Qual è il significato della vittoria dell’esercito nel Sud della Siria?

di Yusuf Fernandez – Al Manar 

Pochi giorni fa, i gruppi terroristici in Siria, guidati da Al Qaeda, avevano annunciato che stavano lanciando l’operazione “Tempesta del Sud” al fine di iniziare il processo di attacco a Damasco. Il loro ottimismo è natto da diversi fattori tra cui l’aiuto del regime giordano, che ha permesso il passaggio di migliaia di terroristi e di armi attraverso il suo confine con la Siria meridionale.

Le principali fasi dell’attacco sono state le province di Suweida e Deraa. Così, i terroristi prevedevano di prendere in particolare la città di Deraa e la base aerea Thalet nella provincia di Suweida, cercando di avanzare rapidamente.

Il risultato, tuttavia, è stato un disastro senza precedenti per i gruppi armati. In primo luogo, non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi, dopo ripetuti attacchi sia a Thalet e Deraa. Ripetuti attacchi sono stati respinti dopo pesanti combattimenti da parte dell’esercito siriano sostenuto dalle Forze di difesa Nazionale.

Questo fatto rileva che la forza aerea siriana con i suoi bombardamenti ha svolto un ruolo di primo piano, colpendo con precisione le posizioni e le concentrazioni dei terroristi. In una spettacolare operazione, i missili dell’aviazione hanno distrutto una sala operativa, responsabile della direzione dell’operazione “Tempesta del Sud” in un momento in cui erano presenti diversi leader del Fronte al Nusra e altri gruppi. Il risultato è stato la morte di cinque principali leader di Al nosra, e diverse decine di comandanti. Questa operazione è stata certamente una dei migliori successi dei servi segreti siriani durante la guerra e ha seminato confusione tra i gruppi armati, alcuni dei quali hanno deciso di ritirarsi dall’operazione.

In secondo luogo, il numero delle vittime subite dai terroristi nel corso di questi attacchi contro la base aerea di Thalet e a Deraa è stato di circa un migliaio. La potenza di fuoco dell’artiglieria, dell’aviazione e le armi a breve e medio raggio hanno decimato le fila dei terroristi, che hanno lasciato molti morti sul terreno. Come al solito, Israele e il regime giordano sono giunti rapidamente in soccorso dei feriti, portandoli nei loro ospedali e così ancora una volta, hanno dimostrato la stretta connessione tra i gruppi armati di opposizione e il peggior nemico della Siria, cioè, il regime sionista.

Un fattore decisivo nella battaglia è stato la mobilitazione della popolazione. I drusi di Suweida, sotto shock per l’omicidio di 30 civili in una comunità di villaggio della Siria da parte del Fronte al Nusra, la cui appartenenza ad Al Qaeda continua ad essere motivo di imbarazzo per i regimi arabi e paesi occidentali che sostengono i gruppi terroristici in Siria, sono stati mobilitati a sostegno dell’esercito siriano. Lo stesso è accaduto in altre parti della Siria, come Hasaka o Deraa. In questo senso, il movimento popolare in Siria, ma non ha avuto la stessa risolutezza che ha in Iraq, riparando le numerose carenze del dell’esercito iracheno, ma hanno avuto una crescente importanza nel risultato della battaglia della Siria meridionale. In questo senso, si prevede che il peso della mobilitazione popolare nel paese aumenterà.

Un altro fattore importante che ha avuto un riflesso nella battaglia del sud è stato il cambiamento nel panorama politico della regione e, in particolare, la sconfitta elettorale del presidente Recep Tayyip Erdogan in Turchia. In questo paese, l’opposizione ha condannato all’unanimità la politica di Erdogan di sostenere i gruppi terroristici in Siria, una posizione condivisa per gran parte dei militari turchi, i quali, hanno appena sfidato il presidente, rifiutando di partecipare ai suoi piani per l’invasione del nord-est Siria. In questo senso, l’indebolimento del regime di Erdogan porta a un cambiamento nella politica della Turchia verso la Siria e il  sogno “neo-ottomana” suo e del suo primo ministro, Ahmet Davutoglu. Lo stesso vale per il regime fantoccio di Abdullah II di Giordania, creato in esclusiva per la protezione di Israele. I sogni della Giordania di vedere aumentato il loro ruolo, praticamente nullo nella regione, è passato attraverso le sconfitte dei gruppi armati a Deraa e Suweida.

L’esercito siriano ha testato in queste battaglie nuove tattiche che si sono rivelate molto efficaci, che colpendo le retrovie delle linee nemiche, con bombardamenti di precisione contro le concentrazioni di terroristi, come la già citata operazione di Deraa. Non c’è dubbio che le armi avanzate che la Russia e l’Iran stanno dando all’esercito siriano mostreranno presto gli effetti sul campo di battaglia e consentiranno in modo più accurato di colpire le postazioni e le sale di controllo dei gruppi terroristici.

La Battaglia del sud ha preso anche luogo in un contesto di nuove vittorie da parte dell’esercito siriano e di Hezbollah nel Qalamún, dove è stata eseguita con successo una campagna per sradicare al Nusra e Isis in quella regione e nelle zone di confine tra Siria e Libano, soprattutto ad Arsal. L’Isis ha inoltre subito pesanti sconfitte nelle province di Raqqa e Hasaka. Le Forze curde hanno ottenuto un’altra vittoria a Ain al Arab (Kabani) hanno tagliato la linea di rifornimento dell’ISis dalla Turchia e sono attualmente nei pressi di Raqqa. Si prevede che l’Isis subirà sconfitte militari nelle prossime settimane e nei mesi a venire, date le sue limitate risorse per affrontare due campagne in contemporanea in Siria e in Iraq.

In questo senso, la vittoria dell’esercito siriano nel Sud sarà fondamentale per lo sviluppo della guerra. Il fallimento dei gruppi armati significa che il progetto mirava a consegnare alla Siria di controllo barbari criminali e i suoi sponsor, soprattutto degli Stati Uniti, la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita, ora è sepolto tra le macerie delle sala operative di Deraa, accanto ai cadaveri dei capi terroristi.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Argentina: «Crisi in Grecia come la nostra»

Argentina-Cristina-Kirchner_LPRIMA20150327_0141_24da Telesur

Il capo di gabinetto dell’Argentina commenta la situazione nel paese ellenico dopo il rifiuto opposto dal governo alle imposizioni della Troika

Il capo di gabinetto dei ministri argentino, Aníbal Fernández, ha criticato le imposizioni avanzate dalla Troika alla Grecia e definito la crisi dello stato ellenico molto simile a quella vissuta dal suo paese.

«La crisi in Grecia è molto simile a quella del nostro paese (anno 2001). Per prima cosa voglio esprimere piena solidarietà al popolo greco e al suo governo che sta agendo di conseguenza, evitando di complicare la situazione», ha dichiarato Fernández ai mezzi di comunicazione.

In riferimento alla decisione del primo ministro greco, Alexis Tsipras, che ha deciso di chiudere le banche per arginare la fuga di capitali, il funzionario governativo ha osservato che «la situazione si era complicata, lo hanno obbligato a una decisione quasi di non ritorno».

