l’immondizia in casa propria.

Katrien Demuynck e Marc Vandepitte hanno scritto diverse opere su Cuba.

Note: (1) I piani venivano, com’è risaputo, da McNamara, Ministro degli Affari Esteri dell’epoca. T. Diez Acosta : Ottobre 1962, La crisi dei ‘Missili’ vista da Cuba. New York 2002, p. 86.

(2) Demuynck K. (ed.) : Il caso incredibile dei Cinque Cubani. Le prove della Commissione internazionale d’inchiesta sul Caso dei Cinque, Londra, 2014, p. 39-51.

(3) Hans Hertell, ambasciatore US nella Repubblica Dominicana e vicino a Bush, ha dichiarato subito dopo la caduta di Baghdad : “Gli eventi in Iraq sono un segnale positivo e un buon esempio per Cuba, dove il regime di Fidel Castro ha ordinato la settimana scorsa l’arresto di più di 80 cittadini solo per le loro idee”. Jeb Bush, l’attuale candidato repubblicano alla presidenza e fratello di George, ha detto più o meno nello stesso tempo: “Dopo il nostro successo in Iraq, dobbiamo guardare al prossimo passo. Dobbiamo spiegare ai nostri fratelli in America Latina e altrove che un regime che non rispetta i diritti umani non può essere tollerato”. Cf resp. El Expresso, 13 aprile 2003 e www.americas.org/news/nir/20….

(4) Sun Sentinel, 6 aprile 2003.

(5) Stella Calloni. Operazione Condor. Patto Criminale, La Havana, 2005.

(6) cf http://www.theguardian.com/us-news/…

(7) In una lettera a Celia Sánchez in Suárez Pérez E. & Caner Román A. (éd.): Da cinque palme a La Habana, La Havana 1998, p. 143.

(8) CDR : Comitato di Difesa della Rivoluzione.

(9) Sui Cinque di Cuba, vedere: http://www.cubanismo.net/cms/fr/art…

(10) cf http://cubanismo.net/cms/fr/campagn…

(11) cf http://www.elnuevodia.com/noticias/… Il PNB è quello che un paese produce in ricchezza in un anno (beni e servizi).

Fonte originale: De Wereld Morgen

Traduzione dall’olandese: Anne Meert per Investig’Action.

Fonte: Investig’Action

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Aleppo, l’esercito siriano libera la base di Kuweires dall’assedio dell’Isis

da lantidiplomatico

Dopo 3 anni di brutale assedio dell’Isis all’aeroporto militare di Kuweires, l’esercito arabo siriano è riuscito, in poco più di un mese, a realizzare un’operazione molto difficile e rischiosa, liberando la base difesa da 300 soldati. L’operazione è stata condotta dalle “Forze Ghepardo”, un’unità di elite dell’esercito arabo siriano, guidate dal Colonnello Sohail Hassan.

Un mese fa,  le “Forze Ghepardo” dell’esercito arabo siriano, hanno iniziato il loro viaggio faticoso attraverso la Piana di Deir Hafer per sollevare l’assedio lungo tre anni imposto dall’Isis all’Aeroporto militare di Kuweires, nella campagna orientale del Governatorato di Aleppo.

Questo pomeriggio, le Forze Ghepardo “Team della 6a Brigada” – in coordinamento con le Forze di Difesa Nazionale (NDF) di Aleppo e Kataebat Al-Ba’ath (Battaglioni Al-Ba’ath) – hanno rotto l’ultima linea di difesa al villaggio ad est di Kuweires e agli alloggi militari per liberare l’area rimanente e sollevare questo brutale e lungo assedio che durava da tre anni.

Oltre 300 soldati erano rimasti intrappolati nell’aeroporto di Kuweires che sono stati accolti dal personale militare delle Forze Ghepardo, un evento molto atteso che segna la conclusione di questa lunga vicenda all’interno del conflitto siriano.

Secondo una fonte militare dall’esercito arabo siriano, il numero totale delle vittime per le Forze Armate siriane in questa offensiva è di 57 soldati, con più di 200 feriti, nel corso dell’azione. Il numero delle vittime dell’Isis non è stato ancora verificato, ma è probabile che sia molto più elevato rispetto a quello delle forze armate siriane.

Con la liberazione dell’Aeroporto Kuweires nella Piana di Deir Hafer, le Forze Ghepardo saranno riassegnate al fronte a nord di Hama, dove sono attese per aiutare a prevenire l’avanzata nemica e riconquistare il territorio perduto a vantaggio dei terroristi.

 

Arezzo 15nov2015: dal Condor alla “Tenaza”

Si scarta al momento la tesi di un attentato contro il volo #7K9268

3110150949df9bfmeddi Percy Francisco Alvarado Godoy

Tratto da Descubriendo Verdades

Sebbene il gruppo terrorista Wilayat Sina, filiale egiziana dello Stato Islamico (ISIS), ha inviato un comunicato nel quale si dichiara responsabile del sinistro del volo 7K9268 della compagnia russa Kokavia o MetroJet, che copriva la rotta Sharm el-Sheik – San Pietroburgo, le autorità russe hanno smentito fino a questo momento la veridicità di tali informazioni.

L’aereo, un Airbus A321 – in volo da circa 18 anni – è precipitato al sud della località di El Arish, nel nord della penisola del Sinai (Egitto), provocando, così, la morte delle 224 persone che trasportava; tra questi vi erano 200 adulti, 17 bimbi e 7 funzionari addetti al volo.

Non pochi sono i dubbi sulla attendibilità del comunicato diffuso nelle reti sociali da parte del Willayat Sina. Infatti, nello stesso si afferma che “i soldati del califfato sono riusciti a abbattere un aereo russo che sorvolava lo Stato del Sinai con oltre 220 di obiettivi russi a bordo” (…) “Adesso i Russi e i loro alleati lo sanno, che non c’è sicurezza per coloro che violano lo spazio aereo della terra dei musulmani”.

Ciò nonostante, gli esperti militari considerano che i terroristi del Wilayat Sina, che operano nel nord del Sinai, non dispongono di missili capaci di raggiungere un aereo in volo a oltre 9.000 metri di altezza s.l.m. Ciò detto, tale analisi non esclude la possibile alternativa che, potrebbe essere stata collocata una bomba nell’aereo o – semmai – che ha perso il controllo ed è precipitato a causa di un problema tecnico.

D’altro canto, il ministro russo per i Trasporti, Maxim Sokolov, ha commentato quanto segue:

“Siamo in stretto contatto con i nostri colleghi egiziani e le autorità aeree di quel paese. In questo momento, non dispongo di nessun tipo di informazione che possa confermare siffatte insinuazioni”. Inoltre, è stato categorico nell’affermare che: “Questa affermazione non può essere data per certa”.

In un profilo Twitter è apparso un Tweet che riprende tale comunicato.

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Suddetto comunicato è stato pubblicato anche nel sito Aamaq, una specie di “agenzia” di informazione dello Stato Islamico.

Fino a questo momento le indagini si muovono su un problema tecnico come causa del sinistro, tesi rafforzata in seguito al fatto che il sistema di regolazione nazionale dei Trasporti russo, il Rostransnador, ha dato inizio – su mandato del presidente Vladimir Putin – a un inchiesta sulla sede della Kogalymavia nell’aereoporto di Domodedovo, cosi come degli uffici dei Brisco, ubicati a San Pietroburgo. Le autorità russe stanno trattando come precedente il fatto che quell’impresa russa, lo scorso marzo del 2014, aveva riscontrato talune deficienze in certuni aerei della compagnia. Nel contempo, le indagini hanno rilevato alcuni campioni del combustibile presente all’interno dell’aereo nella località russa di Samara.

Questa ipotesi si rafforza dopo che è stato reso pubblico che gli assistenti di volo, prima di partire, avevano espresso le loro inquietudini sulle condizioni dell’aereo. Inoltre, anche il pilota del volo ha dichiarato qualche minuto prima del sinistro di aver riscontrato dei problemi tecnici nell’aereo, sollecitando un’atterraggio di sicurezza in un aeroporto. Questo – a quanto pare – è avvenuto pochi minuti prima di perdere del tutto i contatti tra il pilota dell’aereo e la torre di controllo egiziana; quindi, prima che l’aereo precipitasse.


5634ee86c461883a298b45fdAnche Vladimir Markin, portavoce del Comitato per le indagini preliminari, ha dichiarato che si è dato inizio a un’indagine sulla base dell’articolo 246 del C.P. della Federazione Russa, là dove si evince la volontà di perseguire legalmente le “Violazioni nelle norme di sicurezza del trasporto via terra, mare e aria”. Parimenti, si è reso noto che il ministro russo per le Emergenze, Vladimir Puchkov, è stato incaricato delle operazioni di ricerca e riscatto in Egitto.

Fonte: Rusia Today, Sputnik e agenzie varie.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani]

Nemer: «I comunisti siriani vogliono la pace, ma non depongono le armi»

da lantidiplomatico

Per Hunein Nemer, segretario generale del Partito comunista unificato della Siria (PCU), in questa fase la cosa più importante è tenere le armi in una mano e una soluzione politica nell’altra, per difendere il paese e liberarlo del terrorismo.

Approfittando di questi giorni nei quali si svolge il XII Congresso del PCUS, Nemer ha rilasciato un’intervista a Prensa Latina dove ha parlato della situazione in Siria e del ruolo dei comunisti siriani nella battaglia per annientare il terrorismo.

«La posizione del nostro partito a riguardo – ha spiegato – e la sua priorità principale è quella di difendere la Siria e liberarsi del terrorismo, ma anche di sostenere tutti gli sforzi politici che giocano Iran e Russia per risolvere la crisi».

«Noi siamo al governo, e il partito al governo (al-Baath Arabo Socialista) supporta questa posizione: prima difendiamo il paese e poi troviamo una soluzione alla crisi».

Nemer è fiducioso che, dopo più di quattro anni di guerra, il popolo siriano non abbandonerà le armi per distruggere le ultime vestigia del terrorismo e dell’estremismo imposto da grandi circoli di potere occidentali.

«Questa è la strategia del nostro partito in questa fase, e poi ci sbarazzeremo del terrorismo, ci sono molte battaglie interne da affrontare», ha affermato Nemer.

Il leader comunista ha detto che i costi economici e sociali di questa guerra di aggressione sono troppo elevati, le perdite dell’economia siriana è stimata a circa 230 miliardi di dollari, ci sono circa quattro milioni di rifugiati in altre nazioni «noi vogliamo che tornino nel paese e che si garantiscano per loro le abitazioni».

«Dobbiamo recuperare più di 1200 fabbriche e le industrie che sono state completamente distrutte e alcune che sono state spostate da Aleppo alla Turchia, rubate dai turchi. Dovremo recuperarle o costruirle», ha sottolineato.

«Abbiamo scoperto che nel popolo siriano è stato seminato l’estremismo religioso e che una parte dei giovani si sono uniti ai gruppi terroristici, in futuro toccherà a noi riabilitarli ideologicamente».

