(FOTO) Haiti brucia

di Roberto Vallepiano 

Vi ricordate quando ci fu il terribile terremoto che devastò Haiti?
Cuba mandò centinaia di medici, gli USA migliaia di soldati.

Ad Haiti, da diversi giorni, è in corso una vera e propria insurrezione popolare contro il corrotto governo liberista sul libro paga degli Stati Uniti. Una lotta di popolo che ha già lasciato decine di vittime sull’asfalto.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono stati gli aiuti economici e umanitari che il Venezuela di Nicolas Maduro ha inviato al martoriato popolo haitiano. Invece che essere consegnati alla popolazione sono finiti nelle tasche dei governanti filoUSA.

Ne avete sentito parlare? No, i mass media occidentali oscurano volutamente le vere rivoluzioni anticolonialiste e antimperialiste per concentrarsi ossessivamente sulle “rivolte colorate”, vere e proprie destabilizzazioni golpiste sponsorizzate dalla CIA come in Venezuela.

Emblematico anche l’assoluto silenzio da parte della sinistra boldriniana: evidentemente i neri interessano soltanto nel ruolo di vittime o di schiavi, ma se si ribellano e lottano scompaiono subito dai radar.

Ad Haiti i manifestanti sono scesi in piazza bruciando le bandiere a stelle e strisce, chiedendo aiuto e sostegno alla Russia di Putin, alla Cina, a Cuba e al Venezuela.

Il leader della lotta, Bronson, ha definito il Presidente Moise e l’ex capo di stato Martelly dei tirapiedi di Washington: “Vogliamo sancire la definitiva rottura con gli USA, non ne possiamo più dell’occupazione americana”.
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Le molte facce del Brasile

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di Immanuel Wallerstein – jornada.unam.mx

Il Brasile è una potenza mondiale importante – in termini di grandezza, densità di popolazione e influenza -. Nonostante ciò, per molti versi è la combinazione di una così variegata e contraddittoria sfaccettatura che a chiunque è difficile, compresi gli stessi brasiliani, sapere in che modo definire le caratteristiche del Brasile come nazione e come forza all’interno del sistema–mondo.

In questo momento il volto più importante del Brasile è quello di Lula (Luiz Inácio Lula da Silva) e del suo partito, il Partido dos Trabalhadores (PT). Dopo tre infruttuose corse verso la presidenza, Lula vinse finalmente nel 2002. L’elezione di un leader sindacale di umili origini a ricoprire la carica di presidente rappresentò, almeno, la penetrazione sociale di una persona e di un partito che aveva sfidato le gerarchie sociali incuneate nel sistema politico.

Lula e il PT essenzialmente avevano promesso due cose. La prima fu di elevare significativamente il reddito reale dei settori più poveri del paese. E ci riuscì mediante il programma Fome Zero (Fame Zero ). Questo programma si contemperò a una serie di programmi federali di assistenza destinati all’eliminazione della fame in Brasile. Annoverava la Bolsa Familia (La Canasta Familiare), l’accesso a un credito ed era previsto anche l’aumento del salario minimo.

La seconda promessa è stata il rifiuto delle politiche neoliberali dei suoi predecessori e l’adempimento degli impegni presi dai governi precedenti verso il Fondo Monetario Internazionale.

Ma Lula, quasi all’improvviso, cambiò d’atteggiamento. Nominò come ministro delle Finanze e come presidente della banca Centrale a due persone precisamente impegnate con le politiche neoliberali e, in modo particolare, mantenere la promessa fatta al FMI di conservare un certo surplus primario delle entrate, che consiste nella conservazione di una porzione delle entrate statali che di solito s’impiegano nella spesa pubblica. Questo tipo di politica macroeconomica riduce i fondi disponibili per gli investimenti sociali. Il suo vanto è di rendere stabili i governi ed evitare l’inflazione. Il FMI pretese dal Brasile che serbasse un surplus del 4,25%. Sotto il mandato di Lula, il surplus aumentò a un livello mai visto prima, cioè del 4,5%.

Le politiche miste di Lula coesistevano all’interno della particolare cultura politica del Brasile, paese con un enorme numero di partiti politici, nessuno dei quali eccede la quarta parte dei seggi in Parlamento. La cultura politica del Brasile considera quasi normale che gli individui, compresi i partiti politici, effettuino con molta frequenza dei mutamenti d’indirizzo secondo le alleanze. Semplicemente vanno alla ricerca di potere e denaro. Una delle forme in cui Lula e il suo partito si sono mantenuti sulla cresta dell’onda, è stata quella del mensalão (i mensili pagati ai membri della legislatura). È molto probabile che il livello di corruzione del Brasile non sia realmente maggiore di quello della maggioranza degli altri paesi, ma i rapidi cambiamenti che si sono verificati durante le alleanze legislative l’hanno reso molto visibile.