A tal proposito, ha criticato la posizione assunta dai creditori della Grecia, i quali hanno richiesto ulteriori tagli alle pensioni e riduzione della spesa pubblica. Misure che, secondo Fernández, complicherebbero la situazione economica della Grecia.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Lavrov: la Russia contribuirà alle capacità militari della Siria

da hispantv

La Russia continuerà ad aiutare la Siria a rafforzare la sua capacità militare e risolvere i suoi problemi economici, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

«La Russia e il presidente Putin hanno confermato che continueranno il loro sostegno al popolo e al governo siriano per risolvere i suoi problemi economici e rafforzare le sue capacità di difesa in rispetto alle minacce terroristiche», ha sottolineato, oggi, Lavrov durante una conferenza stampa a Mosca, con il suo omologo siriano Walid Al-Moalem.

Lavrov ha espresso la disponibilità della Russia ad assistere in possesso terzo giro di colloqui tra il governo e l’opposizione in Siria, a Mosca, per sollecitare la necessità di evitare qualsiasi ritardo nei colloqui politici per risolvere la crisi siriana.

«Oggi, quando la minaccia terroristica che incombe su Medio Oriente estende ulteriormente i suoi tentacoli, non ci dovrebbero essere alcun pretesto per ritardare il processo politico», ha aggiunto.

Il capo della diplomazia russa ha anche indicato che il suo paese intende cooperare con altri paesi della regione dell’Europa e del Nord America per coordinare le azioni contro la crisi in Medio Oriente.

Tuttavia, Al-Moalem ha espresso il suo scetticismo circa la possibilità di lavorare insieme ad alcuni paesi che, a suo parere, sono gli sponsor del terrorismo.

«So bene che il Presidente Putin e la Russia hanno fatto diversi miracoli, ma occorre un miracolo più grande per formare una coalizione con la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Stati Uniti, in quanto, questi paesi, invece di lottare contro il terrorismo in Siria, lo incoraggiano», ha spiegato il ministro degli Esteri siriano.

In questo senso, egli ha criticato Washington per il sostegno finanziario ai terroristi che operano sul suolo siriano per rovesciare il governo del presidente Bashar al-Assad.

«Gli Stati Uniti esortano a trovare una soluzione politica, però, spendono miliardi di dollari per sostenere i terroristi», ha lamentato.

Negli ultimi anni, alcuni paesi occidentali e regionali come Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Giordania e Turchia hanno fornito tutta l’assistenza a gruppi terroristici in Siria e Iraq per promuovere i propri obiettivi politici.

Al-Moallem, ieri, ha iniziato una visita di tre giorni ufficiale in Russia su invito di Lavrov, al fine di affrontare la situazione in Siria e i legami Damasco-Mosca con alti funzionari russi.

[Trad dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Israele ammette di aver aiutato i terroristi in Siria

da hispantv

Il ministro della difesa israeliano, Moshe Ya’alon, ha ammesso, oggi, che il regime di Tel Aviv ha aiutato l’opposizione siriana, “a determinate condizioni”.

«Li abbiamo aiutato a due condizioni», ha spiegato Yaalon in materia di aiuti, in particolare, per la fornitura di medicinali per l’opposizione armata, formata da gruppi che per la maggior parte, lottano al fianco di Al-Nusra, il ramo di Al-Qaeda in Siria.

Secondo Yaalon, le due condizioni imposte ai terroristi sono state: Avvicinarsi in alcun modo ai confini dei territori palestinesi occupati e nel non infastidire in alcun modo la comunità drusa, sottolineando che la politica del regime israeliano contro i drusi è molto sensibile e complicata, anche se aveva minacciato di attaccare questa comunità per aver attaccato le ambulanze del regime israeliano,

Inoltre,  ha aggiunto che il regime di Tel Aviv offre l’assistenza medica a questi terroristi che combattono in Siria, ma la conferma che il regime prevede aiuti a ci va incontro agli interessi dell’opposizione armata.

Dal 2011, quando è iniziata la crisi in Siria, sostenuta da alcuni paesi della regione e stranieri, il regime di Tel Aviv ha curato più di un migliaio di terroristi che combattono nel territorio siriano per rovesciare il legittimo presidente del paese, Bashar al-Asad.

Il Regime israeliano mantiene le differenze con gli Stati Uniti sull’Iran

Per quanto riguarda il dialogo tra Teheran ed il  G5 + 1 sul programma nucleare dell’Iran, il ministro israeliano ha riconosciuto alcune differenze di vedute tra Tel Aviv e il suo più stretto alleato, gli Stati Uniti.

«Loro (gli americani) vedono l’Iran come parte della soluzione, noi lo vediamo come parte del problema», ha dichiarato il ministro israeliano evidenziando le differenze fondamentali con Washington per quanto riguarda il caso del nucleare iraniano.

Tuttavia, secondo Yaalon si prevede che le potenze mondiali del G5 + 1 firmeranno un accordo “cattivo” con Teheran questa settimana o in un prossimo futuro, sottolineando che anche se ci saranno controlli, saranno concordati con l’Iran.

[Trad dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Otto anni di Revolución Ciudadana in Ecuador

Otto anni di Revolución Ciudadana in Ecuador: come recuperare il ruolo dello Stato e finanziare la spesa sociale. Un modello per l'Europa?di Federica Zaccagnini 

Come recuperare il ruolo dello Stato e finanziare la spesa sociale. Un modello per l’Europa?

Si può passare da politiche liberiste orientate al pagamento del debito estero, ad uno Stato presente che nella propria costituzione sancisce una economia sociale e ‘solidaria’ e, riconosce l’iniziativa privata, pubblica e comunitaria? Si, si può. 

In Ecuador, si sono celebrati a gennaio, nella neonata “Città della Conoscenza-Yachay”, otto anni di Revolución Ciudadana. Il governo presieduto dall’economista di sinistra Rafael Correa, PhD in economia, scout, ammiratore di Papa Francesco, che parla oltre allo spagnolo, quichua, francese e inglese, ha realizzato molti degli impegni elettorali che si era preposto. 
 
Questo sarà un anno di prova per l’Ecuador della Revolución Ciudadana. Mentre sinora la revolución democratica di Correa ha potuto godere di un favorevole andamento del prezzo del petrolio, la decisione dell’OPEC di ridurre il prezzo dell’oro nero, potrebbe incidere fortemente sulle politiche espansive intraprese dal governo di Correa, finanziate con esportazioni di petrolio, ma non solo come vedremo successivamente.
 
Dall’Ecuador, si può trarre un insegnamento importante: si può passare da politiche liberiste orientate al pagamento del debito estero, ad uno Stato presente che nella propria costituzione sancisce una economia sociale e solidaria e, riconosce l’iniziativa privata, pubblica e comunitaria. La grande sfida di conciliare azione pubblica con efficienza ed efficacia è forse l’aspetto più interessante del processo ecuadoriano.
 