Un altro problema scottante è quello degli ospedali, molti dei quali sono devastati e distrutti, oltre all’agricoltura e alle infrastrutture che sono gravemente colpite, e circa mezzo milione di bambini siriani che non possono andare a scuola perché gli edifici sono stati distrutti o perché glielo hanno impedito i terroristi.

«Stiamo valutando alcune idee per la ricostruzione del paese, quando la guerra sarà finita, lo Stato siriano resterà forte e deciso, nonostante tutto ciò che è accaduto».

«Avremo tutti una grande responsabilità nella ricostruzione e dobbiamo trovare finanziamenti e sostegno dagli Amici della Siria, tra i quali l’Iran e la Russia».

Perché la Siria è stata attaccata?

Il segretario generale del Partito comunista unificato ha spiegato che da quando c’è questo sistema di governo in Siria, da oltre 40 anni, il paese ha sempre lottato contro l’egemonia internazionale e l’imperialismo.

«Dopo l’invasione militare statunitense dell’Iraq nel 2003, l’ex segretario di Stato USA Colin Powell disse al presidente Bashar al-Assad che gli statunitensi “erano ormai suoi vicini” ed era palesemente a rischio il governo siriano se non avesse soddisfatto le richieste di un gruppo di Washington».

«Tra queste richieste c’erano quelle di smettere di sostenere la resistenza in Iraq, smettere di sostenere la causa palestinese, tagliare i legami con le forze patriottiche in Libano, e pretendeva che la Siria avrebbe dovuto sostenere la posizione di Washington in tutti i summit internazionali».

Inoltre, «Powell chiese che il settore pubblico fosse eliminato e inserito in una libera economia di mercato, che il governo della Siria non interferisse nei sistemi internazionali del mercato del grano e che la distribuzione dell’elettricità, dell’acqua e delle comunicazioni fossero privatizzate».

«Queste richieste statunitensi costituivano una flagrante interferenza negli affari interni siriani ed era ovvio che la Siria le rifiutò, quindi, Washington non ha mai tollerato questo governo per aver rifiutato di seguire i suoi ordini», ha affermato Nemer.

Lo storico leader comunista siriano ha precisato che a partire dalla metà 1950, la Casa Bianca ha cominciato a ordire trame, progetti, contratti segreti firmati con i governi perché seguissero le sue linee guida, la Siria è stato l’unico paese della regione che ha respinto tali accordi.

«Da allora hanno cominciato a cospirare contro la Siria, come l’unico paese divenuto una barriera contro l’espansione nordamericana in Medio Oriente. Sarebbe troppo lungo raccontare i molti piani da parte degli Stati Uniti contro il nostro popolo», ha sottolineato.

«Il piano degli USA prevedeva di dividere la Siria in quattro parti, facendo leva sui fattori di natura etnica e religiosa, con uno Stato governato da sciiti, un altro dai sunniti, uno per i curdi e infine un altro ancora per gli alawiti e così avrebbero frammentato e indebolito il nostro territorio».

Nemer ha evidenziato che «in questo momento, gli Stati Uniti sono convinti della loro incapacità di rovesciare il governo siriano e che la Russia ha preso una posizione molto forte dalla parte nostra, ed è intervenuta in modo politico e militare, in un modo tale che Washington non può ignorare il ruolo di russi in questo conflitto».

«Ecco perché insisto a non abbandonare le armi, anche se sosteniamo le opzioni pacifiche, dobbiamo garantire nel contempo la nostra indipendenza e la sovranità nazionale».

Fernández, PL: «In Siria non è guerra civile ma guerra di rapina NATO»

da lantidiplomatico

Miguel Fernández Martínez, giornalista cubano e corrispondente dalla Siria per l’Agenzia di Stampa latinoamericana, Prensa Latina, rifiuta il luogo comune secondo il quale nel paese arabo, da quasi 5 anni, sia in corso una guerra civile. Per Fernández è in atto un aggressione ordita dalla NATO, con l’aiuto di Israele, Turchia, Giordania e delle Monarchie del Golfo per distruggere la Siria.

Aggressione finanziata dall’Occidente

Secondo l’UNICEF, 5,6 milioni di bambini siriani soffrono di povertà estrema e sono costretti a spostarsi continuamente per sfuggire dalle zone di guerra. Due milioni di rifugiati vivono in Libano, Giordania, Iraq, Egitto, Turchia e altri paesi del Nord Africa, mentre 3,6 milioni di bambini restano vulnerabili. Ventimila bambini sono morti in questa guerra imposta. «La foto del bambino siriano Aylan Kurdi, senza vita sulla sabbia di una spiaggia turca, è un colpo di frusta sulla coscienza di un Europa ipocrita e silenziosa, che nega la protezione alle sue vittime. Europa, Stati Uniti, Israele e i loro gendarmi hanno incoraggiato questa guerra fratricida. Aylan riflette altri bambini siriani che stanno morendo in questo momento a Damasco sotto il colpi di mortaio dei terroristi, o asfissiati dai gas tossici ad al-Foa e Kafraya, o brutalmente decapitati a Raqqa, o vinti dal calore e dalla sete nel deserto, cercando di sfuggire ai colpi di mortaio», ha affermato Fernández.

L’embargo degli Stati Uniti colpisce il popolo cubano anche nella comunicazione, Internet, radiodiffusione, qualcosa di simile avviene anche con la Siria?

«Tutte gli embarghi sono dannosi perché le vittime sono i poveri. Cuba lo sa che, dopo aver affrontato per più di 50 anni, un criminale blocco imposto dagli Stati Uniti le ha causato finora perdite e danni per più di 833.755 milioni di dollari. Le potenze occidentali nei confronti della Siria, guidate dagli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito non hanno mostrato alcuna pietà. Hanno bloccato le sue esportazioni, tutti i contratti, hanno congelato i conti bancari. Hanno interrotto i segnali satellitari, in modo che la verità non venga a galla, infine, hanno attuato una campagna mediatica destinata a destabilizzare, rompere e distruggere l’unità del popolo siriano, e minare la sua resistenza contro l’aggressione terrorista finanziata dall’Occidente».

Ci parli del governo di Bashar al-Assad. Come era la vita in Siria prima dell’intervento degli Stati Uniti e dell’Europa?

“Il presidente Bashar al-Assad è diventato il capro espiatorio dei maggiori circoli di potere internazionali per cercare di ripetere in Siria quello che hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Yemen, Libia e altri paesi della regione. Da molto tempo prima della crisi iniziata nel 2011,  al-Assad è stato preso di mira da Washington e dalle sue agenzie di intelligence, chiamato a diventare una vittima dell’avidità imperiale per non aver ceduto alle disposizioni della Casa Bianca.

Da quando il presidente al-Assad è salito al potere dopo la morte del padre Hafez al-Assad, ha proseguito le politiche pan-arabiste di unità regionale, che hanno dato molto risalto alla Siria nel Movimento dei Paesi Non Allineati. Al-Assad non ha venduto l’economia nazionale al FMI, seguendo l’esempio di suo padre, il più importante sostenitore della causa palestinese per la restituzione dei territori occupati da Israele e del ritorno di milioni di profughi palestinesi al loro luogo di origine. La Siria è sempre stato uno dei peggiori nemici di Israele, che ha condannato per le sue politiche espansionistiche e chiede la restituzione delle alture del Golan, occupate illegalmente dall’esercito israeliano dal 1967. A questo, bisogna aggiungere la solida amicizia tra il governo di Damasco e la Repubblica islamica dell’Iran, unite da legami storici di amicizia e cooperazione.

Bashar al-Assad ha promosso la modernizzazione della società siriana, iniziata dal padre negli anni ’70, ha difeso il concetto di Stato laico, imponendo la legge dello Stato su ogni religione e il diritto di coesistenza di una popolazione multietnica. Né ha permesso la privatizzazione del settore petrolifero e delle industrie più importanti del paese. Per tutti questi motivi è stato un obiettivo da distruggere da parte delle amministrazioni neocoloniali degli Stati Uniti e dai suoi alleati europei».

In Siria è in corso una guerra civile?

«Mi rifiuto di accettare la tesi che qui sia in corso una guerra civile. È falso come il sole che sorge di notte. Quello che succede qui è un aggressione internazionale organizzata dalla NATO. Il Dipartimento di Stato nordamericano e i servizi segreti israeliani sono riusciti a riunire le monarchie del Golfo Arabia Saudita e Qatar, insieme ai governi di Giordania e Turchia, per iniziare l’assedio della Siria. Le strategie per avviare la crisi erano chiare. Hanno cercato di portare in Siria gli effetti sperimentati da altri paesi di quella che è divenuta nota come la primavera araba, un mostro destabilizzante che ha lasciato conseguenze dolorose in ogni paese in cui è stata imposta. Per questo hanno usato diversi metodi, uno era la manipolazione dei Fratelli Musulmani, che era già stato utilizzata in Egitto, Libia, Tunisia e altri paesi, cercando di dare una sfumatura religiosa alle proteste, oltre ad altre politiche destabilizzanti organizzate dall’ambasciata degli Stati Uniti.

Non è un segreto che durante le presunte manifestazioni popolari nel marzo 2011 quando ebbe inizio il conflitto, l’ex ambasciatore USA a Damasco, Robert Ford, era sempre in viaggio nelle varie province per incontrare i leader dell’opposizione e per finanziare le proteste. In quelle manifestazioni “popolari” c’erano uomini armati che sparavano contro la polizia. Hanno creato il caos e la violenza, perché è stato tutto ben progettato per generare destabilizzazione e far posto a ai gruppi jihadisti, organizzati, armati e addestrati dall’Occidente, in attesa alle frontiere della Giordania, a sud; La Turchia, a nord, e l’Iraq a est. Non è un segreto che l’auto-proclamato Free Syrian Army, composta per lo più di disertori dell’esercito siriano, è stato finanziato da Parigi, e nel suo processo di disintegrazione, la maggior parte dei suoi membri è passata alle bande di terroristi dello Stato islamico o al-Nusra, il braccio armato di Al Qaeda in Siria.

Un altro modo utilizzato per attaccare la Siria è stato attraverso il reclutamento di mercenari provenienti da più di sessanta paesi, che vengono istigati da leader religiosi estremisti ed insistono a chiamare il jihad o guerra santa contro il governo legittimo in Siria. Infine, quattro anni dopo l’inizio di questa guerra di rapina, le forze sono state concentrate in due gruppi principali. Da un lato, le forze armate siriane, con un esercito di quasi 350.000 uomini, in collaborazione con le unità di milizia conosciuta come Difesa nazionale, e dall’altra gruppi terroristici che continuano a provocare caos e terrore».

Il terrorismo dell’Isis

Come nasce l’Isis e come viene introdotto in Siria? Cosa controlla? Si dice che vendano petrolio per finanziarsi e dispongano di risorse milionarie

«Lo Stato islamico, gruppo terroristico, anche conosciuto in arabo come Daesh, è giunto qui da poco più di un anno, da uno smembramento di Al Qaeda che opera nel territorio dell’Iraq. Da quando ha iniziato la sua espansione in territorio siriano, hanno proclamato la creazione di un califfato, la cui capitale è la città di Raqqa, situata a poco più di 500 chilometri a est di Damasco, occupata dagli estremisti.