Poi viene il Brasile come forza geopolitica, il Brasile del BRICS – gruppo di cinque economie soprannominate emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), la cui forza si basa nella capacità di poter rialzare i prezzi mondiali dei prodotti basici d’esportazione. All’improvviso ci fu nuova ricchezza in Brasile (come in altri paesi del BRICS), fino a quando non collassò il prezzo delle merci basiche. Da un punto di vista economico si ha l’impressione che, così come la ricchezza è arrivata in maniera facile, altrettanto se n’è andata.

Tuttavia il BRICS è stato un ulteriore tentativo d’incremento dell’accumulazione di capitale. È stato un tentativo per affermare la loro forza geopolitica. Anche sotto quest’aspetto si sono verificate delle inconsistenze. Da una parte il Brasile è diventato la principale forza che ha fatto l’intento di costruire (nel primo decennio del XXI secolo) un’unità dell’America Latina e dei Caraibi, indipendenti dagli Stati Uniti e dalle strutture da essi create per controllare il subcontinente. Il Brasile è stato il paese che ha capeggiato la creazione dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) e riuscire a far convivere al suo interno paesi antitetici tra di loro come il Venezuela di Hugo Chávez e la Colombia di Juan Manuel Santos.

Il Brasile, che è stato campione dell’autonomia dell’America Latina, è stato anche il paese che ha cercato in mille modi d’imporsi verso i suoi vicini, soprattutto verso l’Argentina. È stato anche il Brasile che ha voluto istituire un gruppo lusofono che affinché lavorasse per i suoi interessi economici. È stato anche il paese i cui vincoli ravvicinati con la Cina (attraverso il BRICS) non s’inserivano in una struttura tra uguali geopolitici.

Oggigiorno tutte queste diverse forme del Brasile si muovono verso implosioni interne. Il successore di Lula alla presidenza, Dilma Rousseff, l’anno scorso ha avuto un catastrofico calo di popolarità. Anche Lula ha perso qualcosa del suo atteggiamento, una volta intoccabile. Il regime è minacciato dal processo alla Rousseff. Circolano voci che l’esercito stia prendendo in considerazione un eventuale colpo di Stato. La negazione di tale possibilità da parte del capo delle forze armate sembra già di per sé una quasi conferma di queste voci.

Tuttavia, non si vede una chiara alternativa, il che rende il processo e il colpo militare come qualcosa di poco probabile. Il fatto che si dichiari che esistono molti Brasile è qualcosa che si può asserire per tanti altri paesi, forse per quasi tutti. Ma in qualche forma ciò può sembrare più evidente nel caso del Brasile. Sarà davvero audace l’analista che riuscirà a predire come sarà il Brasile del 2016 o del 2017. Tuttavia, anche se i dettagli precisi sono imprescindibili, le forze del Brasile possono continuare a fare di questo paese un locus chiave del potere mondiale.

 [Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]

Chávez: impetuoso fiume di energia per lottare mille anni

di Nathali Gómez

da www.avn.info

Caracas, 27 luglio. AVN.- In una notte di pioggia a Sabaneta de Barinas, in una umile casa di palma con il pavimento di terra battuta, nel bel mezzo dell’acquazzone, nacque il figlio che partorì la Patria, il gigante dalle cui mani sgorgò una pioggia di vita che colmò di vigore e speranza i popoli del mondo sprofondati nelle tenebre e nell’aridità.

Quando Hugo Chávez parlava della sua nascita, l’alba del 28 luglio 1954, si riferiva a quella pioggia. «Sarà che per questa ragione mi piace tanto l’acqua… per me un fiume è una magia», affermava in un’occasione mentre conversava con sua madre Elena sul ricordo di quella notte sabanera.

La portata di quella magia lo avvolgeva e sempre l’ha accompagnato. Fiumi di sguardi, di braccia, di sorrisi, di lacrime e di cuori che fluivano quasi senza alcun controllo in ogni luogo dove arrivava. La sorgente di quella corrente rivoluzionaria che Chávez ha generato si trovava in Venezuela, ma è andata crescendo e si è fatta sempre più copiosa fino a esondare con la sua forza nei diversi paesi dell’America latina e dei Caraibi.

Il giubilo con il quale il popolo haitiano ricevette il leader bolivariano, tra i salti e le urla di “Viva Chávez”, quel 12 marzo 2007 sconvolse anche lo stesso presidente venezuelano, il quale tre anni più tardi, davanti all’Assemblea Nazionale, nella sua relazione ricordò quella visita: «Quel popolo riversato per la strada con un’allegria, con una speranza, con una magia, con quella miseria».