Senza soffermarci nella descrizione della storia recente dell’Ecuador è importante ricordare che a seguito di una profonda crisi economica, che ha martirizzato la popolazione per un decennio, nel 2000 il governo di Mahuad (agosto ’98-gennaio 2000) decide de dollarizzare l’economia (il dollaro statunitense è ancora oggi l’unica moneta nazionale). Si trattò di una risposta monetaria a un problema inflazionistico che derivava piuttosto da problemi strutturali di una economia basata sull’esportazione di materie prime, di una società arretrata con alta povertà umana (1)  e in gran parte determinati dalle condizionalità imposte al paese dagli organismi internazionali (2), dal servizio del debito, ma anche dalla corruzione dei governanti. 
 
L’assenza dello Stato poteva essere letta in alcuni indicatori come il 63% della popolazione povera (secondo la misurazione delle necessità di base insoddisfatte) e, una disuguaglianza sempre in aumento (3). Anche la crescita dell’economia era inesistente se non negativa; la disoccupazione relativamente alta, ma soprattutto la sottoccupazione oscillava attorno al 40-50%, mentre i tassi di interessi rispecchiavano la sfiducia dei risparmiatori nel sistema bancario (ciò si fa ancor più evidente a causa del “feriado bancario” (chiusura delle banche), quando i depositi vennero congelati per consentire il passaggio dalla moneta nazionale, il sucre, al dollaro USA. Tale manovra implicò la perdita dei risparmi della classe media ecuatoriana, a causa della svalutazione che il governo Mahuad realizza giusto prima di dollarizzare e proprio durante il congelamento dei depositi).                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         
Correa vince in un paese destabilizzato socialmente e politicamente, finanziato dall’esportazione del petrolio greggio e dalle rimesse di circa due milioni e mezzo di migranti principalmente in Usa, Spagna ed Italia. Famoso diventa il suo discorso basato sul “Socialismo del Secolo XXI, fatto dai latinoamericani per i latinoamericani senza schemi importati”, sul superamento dell’individualismo, sulla fine della supremazia del mercato sugli interessi dell’essere umano, sul recupero del ruolo dello Stato, sulla liquidazione dei vecchi politiqueros.
 
Di questi otto anni di governo ci focalizziamo essenzialmente sul recupero dello Stato e su come questo sia stato permesso anche da nuove fonti di finanziamento.
 
La pianificazione economica

Il pilastro decisivo su cui poggia tutto il processo della Revolución Ciudadana è il recupero della pianificazione economica: dal 2007 al 2017 il governo ha disegnato tre Programmi nazionali per lo sviluppo ed il Buen vivir che arrivano a proporre un progetto sociale ed economico ambizioso, che punta al 2030 (4). Alla chiusura dei periodi stabiliti dai programmi, viene effettuata una valutazione sul raggiungimento degli obiettivi e vengono aggiustati di conseguenza gli obiettivi del periodo successivo. Nell’ultimo programma ad esempio si stabiliscono 12 obiettivi di medio lungo periodo (supportati da strategie e obiettivi intermedi) che possiamo dividere in obiettivi di tipo sociale, concernenti la sovranità nazionale e delle risorse energetiche e di tipo economico. Per quanto concerne il primo gruppo, si punta al rafforzamento della struttura democratica dello Stato e alla partecipazione sociale, tanto nell’ambito dell’applicazione delle norme costituzionali, come nello spirito comunitario proprio della società ecuadoriana. Si vuole proseguire nel cammino della lotta all’iniquità, inteso come accesso al reddito e l’eliminazione delle sperequazioni storiche basate sulla discriminazione etnica. 
 
Una particolare menzione merita l’obiettivo di garantire dignità al lavoro, in tutte le sue forme, continuando un percorso iniziato con l’eliminazione della terziarizzazione del lavoro, con l’obbligatorietà per i datori di lavoro di iscrizione al sistema sanitario e previdenziale pubblico dei propri dipendenti, con l’innalzamento dei salari minimi degli “ultimi” (domestiche, guardie private, polizia, maestri, …), la raggiunta uguaglianza tra salario minimo e copertura del paniere familiare di consumi di base, eccetera.
 
Con lo stesso documento di pianificazione, mentre si punta a rafforzare l’identità nazionale e la sovranità, in politica estera si punta anche a rafforzare l’integrazione regionale e l’inserimento strategico nel mondo (leggi: diversificazione delle relazioni internazionali -politiche e commerciali). 
 
Dal punto di vista economico il miglioramento della qualità della vita compatibile con il concetto del socialismo del Buen Vivir si basa sul rafforzamento delle capacità delle persone, l’abbandono della concezione dell’essere umano come fattore produttivo, e, l’investimento sul talento umano delle persone, come unità di una nuova società basata sulla conoscenza. Da ciò deriva l’importante obiettivo del cambiamento della struttura produttiva: passare da una economia prevalentemente basata sull’esportazione delle materie prime ad una economia basata sulla conoscenza. Quest’ultimo è al centro della pianificazione economica a partire dal 2007, ma tarda a vedersi in maniera concreta. Anche se a partire dal 2017 l’Ecuador raggiungerà l’autosufficienza in termini di energia elettrica – importante settore per la sostituzione delle importazioni – ed ha già sviluppato un piccolo ma solido settore di alimentare di nicchia, l’antica tappa dell’industrializzazione (prevista nella prima programmazione economica) come passaggio intermedio per giungere all’economia della conoscenza è stata quasi sorpassata. Infatti possiamo prevedere con ragionevole certezza che grazie ai forti investimenti in tutto il settore dei saperi si potrebbe raggiungere direttamente la tappa finale. 
 
La stabilità politica
 
La pianificazione economica sarebbe stata inutile nel far west istituzionale in cui si trovava il paese prima dell’attuale governo. Rafael Correa è, infatti, eletto presidente nel 2006, a seguito di 10 anni in cui si sono susseguiti nove presidenti, alcuni dei quali cacciati dalle proteste popolari. Con l’attuale presidenza si può riscontrare un sostanziale mantenimento del consenso popolare, e una sostanziale stabilità sociale. L’accettazione del presidente Correa, che pur riceve manifestazioni di protesta, è dimostrata dalla vittoria in sei tornate elettorali (presidenziali del 2006, del 2009 e del 2013; elezione dei membri dell’ Assemblea Costituente e successiva approvazione della Costituzione, con vittorie meno schiaccianti, in alcuni degli undici quesiti del Referendum del 2011). C’è da dire però che il processo subisce alcune battute d’arresto, infatti, alle ultime elezioni amministrative di un anno fa, il movimento Alianza Pais perde le principali città (particolarmente gravi due perdite: Quito e Cuenca)(5). La stabilità politica, dunque, si trasforma in un punto di partenza per il governo della Revolucion Ciudadana.
 
Come si finanzia la “mano visibile” dello Stato?
 
Si parla molto del successo economico del governo della Revolución Ciudadana, ma anche del successo in termini di trasformazione della società (accesso a istruzione, salute pubblica, rete viale, opere pubbliche, produzione di energetica). Ma come ha potuto un paese in via di sviluppo, sommerso dal debito estero, finanziare tutto questo? Grazie ad alcune politiche realmente rivoluzionarie, l’Ecuador ha visto crescere le risorse a disposizione dello Stato per realizzare politiche sociali e grandi investimenti. E’ dunque chiaro che sebbene l’andamento del prezzo del petrolio abbia contribuito notevolmente alle entrate dello stato, ancor di più hanno influito le decisioni della politica, e pertanto, la gestione del Governo e la decisa interferenza dello Stato.
 