Sulle atrocità dello Stato Islamico si parla ogni giorno. Manipola la fede religiosa dei suoi membri e sostenitori, e fa un’interpretazione distorta del Corano, imponendo la legge della Sharia, e un tipo di governo tirannico che include l’imposizione di punizioni crudeli che possono variare dalla decapitazione alla lapidazione fino alla crocifissione ed ad altre forme barbariche per imporre la legge. Dietro c’è un intero gruppo di contrabbandieri, profittatori e criminali – la maggior parte sono proprio quei paesi che cercano di rovesciare Bashar al-Assad – che trafficano con loro il  petrolio nelle zone occupate, e le reliquie archeologiche e storiche vandalizzate da diversi villaggi ovunque vadano.

C’è un particolare che non voglio tralasciare circa la manipolazione esercitata dai grandi media occidentali sui territori occupati dall’Isis in Siria. Molti media insistono nel sostenere che occupa più del 50% del territorio siriano, ciò non corrisponde a nessuna verità. La maggior parte della popolazione siriana vive nelle zone sotto il controllo del governo, il centro ovest del Paese, sulla costa mediterranea. La maggior parte delle zone sotto il controllo dei terroristi sono zone desertiche a bassa densità demografica; L’Isis controlla solo la città di Raqqa, parte della città di Idleb e poco meno della metà di Aleppo. Dove sono forti in realtà nel controllo delle strade a est, impedendo il movimento delle truppe nelle zone di combattimento con ripercussioni sull’economia nazionale e sulla popolazione siriana».

A chi importa la distruzione della Siria?

«Ricordo molti anni fa qualcuno mi ha detto che gli Stati Uniti e le grandi potenze guardare al Medio Oriente come “un grande lago di petrolio”. L’Occidente non ha mai guardato con rispetto a questa parte del mondo. Qui ci sono presenti tracce del suo percorso coloniale, ha spogliato l’antica cultura di questi popoli e le loro principali riserve di combustibile. Nel caso della Siria, per aver rifiutato di essere un servitore delle potenze occidentali, è stata “condannata” ad essere invasa. Però non hanno fatto i conti con la resistenza del popolo siriano, che è stato in grado di difendersi in più di quattro anni da tutta questa campagna di aggressione terroristica. Inoltre, hanno usato anche una delle formule per  destabilizzare l’unità nazionale, come il settarismo, cercando di creare divisioni tra sunniti, sciiti, alawiti, curdi, armeni, drusi, cristiani, yazidi, che formano quell’amalgama storico e indistruttibile che si chiama popolo siriano».

Quali sono le difficoltà che lei deve affrontare per fare il suo lavoro come corrispondente di Prensa Latina?

«Le stesse di ogni siriano. Convivo con loro, soffriamo le stesse necessità e condividiamo le nostre speranze. Ho visitatole zone di combattimento, le scuole distrutte dalla guerra, i campi profughi, insomma, cerco di toccare con mano tutto. Ho potuto parlare con mercenari stranieri catturati dall’esercito e sentire dalle loro labbra quali forze esterne di gran lunga sono coinvolte in questa guerra. Ho avuto l’opportunità di intervistare ministri, così come la gente comune. Chi mi può dare la sua versione della guerra e mi permette di avere nuovi argomenti per spiegarli ai lettori, sarà sempre il benvenuto».

Qual è la situazione umanitaria in Siria?

«Secondo le Nazioni Unite, la Siria sta soffrendo la peggiore crisi umanitaria conosciuto da 70 anni a questa parte. Come risultato di questa guerra, più di quattro milioni di siriani si sono rifugiati in altri paesi. I principali paesi di accoglienza sono Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto. Circa undici milioni sono gli sfollati all’interno del paese, e il numero dei morti è scioccante. Finora, alcuni dicono che sono stime prudenti, ci sono più di 240.000 morti, di essi, 50.000 membri dell’esercito. In alcune aree vi è la fame e la mancanza delle cose più elementari, come l’acqua, l’elettricità. È una storia difficile e triste».

Come ha affrontato il governo la lotta contro il terrorismo?

«La Siria si è difesa con gli artigli da un’aggressione internazionale. L’esercito siriano e le milizie hanno portato tutto il peso di questa guerra ed un alto costo umano e materiale. Sulla Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, c’è poco da dire. Da più di un anno ”bombardano” presunte posizioni dei gruppi terroristici, e ciò che fanno è rafforzarli. Ci sono prove che in alcuni posti della Siria e dell’Iraq, questi stessi aerei hanno calato armi e munizioni che vanno nelle mani dei gruppi estremisti. Da parte loro, le milizie curdo-siriane che si identificano come YPG, hanno svolto anche loro un compito difficile nella difesa dei loro territori nel nord della Siria, soprattutto nelle zone a nord di Aleppo e nella provincia orientale di Hasaka, riuscendo persino ad espellere terroristi dai loro territori».

Cosa puoi dirci dei crimini contro donne, bambini e anziani e sulla distruzione dei beni culturali?

«Hanno scosso l’opinione pubblica internazionale. Sono metodi veramente sadici quelli utilizzati, come il taglio delle teste dei loro nemici o la crocifissione delle persone in luoghi pubblici, o lapidazione delle donne. Gli omosessuali li gettano dai tetti degli edifici, le donne sono picchiate per non aver indossato il velo o perché escono da sole per le strade. Quello che accade ai bambini mi fa male. Hanno chiuso molte scuole nelle aree occupate, e aperto delle scuole più piccole, dove si insegna l’importanza del suicidio al fine di raggiungere uno scopo, o diventano assistenti dei boia durante le esecuzioni. Il danno psicologico e sociale per questi bambini è impressionante».

Assad confida nell’alleanza antiterrorista con Russia, Iraq e Iran

da lantidiplomatico

Il presidente Bashar al-Assad ha rilasciato,oggi, un’intervista al canale iraniano Khabar nel corso della quale, ha ribadito che la posizione dei governanti occidentali e le loro dichiarazioni alla stampa, sia positive che negative, non possono essere prese sul serio per la mancanza di fiducia nei loro confronti.

Il presidente siriano ha sottolineato che il futuro della Siria e il suo sistema politico, sono nelle mani del popolo siriano e non delle cancellerie occidentali.

Inoltre, ha spiegato che la Siria, la Russia, l’Iraq e l’Iran devono sconfiggere il terrorismo, altrimenti la regione sarà distrutta completamente, sottolineando che il terrorismo è un nuovo strumento per sottomettere la regione e a quel punto non si avrà altra scelta che battersi se si vuole essere indipendenti e prosperi.

Il presidente al-Assad ha evidenziato che la Siria non ha visto i risultati della coalizione orchestrata da Washington, semplicemente perché i paesi che appoggiano il terrorismo non possono combatterlo,che la lotta al terrorismo è efficace attraverso la pressione sui paesi affinché venagno fermati finanziamenti e armi.

Il testo dettagliato:

In risposta a una domanda circa i cambiamenti che si verificano a livello internazionale sulla situazione in Siria, in cui i paesi che insistevano per rovesciare il governo siriano, ora sostengono la partecipazione del presidente al-Assad in un governo di transizione, il presidente siriano ha detto che la Siria non ha fiducia nei funzionari occidentali e nelle loro dichiarazioni positive e negative.

Egli ha anche sottolineato che i cambiamenti nella posizione dell’Occidente sono dovuti al terrorismo che hanno patrocinato e adesso si è rivoltato contro di lui, e le ondate di immigrati verso i loro paesi, non solo provenienti dalla Siria, ma da diversi paesi del Medio Oriente, ribadendo che, nonostante questi cambiamenti delle posizioni, l’Occidente è inaffidabile.

Rispondendo ad una domanda sulle posizioni dell’Occidente nei confronti della situazione in Siria, il presidente al-Assad ha detto che «i paesi occidentali hanno un padrone, che sono gli Stati Uniti. Tutti questi paesi si comportano secondo i dettami del loro maestro americano». Quindi «le dichiarazioni di tutti questi paesi si somigliano».

Il presidente siriano ha accusato l’Occidente di voler rovesciare il governosiriano per creare mini Stati deboli per garantire la sicurezza dell’entità sionista.

Tra l’altro ha messo in guardia contro il pericolo del terrorismo nella regione, dal momento che è stato dichiarato come islamico e in realtà non ha nulla a che fare con l’Islam. «Questi gruppi stanno promuovendo la sedizione tra le diverse componenti della vasta regione … Ora, per fortuna, c’è una grande consapevolezza nella nostra società circa il pericolo della sedizione confessionale …. Ma nel corso del tempo, e con la continuazione dell’ incitamento settario, un divario tra le diverse componenti della società può creare una nuova generazione dove emergono idee sbagliate, questo è un grave pericolo», ha detto il presidente siriano.

Per quanto riguarda le posizioni della Turchia e dell’Arabia Saudita sul cambio di governo in Siria, il presidente al-Assad ha affermato che qualsiasi discorso sul sistema politico in Siria è una questione interna e né l’Arabia Saudita né la Turchia hanno il diritto di parlare di democrazia.

Rispondendo ad una domanda sulle ragioni della crisi in Siria, il presidente siriano ha dichiarato che lo Stato si assume parte della responsabilità, però ha lavorato per molte riforme a tutti i livelli, ribadendo che il fattore principale dietro la crisi siriana è l’ingerenza straniera negli affari interni del paese e che il popolo siriano è il solo che può decidere sul futuro del suo paese e senza nessun ingerenza straniera.

Allo stesso modo, il presidente siriano ha ribadito l’impegno della Siria per la lotta contro il terrorismo per rimuoverlo e il dialogo intersiriano per risolvere la crisi.

In merito alla richiesta del governo siriano di sedersi allo stesso tavolo dei negoziati con i terroristi, il presidente al-Assad ha risposto che questo può essere fatto nel caso in cui costoro depongano le armi e tornino a rispettare le leggi dello Stato siriani. Con i gruppi terroristici che si rifiutano di dialogare e pensano di servire la loro religione commettendo massacri, secondo Assad «è impossibile il dialogo con questi gruppi».

In risposta a una domanda circa le ragioni del fallimento delle operazioni di “Coalizione internazionale contro lo Stato islamico”, il leader siriano ha così commentato: «Il ladro non può essere la polizia».

Il presidente al-Assad ha osservato che la Siria non ha visto i risultati di orchestrata da Washington, semplicemente perché i paesi che appoggiano il terrorismo non possono combatterlo, inoltre,  sarebbe necessaria una pressione sui paesi che armano e finanziano il  terrorismo.

Sulla considerazione di alcuni Paesi, secondo la quale, la permanenza del presidente al-Assad al potere è la causa della continuazione della guerra in Siria, ha così replicato: «Se io fossi un pretesto per il terrorismo in Siria, qual è allora il pretesto per il terrorismo in Yemen. Io non sono in Yemen. Qual è il pretesto per il terrorismo in Libia? Qual è il pretesto per il terrorismo in Iraq? Infatti, se prendiamo lo Stato islamico come un esempio, si vedrà che non è apparso in Siria. È apparso in Iraq nel 2006, quando gli americani gestivano quasi tutte le questioni, se non tutte, in particolare quella della sicurezza in Iraq».

