di Geraldina Colotti – Il Manifesto
Dopo la morte di Chávez il Venezuela verso le elezioni
del 14 aprile. L’oppositore Capriles in campo contro
Maduro, vincente per tutti i sondaggi. È già campagna
elettorale sul web, dove lo sfidante gioca sporco
Alla Candelaria, quartiere di classe media, il furgoncino trasmette una canzonetta elettorale: per il candidato di opposizione Henrique Capriles Radonski, che corre per la Mesa de la Unidad democratica (Mud) e che sfiderà Nicolas Maduro alle elezioni del 14 aprile. «Questa sì che è musica – dice il commerciante di liquori -, altroché il tormentone chavista di Patria e socialismo. Ti darò il voto, mio Capriles». La parrucchiera di fianco brontola infastidita, espone opuscoli e bandierine bolivariane. Due donne discutono davanti all’edicola: hanno entrambe comprato un numero monografico – ma di orientamento opposto – sulla morte di Chávez: «Vedi che ha detto qui? – s’accalora indicando le pagine – “se il clima fosse una banca, lo avrebbero già salvato”. E qui: “un serpente è più umano di un fascista o di un razzista”». E l’altra replica: «Sì, come no? Ha dato i nostri soldi a Cuba e guarda come ha ridotto le classi medie». «Non mi sembri malridotta», rintuzza la prima signora. Alcune ragazze ridono, fanno la coda per farsi dipingere le unghie. Trafficano con i telefonini, si scambiano i twitter di Maduro o di Capriles.
La campagna per le presidenziali comincerà il 2 di aprile, ma i candidati già si scambiano accuse e sfide. Il twitter è uno strumento per mantenersi al diapason con le reti sociali e con il ritmo battente del paese. Con l’account @chavezcandanga, aperto nel 2010, il defunto presidente aveva collezionato oltre 4 milioni di affezionati: ed era risultato il secondo capo di stato più popolare in twitter dopo Barack Obama. L’ultimo messaggio inviato da Chávez attraverso la rete sociale è stato il 18 febbraio del 2013, mentre tornava a morire nel suo paese. Il candidato della destra usa questo strumento dal 2009, è presente su Facebook e ora su Instagram. Fu però nella campagna elettorale del 7 ottobre del 2012 – quando venne battuto da Chavez con oltre il 56% di preferenze – che superò la soglia dei 2 milioni di seguaci. Attraverso l’account @hcaprileslancia strali contro il governo, spera di «realizzare il sogno di un Venezuela unito e prospero» e sintetizza il suo programma «in tre cose, Speranza, Fede e Coraggio!». A volte riunisce i sostenitori nelle chiese tra una selva di braccia tese, a metà fra il giuramento e il saluto fascista. Però, per evitare che Maduro usufruisca dell’ondata emotiva dopo la morte di Chávez, tenta ancora la carta progressista, alludendo al «modello brasiliano» inaugurato da Lula. Dopo aver criticato in tutti i modi l’insistente ricorso chavista all’eroe dell’indipendenza, adesso ha chiamato il suo comitato elettorale «comando Simon Bolivar», che gli avversari hanno prontamente ribattezzato «comando Saimon Bush Bolivar». Ma Capriles grida: «Non siamo l’opposizione, siamo la soluzione», invita l’avversario a un confronto diretto in tv e dice che «Nicolas» non vale un’unghia del defunto presidente. Poi accusa il governo di tutto – infrastrutture obsolete, inflazione, insicurezza e scarsità di prodotti nei supermercati. Dimenticando che lo stato Miranda, da lui governato, presenta uno dei più alti tassi di violenza registrati. «Qui in Venezuela – dice una stimata docente di economia che intende mantenere l’anonimato – funziona una strana logica: quando aumenta il benessere e c’è più richiesta, non si aumenta la produzione, ma si aumentato i prezzi. Gli imprenditori ricevono prestiti dal governo, aiuti e infrastrutture: a differenza della borghesia di altri paesi non rischiano niente, quindi non fanno niente per lo sviluppo del Venezuela. E