Rispettando l’impegno elettorale preso con i cittadini, Correa e il gruppo degli economisti a lui vicini, in testa a tutti Ricardo Patiño (attuale ministro degli esteri, ma a quell’epoca ministro dell’economia), appena insediati al governo, convocano una commissione dell’audit del debito, e, dopo aver analizzato l’origine e le condizioni delle varie fonti di credito ricevuto, decidono di sospendere  i pagamenti di quei debiti che venivano considerati illegali o illegittimi. Successivamente convocheranno anche ad una subasta inversa di Global Bond ad un prezzo massimo e a tempo determinato, e, ricompreranno il 93,5% degli stessi. Con questa manovra che rappresenta anche un grande atto di sovranità nazionale, vengono liberati otto miliardi di dollari e viene stravolta la proporzione del reddito nazionale che veniva utilizzata per pagare il debito e quella destinata alla spesa sociale. Nel 2006 il pagamento del debito impegnava il 24% del bilancio nazionale, nel 2012 questo ammontare è sceso al 4%.
 
Anche grazie alla rinegoziazione dei contratti petroliferi con le compagnie multinazionali, non solo si generano altre entrate da utilizzare per l’ “investimento” sociale (in Ecuador non si parla di spesa sociale, ma di “investimento” sociale), ma si stravolgono le relazioni di potere tra stato, dunque collettività e capitale. Anche qui troviamo un ribaltamento: se prima nelle casse dello Stato entrava solo il 13% delle entrate lorde ricavate dalla vendita del greggio, oggi entra l’87%. 
Il terzo filone delle riforme che portano più denaro nelle casse dello Stato, è la riforma fiscale. A parte una serie di nuove imposte di tipo ambientale, che colpiscono soprattutto la ricchezza, la riforma fiscale è orientata alla creazione di una cultura impositiva. Uno strumento è costituito anche dalla possibilità di verificare on line del pagamento delle tasse di ogni cittadino. La rigida politica fiscale permette un incremento degli introiti statali: si passa dai circa 22 miliardi di dollari del periodo compreso tra il 2000 ed il 2006 ai 60 miliardi e 600 milioni nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2013.
 
Da ultimo, ma senza esaurire tutte le interessanti novità del processo ecuadoriano, con la “legge di ridistribuzione della spesa sociale” del gennaio 2013, le banche debbono finanziare il 54% dell’incremento del bono de desarrollo humano (un sussidio di 50 dollari alle famiglie più povere), e sono inoltre costrette a rinunciare ad una imposizione fiscale di favore, mentre aumenta la tassazione sui loro attivi tenuti all’estero (passando dallo 0,08% al 0,25% mensile), percentuale che aumenta per quelle banche con filiali nei paradisi fiscali. 
 
Novità di questi giorni, verranno ridotti tutti i salari dei funzionari statali di alto livello (anche quelli di nomina politica come ministri, viceministri etc.) che guadagnano a partire dai 6000 dollari mensili per finanziare una missione medica in tutto il paese. 
 
Alcune critiche vengono sollevate al processo ecuadoriano, le più appassionanti sono quelle critiche che vengono dalla sinistra del governo, da ex membri dello stesso, che discutono il modello di sviluppo che si persegue. La critica più consistente è quella del tradimento degli ideali iniziali, determinati da uno spostamento a destra, e da un tradimento dei movimenti e degli ideali ecologisti. Di fatto è necessario considerare il punto di partenza del paese, quello descritto all’inizio di questo articolo, e nella valutazione non è possibile non considerare quello ecuadoriano come un “processo” in continua evoluzione in cui le relazioni di forza dentro lo stesso governo determinano una maggiore o minore spinta alla radicalizzazione. 
 
In effetti, tutta la critica a sinistra si è riunita sotto un cartello elettorale che ha raggiunto appena il 3%, ma è chiaro che queste critiche possono avere molto più successo dal punto di vista della teoria politica, perché  indicano senz’altro un cammino di rivoluzione ecologica meraviglioso, ma compiono lo stesso errore teorico dei liberisti classici, partono da una descrizione del mondo basato su ipotesi irreali, e se pur nella teoria si compie la tesi desiderata, nell’esercizio del governo sarebbe suicida non tenere conto dei rapporti di forza storicamente consolidati nel paese, e voler scardinarli tutti e subito. Non c’è da dimenticare, che solo un grande appoggio popolare, unito da una alleanza tra le classi sociali, è la chiave del successo di una rivoluzione democratica, che avviene anch’essa non senza attacchi dei poteri forti che controllano i mezzi di comunicazione, e, che deve fare i conti con la politica estera (palese e non palese) degli Stati Uniti.
 
Fonti: 
 
 
(1) Misurazione della povertà basata sul concetto dello sviluppo umano, così come la definisce l’UNDP, considerando oltre al reddito anche altri indicatori concernenti la speranza di vita e l’alfabetizzazione.
(2) Austerità, taglio della spesa pubblica, privatizzazione, controllo monetario e tutto ciò che è ben noto nell’attualità del vecchio continente.
(3) Infatti nei dieci anni dal 1995 al 2005, si dimezza la già esigua porzione di reddito (4%) a disposizione del 20% della popolazione più povera, mentre aumenta di otto punti percentuali quella a disposizione del 20% dei più ricchi, mentre il 60% della classe media perde progressivamente accesso al reddito nazionale in forma sempre più consistente.
(4) Plan Nacional de desarrollo 2007-2010; Plan Nacional para el buen vivir 2009-2013; Buen Vivir Plan Nacional 2013-2017.
(5) In quest’ultimo caso non è verificata l’accettazione popolare al Presidente perché non si tratta di elezioni presidenziali, e vari analisti politici, così come lo stesso Correa, riconoscono come causa principale di questa disfatta (la perdita di Quito e Cuenca principalmente) la gestione del  Movimento Alianza Pais, che in effetti sta vivendo in questi ultimi mesi una profonda ristrutturazione e riorganizzazione.

Siria: Esercito e difesa popolare umiliano i terroristi a Daraa

da al manar

Venerdì scorso, i gruppi terroristici hanno lanciato attacchi contro la città di Deraa dall’asse di Manshiya con la partecipazione di circa 1.500 combattenti di circa 33 gruppi, alcuni carri armati e centinaia di veicoli con mitragliatrici. Un’operazione definita da loro stessi, in maniera pomposa, “Tempesta del Sud”.

Giovedì è stato lanciato il primo attacco da sette fronti, ha riportato il quotidiano libanese Al Akhbar, e migliaia di razzi e mortai sono stati sparati in diversi quartieri della città, tra cui Mahattata, Al Kossur, Al Sahhari, Al Manshiya, Al Kashif e Al Matar.

In parallelo a questo attacco intensivo, vari tentativi sono stati fatti per avanzare via terra verso le posizioni dell’esercito a Al Ray e Al Matahin nella campagna di Deraa, e Jerbet Gazale. L’operazione è stata preceduta da quattro attacchi suicidi effettuati dai membri del Fronte Nusra.