Per quanto riguarda la nuova coalizione che si è formata nella regione tra la Siria, l’Iran, la Russia e l’Iraq, il presidente siriano ha aggiunto che questa alleanza deve sconfiggere il terrorismo, altrimenti la regione sarà completamente distrutta. Egli ha anche sottolineato che ci sono grandi possibilità che questa nuova partnership abbia successo.

Sulla questione dei rifugiati siriani, Assad ritiene che bisogna trovare le ragioni che hanno portato a quelle persone a lasciare il loro paese, che si riflette nel terrorismo e nel continuato sostegno occidentale a questo flagello.

«La domanda di ogni rifugiato è smettere di sostenere il terrorismo», ha sostenuto.

E sulla sua valutazione della situazione in Siria e la durata dela crisi, Assad ha espresso il rammarico che la crisi continuerà fintanto che saranno supportati e di finanziati i terroristi. «Non solo stiamo combattendo contro i gruppi terroristici all’interno della Siria, ma contro i gruppi terroristici provenienti da tutto il mondo con il sostegno dei paesi più ricchi e potenti». Ha anche fatto riferimento ai mutamenti dello scenario internazionale, che potrebbero cedere il passo ad una soluzione politica della crisi, ma questa soluzione non può essere raggiunta, mentre ci sono paesi che sponsorizzano il terrorismo.

Il presidente al-Assad ha messo un accento particolare sull’ iniziativa del presidente russo Vladimir Putin, sottolineando che la Siria ha fiducia nell’alleanza creata la Russia, l’ Iraq e l’Iran.

Parlando dei colloqui russo-americani e se questi sono visti come un intervento russo negli affari siriani, il presidente al-Assad ha precisato: «Abbiamo vecchi rapporti con l’ex Unione Sovietica e poi in Russia da oltre sei decenni. I russi non hanno mai cercato di imporre qualsiasi cosa su di noi in tutta la storia di questi rapporti, in particolare durante la crisi. Il dialogo tra la Russia e gli Stati Uniti non è una interferenza in Siria, il dialogo è in corso tra le due parti: una che crede in interferenza negli affari di altri Stati, in particolare gli Stati Uniti e l’Occidente, e l’altra che cerca di prevenire tale egemonia intervenendo e prevenendo la violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e della Carta dell’ONU, vale a dire, la Russia, i paesi BRICS e molti altri paesi».

Il presidente al-Assad ha parlato della importanza della conferenza di Mosca, dal momento che ha un diverso meccanismo di discussione rispetto a quella di Ginevra, che include disposizioni chiare come l’indipendenza della Siria, l’integrità territoriale e il dialogo tra siriani. Ginevra, invece, si focalizzava su un singolo punto:  “il corpo di transizione”.

Mosca III aprirà la strada a Ginevra III secondo Assad.

Sull’iniziativa iraniana avanzata dal ministro degli Esteri Jawad Zarif, per il presidente Assad è in pieno accordo con i principi dell Siria, ma la nuova iniziativa del presidente russo Vladimir Putin e le sue dichiarazioni al G8 ha portato dei cambiamenti.

In questo contesto, il presidente siriano ha affermato che la Siria mantiene contatti con il Ministero degli Esteri iraniano su questa iniziativa iraniana in armonia con le nuove modifiche.

Alla notizia dell’arrivo di una nave da guerra cinese e di una portaerei russa al porto di Latakia, il Assad ha risposto che la Cina ha esplicitamente dichiarato che non parteciperà all’aspetto militare della guerra al terrorismo. Tuttavia, questo paese sostiene l’iniziativa del presidente Putin per quanto riguarda la lotta antiterrorista, aggiungendo  che la Russia ha una presenza negli aeroporti siriani e non hanno bisogno di questa portaerei.

Infine, Assad ha ribadito che l’alleanza tra la Siria, l’Iran e Hezbollah ha contribuito a rafforzare l’indipendenza dei paesi della regione, aggiungendo che questo asse della resistenza riuscirà a sconfiggere il terrorismo che «è un nuovo strumento per soggiogare la regione».

(VIDEO) Assad: «Europa non sostenga il terrorismo»

da rt

«Il punto non è che l’Europa dovrebbe o non dovrebbe ricevere i rifugiati, ma c’è la necessità di affrontare le cause alla radice del problema», ha dichiarato il presidente siriano Bashar al Assad, in un’intervista concessa ad RT ed ad altri media russi. «Se gli europei sono preoccupati per la sorte dei rifugiati, la smettano di sostenere i terroristi».

Ecco il testo completo dell’intervista

Signor Presidente, a nome dei media russi: RT, Pervy Kanal, Rossiya 24, NTV, agenzie di stampa russa Rossiya Segodnia, TASS, Interfax e ‘Rossiyskaya Gazeta’, la ringraziamo per l’opportunità di parlare con lei durante questo difficile periodo della crisi siriana.

Ci sono molte domande circa la direzione in cui il processo politico di pace si svolge in Siria. Quali sono gli ultimi sviluppi nella lotta contro Stato islamico? In che stato è l’alleanza russo-siriano? Qual è la situazione del gran numero di rifugiati siriani?, Il tema che ha recentemente dominato i media europei.

La crisi siriana presto compirà cinque anni. Nonostante tutte le previsioni dell’occidente,  la sua estromissione era stata annunciata da molti leader, egli rimane presidente della Siria. Recentemente, c’è fu un’ondata di speculazione in merito alle riunioni tra alti funzionari del suo governo con i suoi avversari dell’Arabia Saudita. Ciò ha indotto l’ipotesi che si è avviato una nuova fase nel processo politico in Siria. Tuttavia, la successiva dichiarazione di Riyadh, che continua a insistere sulla sua estromissione, mostra che quasi nulla è cambiato, nonostante le minacce e le sfide che pongono gruppi come l’Isis.

Quindi, qual è la sua posizione sul processo politico? Cosa ne pensa dell’idea di condividere il potere e lavorare insieme con i gruppi di opposizione che continuano a dichiarare apertamente che in Siria non ci sarà alcuna soluzione politica senza la sua estromissione immediata? Hanno dimostrato che sono disposti a lavorare con lei e con il suo governo? Sappiamo anche che dall’inizio della crisi, molti di questi chiedono che ci siano riforme politiche e trasformazioni. Tuttavia, è possibile attuare tali cambiamenti ora nello stato attuale, con la guerra in corso e la diffusione del terrorismo in Siria?

– Permettetemi di rispondere alla vostra domanda in alcune parti, in quanto comprende diversi punti. Per quanto riguarda la prima parte della domanda sul processo politico, dall’inizio della crisi siamo stati in favore di un dialogo. Ci sono stati diversi cicli di colloqui per la Siria, Mosca e Ginevra. In realtà, l’unico ciclo di negoziati in cui abbiamo avuto successo è stato nel secondo incontro di Mosca. Non a Ginevra, o la prima a Mosca. Allo stesso tempo, questa fase era incompleta. E questo è naturale, perché la crisi è di grandi dimensioni. Incapace di trovare una soluzione in poche ore o giorni. Tuttavia, si tratta di un passo in avanti e siamo in attesa di un terzo round di colloqui a Mosca. Credo che in contemporanea con la lotta al terrorismo debba continuare il dialogo tra i partiti e gruppi politici siriani per raggiungere un consenso sul futuro del nostro paese. Dobbiamo continuare a muoverci in questa direzione.

Rispondendo alla seconda parte della sua domanda circa la possibilità di alcuni progressi, considerando la diffusione del terrorismo in Siria, in Iraq e nella regione nel suo complesso, come ho detto, dobbiamo continuare il dialogo al fine di raggiungere un consenso. Tuttavia, anche se ci riusciamo, non sarà possibile, mentre la gente muore, mentre lo spargimento di sangue continua e mentre la gente non si sente completamente al sicuro e fuori pericolo. Supponiamo che siamo stati in grado di negoziare con i partiti e le forze politiche su temi politici ed economici, la scienza, la salute o qualsiasi altra cosa. Ma come possiamo implementare questi accordi, se la priorità per ogni cittadino siriano è la sicurezza? Pertanto, siamo in grado di raggiungere un consenso, ma non possiamo attuare qualcosa fino a che non sconfiggeremo il terrorismo in Siria.

Dobbiamo sconfiggere il terrorismo e non solo quello dell’Isis. Sto parlando di terrorismo, perché ci sono molte organizzazioni, soprattutto l’Isis e al Nusra che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato terroriste. Questo per quanto riguarda la questione del processo politico.

Per quanto riguarda la separazione dei poteri, in origine ha tenuto incontro con l’opposizione che lo ha accettato. Alcuni anni fa l’opposizione è diventata parte del Governo. Nonostante il fatto che la divisione dei poteri è regolata dalla Costituzione e le elezioni, le elezioni parlamentari in particolare e, naturalmente queste forze rappresentano il popolo, a causa della crisi, abbiamo deciso di condividere il potere per fare un passo in avanti, senza concentrarsi sull’efficacia di una tale decisione.

Per quanto riguarda il problema dei rifugiati, voglio dire che la posizione dell’Occidente e la campagna mediatica effettuata, soprattutto nell’ultima settimana, dice che queste persone sono in fuga dal governo siriano, che i media occidentali definiscono come ‘regime’. Tuttavia, da un lato, i paesi occidentali con un occhio piangono i rifugiati, con l’altro gli puntano la pistola,. Quello che succede è che, in realtà, queste persone hanno lasciato la Siria soprattutto a causa dei terroristi e la paura della morte e le conseguenze del terrorismo. In condizioni di terrore e distruzione delle infrastrutture, non si possono soddisfare le esigenze più elementari. Come risultato, le persone in fuga dal terrorismo cercano l’opportunità di guadagnarsi da vivere in altre parti del mondo. Pertanto, l’Occidente si addolora per i rifugiati sostenendo i terroristi dall’inizio della crisi.

Originariamente  l’Occidente ha definito gli eventi siriani “proteste pacifiche” poi “azioni dell’opposizione moderata” e ora supporta l’esistenza del terrorismo, ora si chiama Isis e Al Nosra, ma attribuisce la colpa al governo siriano, il “regime”, la Siria e il presidente siriano. Pertanto, pur continuando questa linea di propaganda, non hanno altra scelta che accettare più rifugiati. Il punto non è che l’Europa dovrebbe o non dovrebbe ricevere i rifugiati, ma la necessità di affrontare le cause alla radice del problema. Se gli europei sono preoccupati per la sorte dei rifugiati, smettere di sostenere i terroristi. È la nostra opinione sulla questione. Questa è la radice del problema dei rifugiati.

– Signor Presidente, , ha già toccato il tema dell’opposizione siriana interna nella sua prima risposta. Tuttavia, vorrei tornare sull’argomento, perché è molto importante e molto interessante per la Russia. Noi diciamo, cosa può fare l’opposizione siriana interna per cooperare in alcun modo con il governo e sostenerlo in questa lotta? Cosa è stato fatto stato e cosa può fare in generale? E come si fa a valutare le prospettive di un terzo round di colloqui a Mosca e Ginevra? È utile per la Siria data la situazione?