a ogni scadenza elettorale i grandi gruppi privati della distribuzione non mandano i prodotti nei supermercati. Ma il popolo venezuelano ormai conosce l’antifona, e non ci casca». Tutti gli istituti di sondaggio, di opposte tendenze, danno vincente il candidato chavista: Datanálisis gli attribuisce 15 punti di vantaggio, Hinterlaces lo dà al 53% contro il 35% di Capriles, 18 punti di differenza. Il candidato della destra adotta un discorso aggressivo, incita i giovani sostenitori a cercare lo scontro. Qualche giorno fa, la polizia ha lanciato qualche lacrimogeno per dividere giovani studenti di entrambe le fazioni. Quelli di destra, detti della «mano bianca» – un’allusione alla mano nera del gruppo Otpor creato nelle stanze di Washington, attivo durante le cosiddette «rivoluzioni colorate» – hanno tentato di raggiungere la sede del Consiglio nazionale elettorale, accusato di aver favorito il candidato governativo. Per Jorge Rodriguez, che dirige il comando di campagna «Hugo Chávez» – fino al 7 ottobre si chiamava «comando Carabobo» – l’opposizione «sta preparando il terreno per dire che non parteciperà a queste elezioni». Per Rodriguez, Maduro riceverà 10 milioni di voti. Alla riunione con il Polo patriottico, una delle formazioni che compone l’alleanza chavista, Rodríguez ha accusato l’opposizione di ricevere finanziamenti da Otto Reich e Roger Noriega, i due funzionari Usa espulsi dal paese il giorno della morte di Chávez con l’accusa di preparare piani eversivi. Le relazioni diplomatiche col Nordamerica sono state congelate, anche se il Venezuela continua a rifornire di petrolio gli Stati uniti. Intanto, dall’Argentina, le reti sociali sono in allarme per un convegno internazionale, previsto tra l’8 e il 12 aprile, in cui ex golpisti e affaristi della destra europea e latinoamericana si riuniranno con quella venezuelana: rappresentata da Marcel Granier (presidente dell’emittente Rctv) e dalla deputata Maria Corina Machado, entrambi coinvolti nel colpo di stato a Chávez dell’aprile 2002. Qualche giorno fa, Maduro ha denunciato un complotto della Cia per uccidere Capriles e creare il caos. L’attuale presidente incaricato va ai comizi guidando un autobus. Una risposta all’avversario che lo accusa di avere truccato la sua biografia per sembrare più radicale. Maduro visita fabbriche e pozzi petroliferi, snocciola i dati in positivo dell’economia venezuelana, illustra i piani di sviluppo in costruzione. Ribadisce la continuità con la politica di Hugo Chávez. Così piace al popolo: «Chávez era magico – dice Evelia applaudendo le parole di Maduro – non facevo in tempo a pensare una cosa, e lui subito la realizzava. Ha cambiato il volto del paese, ci ha cambiato tutti». «Per me e per tanti ragazzi – aggiunge Ivan, un giovane del Psuv – non era solo il comandante, era un padre, un grande leader per l’America latina. Ci ha lasciato il Piano della Patria in cinque punti, un programma per costruire il nuovo socialismo». Anche l’attuale presidente incaricato si rivolge agli elettori attraverso il twitter @NicolasMaduro, che in poco più di una settimana ha registrato oltre 430.000 simpatizzanti.
Una strategia elettorale utilizzata solo da tre dei sei candidati alla presidenza. Se ne serve María Bolívar, che nella precedente elezione fece effetto con la frase «dammi un aiutino». Con @mariabp2012 conta 24.026 affezionati. Reina Sequera ha solo un profilo in Facebook. Gli altri due candidati, Julio Mora e Eusebio Méndez non contano sulla rete. Per sostenere Maduro, sul web e in piazza, cento collettivi hanno dato vita al Comando di campagna popolare Hugo Chávez (Capucha): il simbolo è un passamontagna modello zapatista, da cui spuntano gli occhi del presidente morto: per dire «siamo tutti Chávez, e con Maduro la lotta continua».