Questo attacco è stato, tuttavia respinto e ha causato 87 vittime e numerosi feriti tra i terroristi. A questi vanno aggiunti altri 20 militanti uccisi mentre cercavano di tagliare la strada statale Deraa-Damaasco in prossimità della città di Karfa.

Questi attacchi sono stati decisi dalla centrale operativa Mok, in Giordania, paese che ha coordinato le attività dei gruppi terroristici nel sud della Siria con la supervisione dei servizi di intelligence degli Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Giordania e altri paesi.

Il Mok inviato più di 1.000 uomini per contribuire all’attacco terroristico di venerdì scorso contro Deraa, ma questo non ha avuto influenza sul risultato della battaglia.

Il Quartiere Manshiya è stato teatro di feroci combattimenti il ​​Venerdì, dove armi medie e pesanti, sono state usate da esercito e volontari civili da un lato, e i terroristi, guidati dal Fronte Nusra, dall’altro.

L’esercito siriano aveva aumentato le fortificazioni a Manshiya, mentre l’aviazione siriana, l’ artiglieria e i missili terra-terra hanno duramente bombardato le postazioni dei terroristi nei pressi della città, uccidendo oltre 400 terroristi ed ferendone centinaia, alcuni dei quali sono stati evacuati per le ferite in Giordania e Israele. Diversi carri armati che sono entrati dalla Giordania sono stati distrutte dai missili dall’esercito siriano.

L’esercito ha esteso la pressione sui terroristi in altre parti della provincia, ciò ha contribuito all’isolamento dei terroristi che avevano attaccato la città e l’indebolimento delle loro azioni. Le truppe siriane sono state in grado, in questo contesto, di prendere le aziende agricole di Bitar.

I media dell’opposizione hanno inventato che i loro gruppi avessero sostenuto conquiste e progressi, ma questi luoghi sono saldamente nelle mani dell’esercito siriano, ha riferito il corrispondente di Al Manar, che lo ha provato con immagini di questi luoghi, tra cui la regione Panorama che si affaccia sulla strada tra Deraa e Damasco,  lo Stadio Comunale, che i terroristi hanno dichiarato di aver preso.

La sconfitta di Deraa è arrivata pochi giorni dopo un altro attacco, ancora nel sud della Siria, ovvero l’assalto fallito alla base di Thalet, in un momento, in cui continua la campagna di Hezbollah e dell’esercito siriano nel Qalamún.

Ultimi sviluppi

Domenica scorsa, l’esercito siriano ha proseguito la sua avanzata in varie parti della provincia di Deraa e ha preso una collina strategica. «Unità dell’esercito sono state cancellate dalla presenza terrorista dalla collina a Shaykh Hossein, a nord est di Deraa», ha dichiarato una fonte militare siriana.

Allo stesso tempo, diversi gruppi armati sono fuggiti nella città di Al Nuaima. Altri quattro gruppi affiliati alla “Division Al Motaz”  sono scappati dalla città.

Decine di terroristi sono stati uccisi, nel quartiere del silos di grano e nelle zone adiacenti alla città di Deraa.

Il sostegno popolare per l’Esercito

Come è successo a Thalet, le Forze di difesa Nazionale, combattendo a fianco dell’esercito siriano hanno giocato un ruolo decisivo nella sconfitta dei terroristi.

«La stragrande maggioranza della popolazione di Deraa sostiene l’esercito e lo Stato, in particolare, perché hanno sofferto molto a causa delle azioni delle fazioni che sostengono di essere moderate e dai loro tribunali giudiziari, senza parlare del caos che hanno creato nelle zone sotto il loro controllo», hanno raccontato i residenti della città ad Al Manar.

Come al solito, i terroristi hanno cercato di terrorizzare la gente lanciando slogan come “la battaglia dei fiumi di sangue”. Ma hanno avuto una reazione inversa. Invece di farsi prendere dal panico, gli abitanti di Daraa hanno preso le armi.

[Trad dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

¡Caramba!, no terminan de entender al Pueblo Chavista

ssdpor Omar José Nuñez Hernández

Desde muy tempranas horas de la mañana de hoy domingo 28 de junio, nuestro noble pueblo ha dado una demostración más de su madurez política; lo que que es sin duda alguna la obra y construcción de nuestro Comandante Supremo, Hugo Rafael Chávez Frías. Nuestro Pueblo tomó las banderas de la conciencia, asumiendo hoy como nunca en las elecciones primarias del Psuv, un rol protagónico e histórico para elegir los(as) candidatos(as) a diputados(as) a nuestra Asamblea Nacional para las venideras elecciones del 6 de diciembre del año en curso. La oposición apátrida ultraderechista de nuestro país, siempre ha olvidado a nuestro pueblo y los avances que han venido acumulando a través de estos años de revolución, gracias a las políticas soberanas e incluyentes de nuestro gobierno revolucionario, socialista, bolivariano y chavista. Olvidan, que gracias a esta revolución bonita, nuestro pueblo ha salido de la oscuridad, lo que les ha permitido salir victoriosos(as) de los grandes retos que se le han asignado. Nuestro pueblo ha ganado la batalla del anafalbetismo, pasando desde las misiones educativas Robinson I y II, misión Ribas y misión Sucre.

Durante estos años de revolución, nuestro pueblo se ha venido preparando, leyendo, estudiando, analizando y sobre todo, comparando las políticas de participación de la IV República y de nuestra Revolución Bonita. Igualmente, se ha masificado la educación universitaria, creando instituciones de educación superior donde ese gran universo de bachilleres en población flotante, han sido incluidos e incluidas. La oposición apátrida se olvida que gracias a esta revolución, una gran mayoría de venezolanos y venezolanas que estaban excluídos de los programas de vivienda, han sido incluidos por la Gran Misión Vivienda Venezuela, logrando superar esa vida heredada de ranchos de lata y de cartón, como decía aquella canción del grupo llamado Los Guaraguao… que triste vive mi gente en los techos de cartón.

Ahora, solo basta con recorrer cualquier lugar de la geografía nacional y ver esos hermosos complejos habitacionales; donde de paso, también se les han asignado viviendas a venezolanos(as) que nos están con este proceso revolucionario; lo que demuestra, que nuestra revolución no aplica esa vieja política cuarto republicana de pedir carnet político. Que tenemos errores, eso no se oculta y estoy seguro , los vamos a superar. Los que tenemos edades que superan las cincuenta primaveras, recordamos aquella vieja política cuarto republicana de alimentación que se llamaba Corpomercadeo, la cual duró lo que tardamos en escribirla.

Desde que llegó nuestra revolución bonita liderada por nuestro Comandante Supremo, Hugo Rafael Chávez Frías y seguida por nuestro Comandante Presidente Obrero, Nicolás Maduro Moros, las políticas alimentarias han permitido tener acceso a nuestro pueblo a los productos de la canasta básica por un lado, a precios subsidiados con la Misión Mercal y en segundo lugar, a precios regulados con la Productora y Distribuidora Venezolana de Alimentos ” PDVAL “.