– Come sapete, ci troviamo in una guerra contro il terrorismo, che ha il sostegno di forze esterne. Ciò significa che è stata condotta  una guerra totale. Credo che ogni società, ogni patriota, qualsiasi partito che rappresenta le persone in queste situazioni debba unirsi contro un nemico comune – che si tratti di terrorismo interno o esterno. Se oggi chiediamo a qualsiasi siriano che vuole ora, la prima risposta sarà: sicurezza e stabilità per tutti. Pertanto, noi come forze politiche, sia all’interno del governo e fuori del governo, siamo tenuti ad unirci attorno alle richieste del popolo siriano. Ciò significa che, in primo luogo, dobbiamo unirci contro il terrorismo. Questo è evidente e logico.

Allora io dico che le forze politiche, il governo e i gruppi armati illegali che combattono contro il governo, devono unirsi per combattere il terrorismo. E questo è successo: alcuni gruppi prima combattevano il governo siriano, e ora si oppongono al terrorismo e sono dalla nostra parte. In questo senso hanno già preso alcune misure, tuttavia, vorrei approfittare del nostro incontro di oggi per fare appello a tutte le forze ad unirsi nella lotta contro il terrorismo, dal momento che questo è l’unico modo per raggiungere gli obiettivi politici fissati dalla Siria, attraverso il dialogo e il processo politico.

– Per quanto riguarda il terzo round di colloqui a Mosca o a Ginevra, pensa che possa essere promettente in tal senso?

– L’importanza del terzo round di colloqui a Mosca è dovuto al fatto che sarebbe una piattaforma di preparazione per il terzo a Ginevra. Il patrocinio Internazionale della riunione di Ginevra non è stato imparziale, mentre la Russia agisce su questo tema in modo imparziale e si attiene ai principi di legittimità internazionale e in conformità con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

In aggiunta, ci sono differenze di principio sul governo di transizione nella dichiarazione di Ginevra. È necessario che nel terzo turno di Mosca le citate controversie tra diverse forze in Siria siano risolte per raggiungere il terzo turno di incontri a Ginevra con una posizione consolidata. Ciò creerà le condizioni per il successo del terzo turno di Ginevra. Crediamo che Ginevra 3 possa avere successo senza quello di Mosca 3. Pertanto sosteniamo lo svolgimento della riunione a Mosca dopo il completamento della preparazione di questo forum, che dipende in particolare dalla parte russa.

– Signor Presidente, vorrei portare avanti la questione del sostegno straniero per la soluzione della crisi siriana. In questo contesto, vorrei chiedere: è chiaro che dopo la questione nucleare iraniana è stata risolta, Teheran avrà un ruolo sempre più attivo negli affari regionali. In questo senso, come si fa a valutare i recenti sforzi iraniani per normalizzare la situazione in Siria? E in generale, quanto è importante per voi il sostegno di Teheran? Ci sono tali aiuti militari? Se ci sono, in cosa consistono?

– Al momento non vi è alcuna iniziativa specifica dall’Iran. Tuttavia, ci sono idee preliminari e principi relativi a tale idee, che si basano sul principio della sovranità della Siria e, naturalmente, la decisione del popolo siriano e la lotta contro il terrorismo. Naturalmente i rapporti tra Siria e Iran hanno una lunga storia e hanno più di 35 anni. Siamo uniti da un rapporto di alleanza e una fiducia reciproca. Riteniamo pertanto che l’Iran giochi un ruolo importante.

La Siria difende l’Iran e il suo popolo. Questo paese supporta lo stato siriano nella politica, nell’economia e militarmente. Quando si parla di sostegno militare non è quello che sta cercando di vendere alcuni media occidentali come l’invio in Siria di gruppi militari iraniani: si tratta di una menzogna. Teheran ci fornisce equipaggiamenti militari. Naturalmente, manteniamo uno scambio di specialisti militari provenienti da Siria e Iran, ma questo scambio è sempre esistito. Naturalmente, questo tipo di cooperazione bilaterale si intensifica in condizioni di guerra. Sì, l’aiuto di Teheran è un fattore chiave per la forza della Siria di fronte a questa difficile guerra barbara.

– Come parte della nostra discussione sui fattori regionali e attori regionali, di recente lei ha parlato di coordinamento con il Cairo nel campo della sicurezza e della lotta contro il terrorismo, ha detto che i due paesi sono sullo stessa barricata nella lotta contro il terrorismo. Ciò che ha rapporti con Cairo oggi, dove esistono più strutture dell’opposizione? Sono contatti diretti o con la mediazione russa, soprattutto data la natura strategica delle relazioni russo-egiziane? Il presidente al-Sisi è un ospite atteso oggi a Mosca.

– Le relazioni tra Siria ed Egitto non si sono mai interrotte, anche negli anni precedenti, anche con il presidente Mohammed Morsi, che appartiene all’organizzazione terroristica Fratelli Musulmani. Tuttavia, diverse organizzazioni egiziane hanno insistito sul mantenimento delle relazioni, almeno a un livello minimo. Questo si spiega in primo luogo con il fatto che gli egiziani si rendono conto che cosa sta accadendo in Siria. La seconda ragione è che la lotta che abbiamo oggi è una lotta contro un nemico comune. Chiaramente è ormai evidente a tutti, perché il terrorismo si è diffuso in Egitto, Yemen, Siria, Libia, Iraq e altri paesi, compresi i paesi islamici come l’Afghanistan, il Pakistan e gli altri. Così ora posso dire che abbiamo una visione comune con l’Egitto.

Ma in questo momento, abbiamo solo relazioni a livello di organi di sicurezza.No a livello politico, ad esempio, non c’è contatto tra i Ministeri degli Affari Esteri dei due paesi. C’è solo la cooperazione tra le agenzie di sicurezza.

Non si possono fare pressioni sia sul Cairo che su Damasco al fine di evitare che siamo uniti saldamente. Naturalmente questi contatti non sono favoriti da Mosca, come le ha ipotizzato. I rapporti non sono mai stati interrotti, ma oggi siamo lieti di vedere che le relazioni tra Russia ed Egitto stanno migliorando. Mentre Damasco e Mosca hanno storicche relazioni solide e buone che le uniscono. È naturale che la Russia è felice per qualsiasi progresso nello sviluppo delle relazioni siro-egiziane.

– Signor Presidente, mi permetta di tornare al tema della lotta contro il terrorismo. Come considera l’idea di creare una zona franca di terroristi dello Stato islamico nel nord, al confine con la Turchia? E in questo contesto, come si fa a commentare la cooperazione indiretta dell’occidente con organizzazioni terroristiche come il Fronte al Nusra e altri gruppi radicali? E con chi sarebbe disposto a cooperare per combattere i terroristi dello Stato islamico?

– Se diciamo che ai confini con la Turchia non ci saranno sarà terroristi, significa che ci sono in altre regioni. Tale retorica è per noi inaccettabile. Il terrorismo deve essere eliminato ovunque. Più di tre decenni sollecitano la creazione di un’alleanza internazionale per combattere il terrorismo. Per quanto riguarda la cooperazione occidentale con al Nusra, questo è un fatto concreto. Sappiamo tutti che sia il Fronte Nusra e che l’Isis, la Turchia che ha stretti rapporti con l’Occidente, ha armi, denaro e volontari. Sia il Presidente Recep Erdogan e il primo ministro Ahmed Davutoglu non fanno nemmeno un passo senza prima coordinarsi con gli Stati Uniti e altri paesi occidentali. Sia il Fronte Nusra e che lo Stato Islamico devono il loro potere crescente nella regione alla protezione protezionismo dell’occidente che considera il terrorismo come un jolly periodicamente preso dalla manica e pronto per l’uso. Oggi vogliono usare il Fronte al Nusra contro lo Stato islamico, può essere perché, in una certa misura, lo Stato islamico è fuori controllo. Tuttavia, questo non significa che essi vogliono liquidare lo Stato islamico. Se avessero voluto, lo avrebbero già fatto. Per noi, lo Stato islamico, il Fronte Nusra e altri gruppi armati che uccidono i civili sono estremisti.

Con chi si può parlare? È una questione della massima importanza. Fin dall’inizio abbiamo detto che siamo pronti per qualsiasi dialogo se questo può ridurre la minaccia terroristica, e quindi portare ad una maggiore stabilità. Naturalmente, con questo intendo le forze politiche. Abbiamo anche parlato con alcuni gruppi armati e abbiamo raggiunto gli accordi, con la quale la pace è stata stabilita in alcune aree problematiche. In altre occasioni i paramilitari sono stati aggiunti all’esercito siriano. Ora combattono come gli altri e sacrificano la loro vita per il bene della patria. Questo è il dialogo con tutti, tranne coloro che ho già detto (lo Stato islamico, il Fronte al Nusra e gruppi simili) per una semplice ragione. Queste organizzazioni si basano su l’ideologia del terrore. Esse non sono semplicemente le organizzazioni che si ribellarono contro lo Stato come altre. No! Si nutrono di idee terroristiche. Quindi, il dialogo con loro non porterebbe a risultati reali. Non si può che combatterli e sterminarli. Non ci può essere dialogo con loro.

– Parlando di partner regionali, con  quali si è disposti a collaborare nella lotta contro i terroristi?

– Naturalmente, collaboriamo con i paesi amici, soprattutto con la Russia, l’Iran, l’Iraq che lotta contro il terrorismo come noi. Per quanto riguarda gli altri stati, siamo aperti a collaborare con chiunque abbia una forte determinazione a combattere il terrorismo. Nel caso della cosiddetta coalizione contro il terrorismo contro lo stato islamico guidata dagli Stati Uniti, non vediamo questa determinazione. La realtà è che, anche se questa coalizione ha iniziato le sue operazioni, lo Stato Islamico continua ad espandersi. Non riescono a fare qualsiasi cosa. Questa coalizione in alcun modo cambia la situazione ‘sul terreno’. Paesi come la Turchia, Qatar, Arabia Saudita e la Francia, gli Stati Uniti e altri paesi occidentali che sostengono i terroristi non possono combattere il terrorismo. Non si può essere contemporaneamente contro i terroristi e dalla loro parte. Tuttavia, se questi paesi decidono di cambiare la loro politica (e che il terrorismo è come uno scorpione, se lo metti in tasca, inevitabilmente ti morde) noi non negheremo la collaborazione, ma che sia con loro una vera e propria coalizione contro il terrorismo non sia illusoria.

– Qual è lo stato l’esercito siriano? Le forze armate del paese e prendono più di quattro anni di combattimenti. Sono spossate dalla guerra o si consolidano? Ci sono ancora riserve per rafforzare la sua attività? E un’altra domanda molto importante. Ha detto che i suoi ex nemici dell’esercito siriano hanno disertato il loro campo e stanno ora lottando nell’esercito governativo. Sono molti e quanto aiutano a combattere i gruppi radicali?