La moltitudine euforica accompagnò il loro amico Chávez dalla discesa dall’aereo fino alla fine del percorso, circa quarantacinque minuti dopo, a Porto Principe. Era tanta la magia che sprigionava da quella portata debordante di folla che il presidente venezuelano decise di scendere dalla macchina che lo trasportava e cominciò a trottare, gomito a gomito, con il popolo haitiano.

«Come sempre c’è la massa del popolo e io mi tuffo su di essa, la stringo in un abbraccio, sudo con essa, piango con essa e mi ritrovo. Perché è lì che si vede il dramma, è lì che alberga il dolore, e io voglio sentire quel dolore, perché solo quel dolore, unito all’amore che uno sente, ci darà le forze necessarie per lottare mille anni…» racconta lo stesso Chávez in una delle storie raccolte nel libro Cuentos del arañero.

Quando apparve il comandante Chávez, la prima cosa che affermammo fu: «Finalmente Haiti avrà nel mondo un vero amico sul quale contare. Grazie a lui noi stiamo sopravvivendo. Lui ha cambiato il nostro modo di vivere e ci ha fatto provare il piacere della vita. Lo consideriamo come il nostro salvatore», ha affermato Jean Dorisca, haitiano appartenente al Club degli Amici di Cuba di Léogâne, il quale ha partecipato al IV Incontro di Solidarietà con Cuba che si è tenuto recentemente nella città di Caracas.

Quando Jean afferma che ora «Haiti è un’altra Haiti», si riferisce alla cooperazione e alla solidarietà, incoraggiata dal Venezuela, che esiste tra il suo paese e i popoli dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) e Petrocaribe.

Per le strade di Porto Principe, devastate dal terremoto del 12 gennaio 2010, si edificano strutture abitative e socio-produttive con l’appoggio del governo venezuelano. Inoltre, mediante Petrocaribe-Alba si è incrementata la produzione di energia elettrica e Jean fa anche riferimento ai suoi compatrioti che studiano Medicina Integrale Comunitaria in Venezuela.

Quando parla della Rivoluzione bolivariana come alternativa per i popoli della regione, Jean sostiene: «Il mondo capitalista porta con se la morte, la povertà, la fame. Una vita vissuta nella sua pienezza è possibile solo nel socialismo, perché uno può parlare di condivisione e non di quello che avanza, ma di quello che possiede. Cuba e il Venezuela non si limitano a dare l’eccedente, danno quello che hanno».

Chávez del popolo

«Del presidente Hugo Chávez uno ricorda sempre quel sorriso che lo caratterizzava. Quando siamo arrivati nella baraccopoli, avevo la sensazione di averlo conosciuto da sempre. E in quel posto ho potuto osservare l’amore del popolo, la devozione con la quale lo salutavano, una devozione molto intima, amica, compagna, militante, complice di molte strade percorse», ha scritto la giornalista argentina Stella Calloni in un articolo che ha intitolato “Quando il popolo si sveglia”, pubblicato nel mese di marzo di quest’anno.

Ciononostante quelle acque tumultuose e colme di amore non solo straripavano sulle terre venezuelane. La portata del corso d’acqua Chávez si rovesciò in ciascuno dei paesi in cui è stato. Ogni visita era accompagnata da un popolo vivo che lo riconosceva come leader regionale, ma anche come un caro amico al quale si poteva stringere la mano, toccarlo, baciarlo, abbracciarlo e condividere la sua fatica.

«Sento un grande piacere quando la gente non si rivolge a me chiamandomi presidente, ma Chávez. All’improvviso mi chiedono: “Come va Chávez?”. Così me lo chiedono e io rispondo nella stessa maniera, come quando qualcuno mi chiamava urlando da un estremo a un altro nei llanos [pianura dell’entroterra venezuelano, NdT] del mio paese», afferma nel libro Cuentos del arañero.

Persino in luoghi così lontani come Teheran, la capitale dell’Iran, un gruppo di giornalisti del Kazakistan, venuti a sapere che alcuni compagni erano venezuelani, alzano immediatamente il pugno sinistro e dicono: “Chávez”. Non importa la lingua, il suo cognome risuona letteralmente fino in Cina da parte di chi lo ammira, scrive Sergio Rodríguez nell’articolo “Chávez, uomo universale”. Allo stesso modo si ritrova nel nome di una baraccopoli di Bogotá, nell’aeroporto che si sta costruendo a Porto Principe e in una strada di Mosca, solo per citare alcuni luoghi.

Chávez e l’integrazione

Chávez non solo ha conosciuto la povertà in Venezuela, poiché per un breve periodo, negli anni Ottanta, ha anche vissuto nelle baraccopoli di Santo Domingo, in quelle di Los Mina e Los Tres Ojos, secondo quanto ha manifestato durante una visita in quel paese.