Igualmente, mediante la conformación de una red para adquirir estos productos, la cual sustituyó una parte de la red privada como lo son los abastos Bicentenario y Venezuela. Que tenemos errores y podemos mejorarlas, claro que sí, pero estamos trabajando para superarlos. Camaradas, el pueblo tampoco olvida los años cuarto republicanos cuando cobrar una pensión de vejez era un acto miserable y anti humano. Ahora, gracias a la revolución, hemos superado con creces las pensiones de jubilación del Instituto Venezolano de los Seguros Sociales, gracias a esa hermosa creación llamada la Misión de Amor Mayor.

En cuanto al tema de salud, la dignidad de un pueblo se ha fortalecido gracias a la creación de esos dos grandes gigantes revolucionarios, los Comandantes Fidel Castro y Hugo Chávez, la Misión Barrio Adentro en sus diferentes fases, las cuales han cubierto ese gran vacío de atención médico asistencial en todos sus niveles. Camaradas, bastaba con estar en una cola para escucharlos(as), metiéndole cizañas al pueblo y diciendo palabras obscenas en contra de nuestra revolución y lo triste, es que muchos(as) camaradas se hacían eco de sus comentarios.

Como la mas perversa explotación, la del hombre por el hombre, la estamos viendo hoy en día. Sin embargo, la conciencia de un pueblo se hizo hoy realidad y se ha manisfetado en los Centros de Votación de todo el país. El ánimo a medida que pasan las horas ha ido creciendo y los(as) que estaban inertes y casi paralizados como producto de esa guerra sicológica y económica, han venido despertando de ese letargo.

Es como si la revolución penetró nuevamente por sus venas y los hizo despertar. Como muchos(as) de ustedes, leí varios artículos de analistas económicos y políticos, donde se reflejaba una catástrofe en estas elecciones primarias del Psuv y me pregunto: ¿ Que dirán ellos ahora ?, ¿ Qué conclusiones sacarán de la respuesta dada hoy por nuestro pueblo ?. Simplemente, ellos y ellas también se han olvidado de la creciente conciencia de nuestro pueblo.

La oposición creyó que por ocultar y acaparar gran parte de los productos de la cesta básica, la respuesta del pueblo chavista sería una gran abstención con una muy baja participación a las elecciones primarias del Psuv. Pués, se volvieron a pelar.

La decisión de nuestro Comandante Presidente Obrero, Nicolás Maduro Moros de darle mayor participación protagónica a nuestro pueblo para escoger los(as) candidatos(as) a estas elecciones primarias del Psuv desde las bases, donde la paridad de género sin distinción de edad, fue y será un hito histórico en la democracia venezolana y por supuesto un mensaje al mundo entero; ha demostrado una vez más, que cuando la voz del pueblo es tomada en cuenta, la respuesta del pueblo es CONTUNDENTE. Lo de hoy, es un avance al sistema político venezolano y un avance de nuestra democracia.

Estoy seguro, que trabajaremos muy duro para lograr otra victoria de la revolución en las elecciones parlamentarias del próximo 6 de diciembre. Hay que echarle pichón y no quede un lugar que sea visitado por nuestros y nuestras candidatos y candidatas del Psuv. Que sigamos batallando duro para acabar de raíz con esta guerra económica, buscando alternativas novedosas, donde la participación del pueblo deberá jugar un papel importante. ¡ Caramba !, no terminan de entender al Pueblo Chavista. 

L’ALBA-TCP si schiera al fianco del «coraggioso popolo greco»

resizeda lantidiplomatico.it

«È una lotta per la salvezza dell’intera specie umana, per la vita, per la libertà, e per l’autodeterminazione di tutti i popoli»

Comunicato dell’ALBA-TCP* sulla situazione in Grecia.

«L’Alleanza bolivariana dei popoli di Nuestra America-Trattato di commercio per i popoli (ALBA-TCP) esprime il suo più fermo sostegno e solidarietà al popolo e al governo greco di fronte al vorace assedio del capitalismo finanziario mondiale e dei suoi rappresentanti europei, coloro che senza scrupoli e con eccessiva ambizione hanno la pretesa di piegare la scelta di questo paese per una vita degna e giusta; il cui centro sia la salvaguardia della vera democrazia e dei diritti umani, non dei vergognosi privilegi e le conseguenze distruttive del capitale neo-liberista transnazionale.

Noi popoli e governi dell’ALBA-TCP, convinti dal Comandante Hugo Chávez che la «storia ci chiama all’unione e alla lotta», inviamo un messaggio di sostegno per il coraggioso popolo e governo greco, convinti che la battaglia storica che sta portando avanti è una lotta per la salvezza dell’intera specie umana, per la vita, per la libertà e per l’autodeterminazione di tutti i popoli.

Siamo sicuri che un’altro mondo è possibile».

Caracas, 28 giugno 2015

*Paesi membri dell’ALBA-TCP: Venezuela, Cuba, Nicaragua, Ecuador, Bolivia, Antigua e Barbuda, Dominica, Granada, San Cristobal y Nieves, Santa Lucia, San Vicente y Las Granadinas, Surinam

Il Venezuela stabilisce una nuova alleanza economica con l’Iran

da Rt

Venezuela e Iran hanno deciso di approfondire la loro cooperazione economica con la firma di una serie di accordi per finanziare investimenti congiunti e rafforzare il commercio. Lo ha dichiarato il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, dopo la visita di una delegazione iraniana.

Secondo Maduro, si tratta di «sei accordi di grande importanza per l’economia dei nostri paesi». «Oggi abbiamo relazioni con l’Iran basate sulla fiducia reciproca, sul lavoro e sui risultati concreti,  e mutuo vantaggio», ha dichiarato il presidente venezuelano.

In particolare, il Venezuela ha raggiunto un accordo con l’Iran su una linea di credito di 500 milioni di dollari per finanziare lo sviluppo di progetti comuni e promuovere l’offerta dei «beni necessari per il popolo venezuelano», compresi i medicinali e il materiale chirurgico.

Maduro ha aggiunto che questi fondi andranno a «sviluppare il commercio e gli investimenti congiunti. Stabiliremo una nuova rete del settore della new economy, in collaborazione con i venezuelani che vogliono produrre».

Da parte sua, Mohammad Reza Nematzadeh, ministro iraniano dell’Industria, delle Miniere e del commercio, che ha guidato la delegazione della Repubblica islamica durante la visita, ha affermato che l’accordo sarà inviato al Ministero delle Finanze dell’Iran per la revisione.

Inoltre, i media locali riferiscono che gli accordi includono la promozione della cooperazione tra i due paesi, non solo in campo economico e finanziario, ma anche nella tecnologia e della scienza. Le due nazioni hanno inoltre deciso di finanziare un programma di ricerca comune nel campo delle nanotecnologie.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Manuela Sáenz e la sua lotta per la libertà dell’America

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Il 27 dicembre 1797 nasceva a Quito (Ecuador) Manuela Sáenz, eroina che ha combattuto per la libertà dell’America. Nella lotta contro l’impero spagnolo la sua partecipazione fu attiva, da protagonista.