– Certo, ogni guerra è un male. Ogni guerra è distruttiva, qualsiasi guerra indebolisce la società e l’esercito in base alla ricchezza e alla forza del paese. Tuttavia, non è un fattore determinante perché tutto ha il suo lato positivo. La guerra deve consolidare la società contro il nemico e quando un paese subisce un attacco l’esercito diventa il simbolo più importante. Il popolo appoggia l’esercito, fornisce tutto il supporto necessario, comprese le risorse umane come le reclute e i volontari per difendere la patria. Allo stesso tempo, la guerra dà alle forze armate una grande esperienza nelle operazioni militari. In altre parole, ci sono sempre lati positivi e negativi. Per quanto riguarda la sua domanda, se ci sono ancora le risorse posso dire: Certo. Se l’esercito non avesse avuto le risorse sarebbe stato impossibile sopportare quattro anni una guerra estremamente difficile, soprattutto contro il nostro attuale nemico che ha le risorse umane illimitate. Combattiamo i terroristi in Siria provenienti da più di 80 o 90 paesi. Cioè, il nemico ha il sostegno di milioni di persone in diversi paesi per mandarli a combattere dalla parte dei terroristi. Per quanto riguarda i militari, le nostre risorse sono principalmente siriane. Quindi noi abbiamo le risorse che ci permettono di continuare a difendere il paese. Inoltre, resistiamo perché le risorse non sono limitati a quelle umane. C’è anche la volontà.

E ora la nostra volontà di combattere e difendere il nostro paese dai terroristi è più forte che mai. Proprio questa situazione ha colpito alcuni paramilitari, che in un primo momento hanno combattuto per qualche motivo contro lo Stato, capendo si aver sbagliato, hanno deciso di unirsi alle forze governative. Ora stanno combattendo a fianco dell’esercito. Alcuni si sono uniti alle forze armate, altri collaborano con le forze armate della Repubblica in diverse regioni della Siria.

– Signor Presidente, la Russia da 20 anni per combattere il terrorismo. Questo può assumere forme diverse, ma sembra che solo ora lo si stia affrontando faccia a faccia. Il mondo vede un nuovo modello di terrorismo. Nel territorio occupato, lo Stato islamico stabilisce tribunali, le amministrazioni. Ci sono notizie, nella quali, si annuncia a breve che stanno preparando a rilasciare la propria valuta. Cioè, alcune caratteristiche formali di uno Stato appaiono e questo può essere uno dei fattori di attrazione sempre più forte per i sostenitori di diversi paesi. Ci puà spiegare cosa stanno combattendo questi?. Si tratta di un enorme gruppo terroristico o forse un nuovo stato che cerca di cambiare radicalmente i confini della regione e del mondo in generale? Cosa è oggi lo stato islamico?

– Naturalmente, come lei ha detto, il gruppo terrorista Isis, cercare di prendere la forma di Stato per attirare nelle sue fila il maggior numero di volontari che vivono nelle illusioni del passato, sogno di creare uno stato islamico fondato sulla religione. Questo è un approccio idealista che non ha nulla a che fare con la realtà, questo è un errore. Uno Stato non può nascere dal nulla e costringere la società ad accettarlo. Lo Stato deve essere il risultato di uno sviluppo naturale della società. Non si può prendere uno stato alieno ed imporlo alla gente. Qui sorge la domanda: Il cosiddetto Stato islamico o Isis ha qualcosa in comune con il popolo siriano? Certo che no! Abbiamo gruppi terroristici, ma non definiscono il carattere della nostra società. In Russia ci sono gruppi terroristici e tantomeno riflettono la società russa, non hanno nulla a che fare con la sua diversità e il carattere onesto. Quindi, che cercano di stampare moneta, francobolli, passaporti o emettere e acquisire altri cose che concernono ad uno Stato, ciò non significa che sono uno stato. In primo luogo, non hanno nulla in comune con il popolo, in secondo luogo, le persone che vivono sotto la loro occupazione, ora scappano verso un vero stato, o verso il loro paese o territorio per combatterlo con le armi in mano. E solo una minoranza crede ancora in loro bugie. Naturalmente non sono uno Stato, ma un gruppo terroristico. Vediamo chi sono veramente. Sono la terza ondata di organizzazioni politiche create dall’Occidente per diffondere la loro ideologia velenosa. Perseguire fini politici. La prima ondata, all’inizio del secolo scorso ha portato i Fratelli Musulmani. La seconda ondata di Al Qaeda, che ha combattuto contro l’Unione Sovietica in Afghanistan. E la terza ondata è lo Stato Islamico, il Fronte Nusra e altre organizzazioni simili. Chi sono l’Isis e altri gruppi? Soono un progetto estremista dell’Occidente.

– Signor Presidente, dal momento che la crisi siriana è iniziata ci sono state più polemiche sul problema curdo. Ci sono state pesanti critiche per il suo atteggiamento nei confronti della minoranza curda. Ma ora le unità curde sono quasi diventate alleate militari in alcune operazioni contro lo stato islamico. Già hanno una posizione chiara? Chi sono i curdi per voi e cosa è lei per loro?

– In primo luogo, non è corretto dire che lo Stato svolge una determinata politica contro i curdi, perché uno stato non può preferire alcuni dei suoi cittadini: questo avrebbe diviso il paese. Se davvero avessi fatto una politica discriminatoria nella società, la maggior parte non sarebbe dalla parte del governo e il paese sarebbe stato diviso fin dall’inizio. Consideriamo i curdi parte della società siriana, non sono estranei, vivono in questa terra, come gli arabi, circassi, armeni e molte altre nazioni e fedi che vivono in Siria fin dai tempi antichi. Noi non sappiamo neanche a quando alcune di questi popoli guà erano nella regione. Ma senza queste componenti non sarebbe una società monolitica in Siria.

Tuttavia, mi chiedo se i curdi sono nostri alleati. No, sono patrioti.

Anche qui non si può generalizzare, come ogni altro elemento integrante della società siriana, i curdi sono divisi in diverse tendenze, appartengono a diverse tribù e partiti politici di destra e di sinistra, e si differenziano da altri. Cioè, se si parla di curdi nel loro complesso, non si può essere obiettivi. Alcuni partiti curdi che sollevano alcune richieste, tuttavia, non rappresentano tutti i curdi. Ci curdi che si sono adattati perfettamente alla società, e vorrei sottolineare che in questa fase non sono solo i nostri alleati, come alcuni hanno cercato di definire. Tra i nostri eroi caduti dell’esercito ci sono molti curdi. Ciò significa che i curdi vivono in armonia all’interno della nostra società. D’altra parte, alcuni partiti urdi pongono esigenze diverse, e abbiamo già soddisfatto alcune delle loro richieste all’inizio della crisi. Ma ci sono altre richieste che non hanno nulla a che fare con lo Stato e che lo Stato non può soddisfare. Questi problemi sono di competenza del popolo e della Costituzione. Per risolverle necessario che il popolo le accetti queste richieste prima di noi, come Stato, prenderemo la decisione appropriata.

In ogni caso, qualsiasi decisione da prendere sarà presa a livello nazionale. Allora io dico: ora ci siamo uniti con i curdi e gli altri membri della società per combattere i terroristi. Recentemente ho discusso la questione: è nostro dovere unirci per resistere allo Stato islamico. Una volta che avremo finito con lo Stato islamico, il Fronte Al-Nusra e altri gruppi terroristici, possiamo parlare delle richieste dei curdi e di alcuni partiti curdi nel consesso nazionale.

Quindi, qui non c’è nessun tema proibito, ma si affronta  nel rispetto dell’unità. del popolo e dei confini di Stato siriani e che si sviluppi in linea con lo spirito della lotta contro il terrorismo e nella libertà della diversità etnica, nazionale, religiosa e confessionale del nostro paese.

– Signor Presidente, lei ha in parte risposto a questa domanda, però, mi piacerebbe approfondire. Alcune forze curde in Siria richiedono, ad esempio, per cambiare la Costituzione, di introdurre un comando locale per la creazione di uno stato curdo indipendente nei territori settentrionali. Oggi tali dichiarazioni si sentono, in particolare quando i curdi con successo lottano contro lo Stato islamico. Lei è d’accordo con queste affermazioni? Potrebbe prendere in considerazione questa cosa, i curdi magari si aspettano un tale tipo di gratitudine? Nel complesso, si uò parlare di questo?

– Quando difendiamo il nostro paese non ci aspettiamo ringraziamenti perché è un dovere naturale. Se qualcuno merita di essere ringraziato, allora bisogna farlo con ogni cittadino siriano che difende la sua patria. Ma credo che difendere la patria è un dovere. Quando fate il vostro dovere, non ti aspetti un grazie. Tuttavia, la questione che lei ha citato all’inizio è strettamente legata alla costituzione siriana. Se, per esempio, si desidera modificare il sistema costituzionale nel vostro paese, in Russia, in merito a questioni  territoriali-amministrative o la concessione ad alcune regioni di poteri diversi rispetto ad altre, non compete al presidente o al governo, ma alla Costituzione. Il presidente non è il proprietario della Costituzione, così come il governo. La Costituzione appartiene al popolo. Di conseguenza, qualsiasi modifica alla Costituzione richiede un dialogo nazionale. Come ho già detto, lo Stato siriano non si oppone a qualsiasi tipo di richiesta, purché queste non minaccino l’integrità della Siria, la libertà dei cittadini e la diversità nazionale. Se una delle parti, gruppo o livello della società hanno qualche richiesta, queste devono essere sempre all’interno dei contesti nazionali, e nel dialogo con le altre forze siriane. Quando il popolo siriano accetta di prendere queste misure, relative alla federalizzazione, decentralizzazione, introduzione del controllo autonomo o una revisione completa del sistema politico, allora ciò richiederà un consenso comune su ulteriori modifiche alla Costituzione e la realizzazione di un referendum. Pertanto, questi gruppi devono convincere il popolo siriano nella discussione delle loro proposte, come i loro sforzi non dovrebbero essere un dialogo con lo Stato, ma con le persone. Da parte nostra, quando il popolo siriano decide di andare avanti in una particolare direzione, noi ovviamente accettiamo.

– Oltre un anno fa e gli attacchi aerei della coalizione USA effettuate nel territorio della Siria, agendo sulle stesse postazioni dell’aeronautica militare siriana contro l’Isis. Nonostante questo, non c’è stato alcun scontro tra la coalizione guidata dagli Stati Uniti e la Syrian Arab Air Force. C’è un coordinamento diretto o indiretto tra il governo siriano e la coalizione nella guerra contro lo Stato islamico?

– Sarete sorpresi, ma la risposta è no. Capisco che non suona convincente; combattiamo, se così si può dire, contro un nemico comune. Attacchiamo gli stessi obiettivi e gli stessi luoghi, senza alcun coordinamento, e non ci siamo imbattuti in uno con l’altro. Può sembrare strano, ma è vero. Tra il governo, l’esercito siriano e gli Stati Uniti non vi è alcun coordinamento o  contatto. E perché non vogliono ammettere o accettare il fatto che siamo l’unica forza che lotta contro lo stato islamico a terra. Dal loro punto di vista, forse, la cooperazione con l’esercito siriano avrebbe ammesso la nostra efficacia nell’affrontare lo stato islamico. Purtroppo, questo atteggiamento riflette la miopia e l’ostinazione del governo degli Stati Uniti.