Iván Rodríguez, appartenente alla corrente dominicana dei movimenti sociali verso l’Alba, recentemente presente a Caracas, spiega che l’affetto manifestato dal suo popolo verso il leader latinoamericano cominciò a germogliare sin da quegli anni quando soggiornò nell’isola.

«Chávez stabilì rapporti con la gente perché era una persona umile». La simpatia che ha il popolo dominicano verso di lui si accentua ulteriormente nel 1992 dopo la ribellione civico-militare. «Avevamo seguito molto da vicino quello che stava accadendo, i mezzi di comunicazione dominicani lo intervistarono mentre era in carcere e quando divenne presidente godeva già di una grande simpatia da parte del nostro popolo», ha affermato.

Iván ricorda quando nel 2002 il presidente venezuelano inaugurò la Piazza Bolívar nel suo paese, fu l’anno in cui il mandatario partecipò al Vertice Iberoamericano dei Capi di Stato e di Governo che si svolse a Punta Cana: «Arrivò e infranse il protocollo di sicurezza, perché sapeva che eravamo lì presenti e ci disse: ‘solo un minuto, sono venuto a salutarvi’, e tutti quanti si precipitarono verso di lui per abbracciarlo, una cosa davvero emozionante, la gente in un abbraccio sincero, in un momento eccezionale come quello. Era la sua una maniera semplice di entrare in contatto con il popolo», ricordò con emozione.

Iván è segretario generale di Alternativa Rivoluzionaria, osserva che Chávez aveva compreso molto bene che doveva colpire l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), la quale definisce come una organizzazione saccheggiatrice dell’impero e propone, nel 2001, nel III Vertice dei Capi di Stato dell’Associazione degli Stati dei Caraibi, l’ALBA, come alternativa per garantire «la maggiore felicità possibile, la maggiore sicurezza sociale e la maggiore stabilità politica».

Il messicano Gilberto López y Rivas nel suo libro “Il seme di Hugo Chávez”, dichiara che il leader venezuelano ha reso fattibile «l’integrazione latinoamericana come garanzia d’indipendenza e sovranità di fronte all’imperialismo e, particolarmente, con l’Alternativa Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) (…) il suo lascito politico regionale comprende anche Telesur, Petrosur, Petrocaribe, l’incipiente Celac, Banco del Sur e altre iniziative che, proprie o congiunte, attualmente non potrebbero pensarsi senza la partecipazione del Comandante presidente».

Dall’Argentina, Fernando Vicente, integrante del Fronte Popolare Darío Santillán, quando parla d’integrazione ricorda che Chávez in un’occasione riferì che questa non solo doveva partire dagli Stati e dai governi «ma che doveva dimorare anche nei movimenti popolari» ed è per questa ragione che insieme ad altre organizzazioni popolari si è stimolato questo spazio dei popoli dell’Alba.

Chávez trascende Chávez

Questo giovane argentino racconta che il 2 aprile nel suo paese ci fu una importante inondazione a Città de La Plata, la quale provocò un saldo di più di 50 vittime. Subito dopo scattato il piano di emergenza, il movimento al quale egli appartiene convocò i meno colpiti della tragedia con il proposito di dare aiuto ai più bisognosi.

«Si organizzò uno spazio politico che diede l’avvio alle Brigate di Solidarietà Hugo Chávez, mediante le quali furono convocati tutti quelli che non erano stati particolarmente danneggiati in modo da aiutare i più umili e i più colpiti. Questa iniziativa riuscì a raggruppare più di mille persone per somministrare cibo, acqua potabile e cure sanitarie. Il suo impatto fu straordinario, infatti dopo tre mesi dall’accaduto continuano a lavorare e a organizzare il popolo», ha spiegato.

Quando gli viene chiesto il motivo del nome delle brigate, ha voluto ricordare il leader latinoamericano nella sua essenza, così come lo ha conosciuto il popolo dal quale si è lasciato amare, trascendendo il tempo e lo spazio: «Pensiamo che Chávez significa solidarietà di fronte alla contingenza, essere uniti nei momenti negativi con l’idea che il popolo non è un soggetto passivo, perché si organizza, perché costruisce potere popolare».

Questo 28 luglio, quel fiume di magia che trasporta vita e speranza ai popoli del mondo continuerà irreversibilmente con il suo grande corso, perché come afferma Pablo Neruda nel poema Il fiume: «Non so / quello che dicono i quadri e i libri / (ma non tutti i quadri e tutti i libri, / solo alcuni), ma so cosa dicono / tutti i fiumi»: Viva Chávez!.

 

[Trad. dal castigliano per ALBAinFormazione di Vincenzo Paglione]

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