Manuela Sáenz ha combattuto nella battaglia di Pichincha che sancì la libertà dell’Ecuador (1822), così come nella battaglia di Ayacucho, dove fu raggiunta la completa sovranità del Perù e dell’America del Sud. Antonio José de Sucre, in una lettera del 10 dicembre 1824, ha riconosciuto l’importanza di Manuela Sáenz nelle gesta indipendentiste:

«Si è distinta particolarmente per il suo coraggio doña Manuela Sáenz; incorporata sin dall’inizio nella divisione Húzares e successivamente nella Vencedores; ha organizzato e ottimizzato i rifornimenti alle truppe, assistito i soldati feriti, battuta sotto il fuoco nemico, salvato numerosi feriti (…) Doña Manuela merita un tributo speciale per il suo compartamento».

Manuela Sáenz è stata definita da Simón Bolívar come la Libertadora del Libertador perché nel 1828, lo salvò da un attentato a Santa Fe Bogotà. Sáenz ha descritto nel suo ‘Diario de Paita’ l’amore e l’impegno per la libertà dell’America, una lotta che unì la sua vità a quella di Bolívar.

Esiliata dalla Colombia dopo la morte di Simón Bolívar si stabilì a Paita (Perù), dove morì il 23 novembre 1856 per un’epidemia di difterite. Il suo corpo fu cremato e le ceneri depositate in una fossa comune.

Nel luglio 2010, i resti simbolici di Manuela Sáenz furono traslati al Pantheon Nazionale del Venezuela (Caracas), luogo dove riposa il Libertador Simón Bolívar.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Elezioni regionali in Italia: crescita del M5S e astensione

PDdi Achille Lollo, da Roma (Italia)

Nelle sette regioni dove il governo regionale doveva essere rinnovato, l’astensione ha raggiunto il 48,5%, mentre nei comuni di 20 regioni, il 36% degli elettori con diritto al voto hanno optato per andare alla spiaggia o in altri luoghi di piacere

Dopo anni e anni di consumismo sfrenato, di continuo lavaggio cerebrale per mezzo dei media, in particolare i canali Mediaset (l’impresa di Berlusconi); in seguito agli attacchi ai diritti sociali con la “modernizzazione” delle leggi del lavoro, la connivenza di quasi tutte le centrali sindacali con le “eccellenze” del mercato e, soprattutto, in seguito alla maggioritaria accettazione nel Parlamento delle norme di austerità, imposte dai tecnocrati neo-liberisti dell’Unione Europea, un’astensione del 48,4% è un risultato considerato “normale” dagli opinionisti.

Un’altra verità che trapela dai risultati di questa elezione è la fine del mito di Matteo Renzi e anche della crisi di identità sorta in seno al “Partito Democratico”, dovuta all’annientamento della “vecchia guardia del compromesso storico del PCI berlingueriano”. Adesso, Renzi non ha più stampelle politiche da parte di Silvio Berlusconi, con la sua “Forza Italia”. Entrambi hanno sofferto immensamente del logorio politico per avere amministrato il potere e, conseguentemente, avere massacrato gli Italiani con nuove imposte, tasse e tagli di bilancio, che hanno squalificato l’efficienza e, soprattutto, l’operatività dei servizi pubblici.

Il PD di Renzi, da parte sua, vive un doppio contesto di crisi, dal momento che il primo ministro pretende di trasformare il PD in un “Partito Nazionale”, operando un’unificazione ideologicamente artificiale, ma perfetta dal punto di vista mediatico. Un nuovo partito che sorgerebbe dopo aver sepolto tutto quello che era di sinistra e in parte di destra, per trasformarsi in una nuova entità politica nella quale non esiste più opposizione. Alla fine, questo “Partito Nazionale” potrebbe essere la futura “dittatura della maggioranza” che, per molti critici, sarebbe un progetto istituzionale della Massoneria.

Altri – più scientifici e informati – ammettono che l’Italia è tornata a essere un laboratorio di prove e di sperimentazioni politiche, con il quale le eccellenze dell’Unione Europea tentano di definire un nuovo modello per i futuri governi etero-diretti del secolo 21mo.

Il PD vince e perde

I risultati definitivi delle elezioni regionali indicano che il PD, pur essendo riuscito a eleggere cinque governatori in sette regioni, in realtà, ha perso nelle principali, cioè, in Veneto e, soprattutto, in Liguria.

Infatti, la sconfitta in Veneto – una delle principali regioni industriali d’Italia – mina il mito politico e carismatico di Renzi che voleva fare eleggere, a ogni costo, la correligionaria di tendenza, Alessandra Moretti. Una vittoria che avrebbe permesso a Renzi di finirla, una volta per tutte, con la resistenza in seno al PD della cosiddetta Sinistra Democratica, guidata dai dissidenti Fassino e Civati.

La candidatura di Alessandra Moretti era sostenuta anche dal nuovo partito della sinistra SEL (Sinistra, Ecologia e Libertà), che pretende di essere la “costola sinistra nel tronco del PD”. Un partito guidato da Niki Vendola che, nel 2012, ha smembrato il PRC (Partito della Rifondazione Comunista), aprendo una scissione basata su di una critica di sinistra, per poi convergere verso il PD nella più tradizionale opzione, tipica dell’opportunismo elettorale italiano.

Dunque, nel Veneto, il PD ha perso molti consensi, oltre a registrare il più alto livello di astensione. Elementi che hanno permesso a Luca Zaia, il candidato di centro-destra, affiliato al partito della destra xenofoba e razzista, la Lega Nord, di vincere con il 38%.

La lezione della sconfitta di Renzi e del suo PD in Veneto ha due letture. La prima è che il “nuovo PD di Renzi”, senza la compravendita di voti, non riesce più a raggiungere il 41%, come accaduto nelle elezioni europee. Infatti, a maggio 2014, ormai alla vigilia delle elezioni, Renzi ha firmato un decreto legge che autorizzava il pagamento di 80 euro per tutti i lavoratori impiegati con contratto a tempo indeterminato, a partire da giugno, cioè, dopo le elezioni. Il che fa ricordare il romanzo del colonello Odorico Paraguaçu!

È necessario ricordare che i lavoratori che sono stati inclusi in questo decreto legge hanno votato in massa per il PD, consacrando Renzi, che si è approfittato di ciò per annientare la “vecchia guardia del compromesso storico del PCI berlingueriano”. Adesso, senza avere risorse per comprare nuovamente gli elettori, e non riuscendo a giustificare il perché di sempre più imposte e tasse, come anche i ripetuti tagli di bilancio del governo centrale, dei governi regionali e, soprattutto, dei comuni, la fiducia degli elettori in Renzi è notevolmente diminuita.

Ma in Liguria, la sconfitta del PD è stata peggiore, visto che in questa regione è esploso pubblicamente il conflitto tra il Comitato del PD della Liguria e la Segreteria Nazionale presieduta da Renzi. Uno scontro che è cominciato ad aprile, quando il primo ministro e anche segretario generale del PD aveva “snobbato” il candidato scelto dal Comitato regionale, nominando un’altra correligionaria sua, Raffaella Paita, che non è mai stata militante del PD, ma semplicemente una “persona stimata dal primo ministro”.

Per questo, la caduta del PD e di Matteo Renzi in Liguria è stata molto brutta, oltre che pesante, visto che l’opposizione interna è arrivata a presentare un’altra candidatura con Luca Pastorino, che ha ricevuto 61.234 suffragi, circa la metà di quelli di Raffella Paita. È bene ricordare che Paita si è avvalsa del sostegno dei media e delle incalcolabili disponibilità finanziarie del PD, per fare una potente e massiccia campagna elettorale in stile statunitense.