– Quindi non c’è nemmeno un accenno di cooperazione? Ad esempio, per i curdi? Dico questo perché, come sappiamo, gli Stati Uniti collaborano con i curdi; e i curdi, nel frattempo, hanno contatto con lo Stato siriano. Questo significa che non vi è alcun coordinamento indiretta?

– Vi è una terza parte, non gli iracheni. In passato abbiamo avvertito dagli iracheni prima di ogni attacco. Da allora non li abbiamo contattati, non abbiamo scambiato messaggi tramite altri ambiti.

– Allontanandosi un po’ di questo tema: lei ha vissuto in Occidente e per un tempo è stato associato con altri leader occidentali che dall’inizio della crisi continuano a sostenere i gruppi armati che cercano di rovesciarla. Come vi sentireste se si dovesse lavorare con quegli stessi leader e dare loro una mano? Vi fidereste di loro?

– In primo luogo, non vi è un rapporto personale, ma un rapporto interstatale. Quando si parla di relazioni tra i paesi, si parla di certi meccanismi, non attendibili. La fiducia è qualcosa di personale, qualcosa che non può essere contato nelle relazioni politiche tra le persone. Io sono responsabile di 23 milioni di persone in Siria, e un altro, per esempio, è responsabile di decine di milioni di persone in un altro paese. Non è possibile decidere il destino di decine o centinaia di milioni di persone che pendono dalla fiducia tra due persone. Ci deve essere un meccanismo. Quando questo esiste, allora si può parlare di fiducia. In secondo luogo, è il compito principale di qualsiasi politica, stato, primo ministro o presidente sta lavorando per il bene dei suoi cittadini e del paese. Se un incontro e la stretta di mano con qualcuno possono beneficiare il popolo siriano, sono obbligato a farlo, mi piace o no. Non parliamo di me, se posso o non voglio. Abbiamo parlato dei benefici che possono portare le decisioni che si prenderanno. Quindi sì, siamo disposti a fare tutto ciò che può beneficiare il popolo siriano.

– Parliamo di coalizioni per la lotta contro il terrorismo e lo stato islamico. Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha chiesto la creazione di una coalizione regionale per la lotta contro lo Stato Islamico, e forse le ultime visite di alcuni delegati arabi a Mosca sono state effettuate in questo ambito. Tuttavia, il ministro degli Esteri siriano Walid al Mualem ha detto che per questo è necessario un miracolo. Si riferisce, come Damasco, sl coordinamento nel campo della sicurezza con i governi di Giordania, Turchia e Arabia Saudita. Come vede questo tipo di coalizione? Pensi di poter dare risultati? Come già accennato in precedenza, ogni rapporto dipende dalla interessi. Siete disposti a coordinare le proprie azioni con questi paesi? È vero che ci sono stati incontri tra funzionari siriani e sauditi, come riportato dai media?

– Per quanto riguarda la lotta contro il terrorismo è un tema globale e ambizioso, con aspetti culturali, economici e militari, che è direttamente collegato alla sicurezza. Naturalmente, in termini di misure di prevenzione, tutti gli altri aspetti sono più importanti  come le questioni di sicurezza e militari. Oggi, tuttavia, data la realtà della lotta contro il terrorismo, soprattutto quando ci troviamo di fronte non solo ai gruppi armati specifici, ma davanti ad un esercito terrorista che ha armi pesanti e miliardi di dollari per reclutare più membri, si dovrebbe prestare attenzione prima alle questioni della sicurezza e militari.

Quindi per noi è chiaro che la coalizione dovrebbe agire in diverse direzioni, ma soprattutto deve combattere i terroristi sul campo di battaglia ‘. È logico che questa coalizione dovrebbe essere creata per i paesi che credono nella lotta contro il terrorismo. Nella situazione attuale è possibile che la stessa persona sostiene il terrorismo e lo combatte. Questo fanno paesi come la Turchia, Giordania e Arabia Saudita. Destinato ad essere parte del funzionamento della coalizione antiterrorismo nel nord della Siria, ma sostenengono anche il terrorismo nel sud, nord e nord-ovest. In sostanza nelle stesse aree in cui c’è la lotta al terrorismo. Sottolineo ancora una volta: se questi paesi decidono di tornare ad un atteggiamento giusto, si cambia idea e si decide di combattere il terrorismo per il bene comune, allora naturalmente lo accetteremo e collaboraremo con loro e gli altri Stati membri. I rapporti politici cambiano di frequente; Possono essere cattivi e diventare buoni, o un nemico può diventare il vostro alleato. Questo è normale. Chiunque sia, noi collaboriamo con lui nella lotta contro il terrorismo.

– Signor Presidente, è attualmente in corso un vasto movimento di rifugiati. In gran parte questi rifugiati provengono dalla Siria e si dirigono verso l’Europa. C’è l’idea che queste persone sono praticamente sono state danneggiati dal governo siriano, che non è riuscito a proteggere loro, e sono stati costretti a fuggire dalle loro case. Mi dica, per favore, come considera  queste persone che sono fuggite in Siria? Li vede come parte di un potenziale elettorato siriano in futuro? E ancora una domanda: Quale parte di responsabilità ha l’Europa in questo deflusso di rifugiati che si svolgono in questo momento? Secondo lei, è l’Europa colpevole per questo?

– Chiunque lasci la Siria, senza dubbio, è una perdita per il paese, indipendentemente dalla loro ideologia o possibilità. Naturalmente, esclusi i terroristi. Cioè, sto parlando di tutti i cittadini a meno che i terroristi. Quindi per noi, questo l’emigrazione è una grande perdita. Mi ha chiesto delle elezioni. L’anno scorso ci sono stati le elezioni presidenziali in Siria. Nei paesi vicini, e il Libano prima, ci sono stati molti rifugiati. Se dobbiamo credere alla propaganda dei media occidentali, tutti fuggirono dal governo siriano che perseguitato e ucciso. Essi sono stati presentati come se fossero nemici del governo. Ecco quindi lo stupore di come gli occidentali  si sono stupiti quando hanno visto i siriani esprimere il loro voto per il presidente che li stava presumibilmente uccidendo. Questo è stato un duro colpo per la propaganda. Con l’organizzazione del voto all’estero, sono stati dati determinate condizioni. Era necessario avere un’ambasciata. Il governo siriano dovrebbe controllare le operazioni di voto. Tutto questo dipende dai rapporti con l’estero. Molti Stati membri avevano rotto le relazioni diplomatiche con la Siria e avevano chiuso le nostre ambasciate nel loro territorio. In questi stati non è stato possibile procedere alla votazione, e si è reso necessario per i cittadini di andare in un altro paese, se ci fossero seggi elettorali. Questo è quello che è successo l’anno scorso. Per quanto riguarda l’Europa, ovviamente colpevole.

Ora l’Europa sta cercando di mostrare i fatti come se la sua unica colpa fosse di non aver messo i mezzi o, in mancanza di garantire un’immigrazione organizzata, perché i profughi annegati nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Ci scusiamo per tutte le vittime innocenti, ma  la vita di coloro che annega in mare è più prezioso di coloro che muoiono in Siria? Perché deve essere la più preziosa di quelli che muoiono macellati per mano dei terroristiche sostenete? Come ci si può commuovere per il bambino che è morto in mare e  non notare le migliaia di bambini, anziani, donne e uomini che sono diventati vittime di terroristi in Siria? Questa vergognosa doppia morale degli europei è diventato evidente a tutti e non è più accettata. È Illogico dispiacersi per alcune delle vittime e tutte le altre si ignorano. Non vi è alcuna differenza sostanziale tra di loro. L’Europa, naturalmente, è responsabile nella misura in cui essa ha sostenuto e continua a sostenere e finanziare il terrorismo. L’Europa qualifica ‘opposizione moderata’ i terroristi e li distingue tra di loro. Ma sono tutti estremisti.

– Se posso, mi piacerebbe tornare alla domanda sul futuro politico della Siria. Signor Presidente, i vostri avversari (e come comprendere sia coloro che si oppongono al potere con le armi in mano, come i suoi avversari politici) continuano a insistere che una delle condizioni più importanti per il raggiungimento della pace è il suo ritiro dalla  politica e le sue dimissioni da presidente. Cosa ne pensi di questa cosa non solo come capo del governo, ma anche come cittadino del suo paese? Sei teoricamente disposto a lasciare se sente che è necessario?

– Vorrei aggiungere qualcosa a quello che hai detto, a partire dall’inizio della campagna di informazione che è stato diretta dall’occidente per convincere che l’intero problema è nella persona del presidente. E perché mai? Perché volevano dare l’impressione che il problema siriano è ridotto ad un individuo. Di conseguenza, la reazione naturale delle persone contro questa propaganda è ipotizza che l’intera questione è una questione di una persona, in qualsiasi modo questo può essere al di sopra degli interessi nazionali e dovrebbe lasciare, e in questo caso, tutto può essere risolto. Questo è il modo in cui semplifica l’Occidente. Tuttavia, ciò che effettivamente accade in Siria è simile a quello che sta accadendo in tutta la regione.

Guardate quello che è successo nei media occidentali all’inizio dei moti in Ucraina: per loro, il presidente Putin è passato da amico a nemico dell’Occidente, uno zar, un dittatore che reprime l’opposizione russa, che è salito al potere con metodi non democratici, non importa chi sia stato eletto in elezioni democratiche, deve essere accettato dall’Occidente. Oggi, per loro, questo non è più una democrazia. Ecco le informazioni della campagna occidentale.

Si dice che quando il presidente va, le cose andranno meglio, ma di fatto, che cosa significa? Per l’Occidente significa che mentre il presidente resta loro continueranno a sostenere il terrorismo, perché è diventato di priorità dei leader dei cosiddetti il cambiamento dei “regimi” della Siria, Russia e altri paesi. Ed è che l’Occidente non supporta partner o Stati sovrani. A che si riducono le loro aspirazioni nei confronti della Russia? E la Siria? E l’Iran? Sono stati sovrani. Vorrebbero rimuovere una persona e mettere  in atto un altro che faccia l’interesse dell’Occidente, non nella loro stessa patria. Per quanto riguarda il presidente, sono salito al potere con il consenso del popolo, attraverso un processo elettorale, e se deve andare via, lo fa su richiesta del suo popolo, e non per la decisione degli Stati Uniti, o del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o della Conferenza di Ginevra. Se la gente vuole che io resti, il presidente resterà, e se non vorrà, dovrà andare via senza indugio. Questa è la mia posizione sulla sua domanda.

– Presidente, il conflitto durato da più di quattro anni. Probabilmente spesso ha analizzato quello che è successo e guarda al passato. C’è qualcosa che rimpiange e che cambierebbe se potesse tornare indietro nel tempo?