Jesus Meta Diaz dirige la Commissione nazionale di appoggio alla campagna di Nicolas Maduro. Monitora come i media riflettano il discorso dei due candidati a presidente. Capriles sta attaccando il chavismo sul suo stesso terreno. L’opposizione cambia pelle? Questa destra ha alle spalle una storia di fascismo e di golpismo che ha avuto i suoi picchi con il colpo di stato dell’aprile 2002 e poi con lo sciopero padronale e petrolifero. La strategia è sempre il terrore psicologico. Ma se prima agitava i sonni della classe media sostenendo che Chávez le avrebbe sottratto i figli e la casa, adesso cerca di mimetizzarsi nel discorso della rivoluzione. Sente che, senza Chavez, può trovare un punto debole in un leader giovane come Maduro, e lo vuole affrontare sul suo terreno fingendo di assumere la bandiera del cambiamento sociale che noi vorremmo abbandonare. Ci accusa di provocare una spirale inflattiva che si mangerà i salari e le coperture sociali. Dà la colpa di tutto a Maduro, personalizza un percorso che si è reso necessario quando c’era ancora Chávez, e che non ha minimamente comportato un cambio di registro, né un passo indietro nella lotta per la liberazione del popolo dal capitalismo. Il bolivar era supervalutato, a tutto vantaggio di altri paesi, ed è stato necessario riequilibrare. Non ci sarà nessuna catastrofe, perché il governo ha previsto un muro di contenzione contro la crisi: non ci sarà liberazione dei prezzi o privatizzazione dei servizi pubblici. Chávez ha rigettato le ricette della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale e così continueremo a fare. Alcuni problemi, però, sono reali. Quanto può incidere questa propaganda?
Noi siamo 8 milioni e duecentomila, loro 6 milioni e mezzo. Il rapporto dovrebbe essere 90 a 10, dato l’immenso vantaggio che questo processo ha portato non solo ai poveri – in termini di diritti, salute, lavoro, pensione – ma anche alla classe media, che è passata da 3 a 7 milioni. Lo psico-terrore, dispiegato in questi 14 anni, ma usato in 500 anni di dominazione coloniale, incide. Siamo un paese in cui si fa politica in modo viscerale, non c’è abitudine a militare in un vero partito, vi sono circoli di studio e persone preparate, ma la gran massa agisce in base all’emotività. La destra controlla settori chiave della società che le danno molto potere e incidono nella coscienza collettiva. Il primo cardine è l’ambasciata Usa, poi c’è la chiesa, in gran parte schierata apertamente contro il governo al punto da raccogliere le firme contro Chávez: in molte parrocchie si manipolano le coscienze. Poi c’è il potere economico dei grandi settori industriali e commerciali schierati con l’opposizione. Ambienti che influenzano molto le classi medie e anche quelle popolari, che nei quartieri ripetono i discorsi dei padroni. Un altro fattore è costituito dai grandi media come Globovision, detta «Globoterrore». Loro hanno una portata e un audience nazionale con cui non riusciamo a competere. Quasi tutta la stampa regionale è di destra, quella nazionale anche. E poi ci sono le corporazioni – ingegneri, avvocati – che non sono schierate con noi. E infine le grandi università nazionali, che un tempo erano di sinistra e ora sono in mano al nemico. La figura di Chávez è quella di un gigante che, per aggirare tutto questo apparato, per rompere questa barriera, ha costruito un rapporto diretto ed emotivo col popolo. Ora il pericolo è che la destra ci infiltri e ci debiliti dal punto di vista politico e morale, e questo incida, e porti la gente a pensare che il proceso è contro il popolo e non a suo favore.
Il culto di Chávez spinto all’eccesso non rischia di rivelarsi un boomerang? Oltretutto si diceva contrario alle imbalsamazioni.
I popoli latinoamericani non sono pragmatici come voi in Europa. Sono portati a mitizzare. Essere presidente della repubblica è un esercizio politico, ma qui può apparire eccezionale. Ci si interessa alla sua vita, se ne esaltano le qualità.
Chávez è penetrato nel cuore della gente, che lo ha visto come un leader religioso, ma con una fibra molto terrena, lo ha votato e amato. Gli artisti hanno celebrato e celebrano quell’amore.
Ora siamo nell’onda emotiva della sua scomparsa, in cui Maduro sta presentando il suo piano di governo: continuare l’immensa opera di inclusione sociale verso il socialismo, consolidando i
piani in cui non abbiamo ancora inciso.