Le vittorie nelle regioni economicamente poco importanti (Umbria, Marche e Puglia) non hanno migliorato i risultati politici del PD, visto che queste regioni, come la Toscana, sono sempre state governate dagli uomini del PD. Problemi ci sono stati in Campania, dove Matteo Renzi, per sconfiggere il partito di Berlusconi, “Forza Italia”, ha permesso che il candidato del PD fosse un individuo con processi penali per corruzione e con il sospetto di aver ricevuto il sostegno di differenti famiglie della mafia napoletana, la “Camorra”.

Di fronte a ciò, molti trovano che questo nuovo “Partito Nazionale” che Renzi pretende di costruire sarebbe una moderna riedizione dell’antica Democrazia Cristiana, partito nel quale il primo ministro e gran parte degli attuali membri della Segreteria Generale del PD si sono formati in gioventù.

Il Movimento 5 Stelle

Senza molti mezzi finanziari, visto che tutti i parlamentari (nazionali, regionali e municipali) si sono ridotti i salari al 60%, il Movimento 5 Stelle ha fatto la campagna come faceva la sinistra nella decade dei ‘70, cioè, contando solo sulla militanza e la partecipazione popolare.

La novità è che, nonostante questo movimento abbia nella sua bandiera cinque stelle, non presenta né la falce, né il martello, né la foto dei leaders rivoluzionari sovietici, cubani o cinesi. Del resto, nello statuto c’è scritto: “Il Movimento 5 Stelle non è di destra e nemmeno di sinistra”. Tuttavia, bisogna interpretare questa frase, visto che il M5S, dal 2009, ha dimostrato di avere una morale e un’etica immacolata, oltre a rifiutare il sistema putrefatto della partitocrazia della politica italiana, sia essa di destra o di sinistra, denunciando tutti i tipi di maneggi commessi dalla classe politica.

Insomma, è l’unica componente politica che nel Parlamento italiano tenta di far votare leggi contro l’abuso delle transnazionali, a favore del rispetto della sovranità e per la riconquista dei diritti sociali che il mercato quotidianamente cancella. Come molti commentatori affermano: è un partito veramente progressista senza vincoli con il potere. Per tutto ciò, gli elettori hanno di nuovo premiato il Movimento 5 Stelle che, in modo omogeneo, ha registrato in tutte le regioni un’ampia crescita, raggiungendo una media di suffragi che oscilla tra il 21 e il 24%, trasformandosi, così, nel secondo partito italiano. Forse, altre sorprese avranno luogo nello scenario politico italiano, quando i candidati del M5S disputeranno il secondo turno delle elezioni municipali nell’80% delle città italiane.

I risultati vittoriosi del M5S hanno dimostrato che questo partito ha recuperato, a suo favore, molte fasce di elettori della sinistra, che ormai non votavano da molti anni, in particolare i militanti della nuova sinistra e, soprattutto, i giovani, che preferiscono votare i candidati del M5S al posto di sostenere quelli del PD o di SEL.

Questo fatto dimostra che il Movimento 5 Stelle, nonostante sia stato fondato da pochi anni, il 4 ottobre 2009, è riuscito, finalmente, a raggiungere una dimensione nazionale con una confortante percentuale di suffragi in ogni regione e in ogni municipio.

Di fronte a questo scenario, Beppe Grillo, il leader del M5S, ha dichiarato ai giornali: “Noi abbiamo un programma e, per questo, non facciamo accordi maldestri solamente perché l’altra parte dice di essere di sinistra; lo dice solo, perché, in realtà, commette le stesse malefatte della destra”. Per sottolineare, in seguito, insistendo su di una critica al PD e riaprendo la grande polemica che divide l’elettorato di quest’ultimo sulla negazione di qualsiasi alleanza con il M5S, che “Renzi ha perso la metà dei voti che ha ricevuto nel 2014 nelle elezioni europee, perché non si amministra un paese con le menzogne e con l’arroganza”.

Nella stessa ottica, Grillo ha riaffermato: “Come detto precedentemente, noi abbiamo un programma. Se il PD fosse disposto ad appoggiarlo facendo delle leggi sul “reddito di cittadinanza”, sulle energie rinnovabili, se accettasse di finirla con il sistema di imposizione fiscale di Equitalia e facesse tante altre cose buone che migliorerebbero la vita degli Italiani, noi voteremmo con loro. Tuttavia, se Renzi vuole continuare a essere il burattino i cui fili sono mossi dagli altri, che continui solo, noi non accettiamo magagne di nessun tipo”.

La fine di Berlusconi

Nonostante il partito di Berlusconi, “Forza Italia”, abbia registrato due risultati positivi in Liguria e in Veneto, ciò che è in discussione è l’essenza politica del partito del “Cavaliere Silvio Berlusconi”, che non riesce più a formulare nessun tipo di parola d’ordine. Infatti, il successo politico di Berlusconi è stato la viscerale avversione alla sinistra, ai sindacati e, in particolare, ai comunisti. Adesso che i comunisti del PRC non siedono più nei banchi del Parlamento e quelli che sfilano in SEL fanno di tutto per negare qualsiasi legame ideologico con il marxismo, Berlusconi ha perso la carta magica del suo mazzo: quella dell’anti-comunismo.

Un’altra carta persa è stata l’inquadramento della maggioranza dei sindacati e la fine dell’unità delle tre confederazioni, essendo che la UIL e la CISL sono praticamente controllate dagli “amici” del governo e della Confindustria (la FIESP italiana).

È in questo scenario che lo spazio della destra comincia a essere egemonizzato da Matteo Salvini, il nuovo leader del partito xenofobo e razzista d’Italia, la Lega Nord, che, dopo aver abbassato i toni sui “terroni” (gli Italiani del Sud che puzzano di terra), è tornata a occupare molto spazio nei media con campagne di odio contro gli immigrati, dal momento che l’Italia sta soffrendo un autentico esodo di africani, arabi e magrebini, a partire dalla Libia.

È chiaro che questa destra xenofoba e razzista che si confonde con l’estrema destra di origine neo-fascista (Fratelli d’Italia), dopo aver abbandonato la dorata carrozza berlusconiana, vuole trovare una sua dimensione politica, e questo, forse, rappresenta un pericolo per le istituzioni. Una dimensione che sfrutta il disaccordo e la rabbia di una parte degli Italiani per l’“invasione” di migliaia di immigrati africani, che quotidianamente arrivano dalla Libia, in un momento di crisi nel quale le strutture italiane per l’accoglienza sono sature e non si sa più dove ospitare tanti immigrati.

Questo contesto può accendere una pericolosa miccia e provocare nefaste esplosioni sociali contro gli immigrati, a partire dalle quali “qualcuno” può esigere il ritorno di “un governo dell’ordine per dare pace ai buoni Italiani!”.

Achille Lollo è un giornalista italiano, corrispondente di Brasil de Fato in Italia, curatore del programma TV “Quadrante Informativo” ed editorialista del “Correio da Cidadania.

[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

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