– Qualsiasi governo fa errori. Succede tutti i giorni probabilmente. Ma questi errori non sono fatali, ma piuttosto un problema di tutti i giorni. Quali errori hanno portato alla guerra in Siria? Non sembra logico. Si può essere sorpresi quando le dico di eventi precedenti alla crisi siriana, quello più importante è stato la guerra del 2003 in Iraq, quando il paese è stato invaso da EE. UU. Eravamo totalmente contro questa aggressione, e abbiamo capito che a causa di questa guerra l’Iraq sarebbe stato diviso in fazioni settarie. A ovest abbiamo il Libano, un paese diviso da fedi diverse. E abbiamo capito perfettamente che questo ci avrebbe condizionato. Pertanto, l’origine di questa crisi sta in quella guerra, che divise l’Iraq lungo identità religiose; qualcosa che è in parte manifesta nella situazione in Siria e che ha reso più facile il compito di istigare discorsi violenti tra le diverse fedi in Siria.

Inoltre, anche se non così decisiva come in precedenza, un altro evento importante è stato il sostegno ufficiale che l’Occidente ha dato ai terroristi in Afghanistan, nei primi anni ’80, definendoli “combattenti per la libertà”. Più tardi, nel 2006, in Iraq, tutelato dagli USA è venuto fuori lo Stato islamico, che Washington non combatte affatto. Tutti questi fattori, presi insieme, hanno creato le condizioni per l’insorgenza di disturbi, con il sostegno dell’Occidente, degli stati del Golfo finanziati, in particolare il Qatar e l’Arabia Saudita, il supporto logistico della Turchia, soprattutto se si considera che Erdogan ideologicamente appartiene alla organizzazione dei Fratelli Musulmani e, di conseguenza, ritiene che un cambiamento della situazione in Siria, l’Egitto e l’Iraq significherà la creazione di una nuova Sultanato, non ottomano, ma appartenente alla Fratellanza Musulmana. Tutti questi fattori hanno portato la situazione al punto in cui siamo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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Palmyra: l’Occidente ha armato la mano degli assassini

Riceviamo e pubblichiamo

Dopo l’ennesimo indicibile orrore, l’esecuzione a Palmyra dell’82enne archeologo siriano Khaled al Asaad, per mano dei terroristi del sedicente Stato islamico, in Occidente è una corsa da parte di tutti – governi, giornalisti, politici – a fregiarsi della sua memoria.  Strumentalizzando la sua morte. Ad esempio il martire sarà commemorato alle feste del Pd, ha comunicato il premier Renzi.

Peccato che molte delle organizzazioni e persone che ora si dichiarano commosse e indignate, in testa a tutti il Pd, da anni sostengano in vario modo la guerra in Siria e nel 2011 abbiano appoggiato la guerra Nato in Libia. A questi smemorati va ricordato quanto segue:

-Il sedicente Stato islamico (nato in Iraq dopo il 2003 grazie alla guerra di Bush) è cresciuto perché in Libia la Nato (Italia compresa) è stata la forza aerea delle milizie terroriste e razziste che hanno distrutto il paese e poi sono dilagate in Africa subsahariana e in Siria;

– In Siria lo Stato islamico è cresciuto (espandendosi dal 2014 anche in Iraq) con l’arrivo di combattenti stranieri grazie al 
flusso di aiuti materiali e all’appoggio politico dei paesi della Nato e delle petro-monarchie del Golfo, uniti nel cosiddetto gruppo di “Amici della Siria” (ora “Gruppo di Londra”), a vantaggio dei vari gruppi armati di opposizione. Questo ha alimentato – anche a colpi di propaganda e menzogne – una guerra che ha ucciso la Siria. E ha boicottato la pace.

-Eppure già dal 2012, come dimostrano documenti Usa desecretati e come tutti sapevano, l’opposizione armata era dominata da gruppi che miravano alla formazione di un califfato in Siria.

-Gli aiuti Nato/Golfo all’opposizione armata sono aiuti a gruppi estremisti, perché sono evidenti le porte girevoli fra le diverse formazioni, che sul campo o si alleano o cedono armi e uomini ai più forti. Il cosiddetto Esercito siriano libero è un guscio vuoto.

-L’appoggio a estremisti presenti o futuri continua: Usa e Turchia sono impegnati nel programma di addestramento e fornitura militare alla “Nuova forza siriana” (i cui adepti poi rifiutano di combattere contro l’Isis o si arrendono ad Al Nusra); Arabia saudita e Qatar continuano nell’appoggio finanziario perché la guerra vada avanti.

-L’Italia sta zitta. Pochi giorni fa il ministro Gentiloni ha accolto l’omologo saudita, impegnato anche a distruggere lo Yemen con la connivenza internazionale.
Lettera firmata da
Marinella Correggia, Torri in Sabina
Paolo D’Arpini, Treja

Assad denuncia l’ipocrisia occidentale nella lotta al terrorismo

da hispantv

Il presidente siriano Bashar al-Assad, oggi, ha denunciato le menzogne ​​e l’ipocrisia dell’Occidente, affermando che le superpotenze stanno combattendo un “mostro” creato da loro stessi.

Nel suo discorso ai funzionari siriani provenienti da diversi settori, ha sottolineato come l’Occidente sia diventato lo sponsor principale ed esportatore di terrorismo nel mondo, per imporre i suoi disegni ai popoli e servire i propri interessi.

Dopo aver denunciato il sostegno multilaterale dei paesi occidentali al terrorismo, ha aggiunto che questo fenomeno non ha limiti e ha ricordato che il governo di Damasco aveva ripetutamente messo in guardia contro i pericoli che comporterebbe una sua crescita nel Medio Oriente.

A questo proposito, Assad ha osservato che la lotta al terrorismo sarà fruttuosa solo se le richieste delle nazioni e i loro diritti siano rispettati.

Evidenziando che il governo siriano “sostiene una soluzione politica” per risolvere la crisi nel paese, Al Asad ha ricordato la presenza al tavolo del dialogo con i cosiddetti gruppi di opposizione siriana, precisando che « il sangue del popolo siriano è ancora più importante, la Siria è disposta a porre fine alla crisi nel più breve tempo possibile».

Il presidente ha ribadito che la guerra che affligge la Siria da più di 4 anni, è una “guerra imposta” contro il paese; La Siria non ha mai voluto la guerra, ma «se ce l’hanno imposta, l’esercito siriano resisterà su tutti i fronti».

«La nostra lotta ha due schieramenti, da un lato c’è il popolo siriano e dall’altro i terroristi provenienti da diversi paesi del mondo», ha dichiarato, per  poi parlare della guerra mediatica imposta contro il paese arabo per diffondere menzogne ​​sulla “divisione della Siria”‘.

Dopo aver affermato che non vi può essere alcun collegamento tra terrorismo e una soluzione politica, al-Asad ha affermato che «dobbiamo sconfiggere il terrorismo, se vogliamo iniziare un dialogo in Siria (…) Non c’è altra scelta che combattere e vincere».

La priorità del governo di Damasco, ha precisato, è quella di raggiungere la liberazione totale di tutte le regioni controllate dai gruppi terroristici, e l’esercito siriano ha la capacità per farlo.

Egli ha sottolineato che il ritiro e il fallimento non hanno posto nella logica dell’esercito siriano, e le forze militari del paese in lotta per l’unità della nazione.

Assad ha ringraziato l’Iran e Hezbollah per essere accanto al popolo siriano nella lotta contro i gruppi terroristici (…). «Il paese fratello Iran ci ha fornito esperienze militari e i nostri fratelli della resistenza hanno combattuto con noi».

Egli ha sottolineato che l’Iran e il Movimento di Resistenza Islamica in Libano (Hezbollah) hanno fornito alla Siria di quanto necessario per combattere il terrorismo; mentre ha preso atto delle iniziative proposte dalla Russia per porre fine alla violenza nel loro paese e anche il sostegno della Cina in questo senso.

Per quanto riguarda la conclusione dei colloqui sul nucleare Teheran-Gruppo 5 + 1, ha spiegato che «l’Iran ha ottenuto un grande successo (…) grazie all’unità e alla solidarietà del suo popolo».

Secondo Al-Asad, anche se l’Iran ha subito per tre decenni diversi tipi di sanzioni e otto anni di guerra che ha distrutto le sue infrastrutture, è al primo posto nella produzione industriale tra i paesi islamici.

«Siamo in una fase decisiva e mai faremo passi indietro sui nostri diritti. Vencereremo e difenderemo i nostri diritti. Oggi il mondo sta cambiando e qualsiasi paese che riesce a difendere i suoi diritti sarà il vincitore. I paesi che lottano per i loro diritti sono rispettati, e senza dubbio raccoglieranno la vittoria, e l’Iran è il migliore esempio in questo senso», ha concluso.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

L’Algeria ribadisce il rifiuto alle basi straniere sul suo territorio

da al manar

Per bocca del suo ministro per gli Affari del Maghreb, dell’Unione africana e della Lega araba, Abdelkader Messahel, intervenuto alla vigilia dell’apertura della Conferenza internazionale sulla lotta contro l’estremismo, l’Algeria ha ribadito il suo rifiuto a qualsiasi base straniera sul suo suolo.

Per giustificare una tale posizione, Messahel ha usato un linguaggio diplomatico abbastanza rilevante. Egli ha sostenuto che uno “stato capace” non ha bisogno di basi straniere per combattere la minaccia terroristica, sapendo che le potenze straniere che vogliono stabilire basi militari in Nord Africa in genere utilizzano il pericolo del terrorismo per giustificare la loro richiesta.

Messahel ha affermato per l’ennensima che lo Stato algerino ha tutte le capacità per affrontare la minaccia del terrorismo ai suoi confini e nel suo territorio, ma è stato un modo intelligente per ingraziare alcune potenze straniere interessate a installare  le basi militari.

La posizione algerina così come è stata esposta da Messahel aiuta a respingere le pressioni, che stanno aumentando ultimamente, per stabilire basi straniere sul territorio nazionale, evitando che il rifiuto algerino venisse interpretato come un segno di ostilità nei confronti di questi stessi paesi la cui facoltà di nuocere non deve essere mai trascurata.

Il richiamo della posizione algerino su questa delicata questione da parte del Ministro Messahel è quello di mantenere i contatti con l’ultimo punto di un altro alto funzionario algerino. Infatti, come parte della sua ultima apparizione mediatica, Ahmed Ouyahia, come segretario generale della RND (un partito politico algerino) e capo di Gabinetto della Presidenza della Repubblica ha chiaramente ribadito i motivi che potrebbero spiegare le sfide Algeria nella attuale situazione regionale e internazionale.

Ouyahia ha ricordato, in particolare, il fatto che l’Algeria si rifiuta di inviare il suo esercito in guerra al di fuori dei suoi confini (in Libia e Medio Oriente) e per il fatto che, oltre alla Siria (si sa cosa è accaduto) l’Algeria è l’unico paese arabo a rimanere in piedi a fianco del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana. Ouyahia è giunto al punto di dichiarare che l’Algeria giuridicamente è ancora in guerra contro Israele.

Gli osservatori diplomatici non esitano a mettersi in relazione queste posizioni ufficiali dell’Algeria contro l’interventismo delle grandi potenze nella regione e le pressione ricevute, compresa la forma di azioni di destabilizzazione per minare la pace civile e l’unità nazionale, come è accaduto di recente nel wilaya di Ghardaia.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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