di Romina Capone
Sono trascorsi settantacinque anni dalla liberazione dei campi di concentramento nazisti di Auschwitz Birkenau da parte dell’Armata Rossa. Il Giorno della Memoria lo chiamano. Come se bastasse ricordare per addolcire, per un paio di giorni l’anno, il male che i nazisti hanno impresso nell’animo umano. C’è un concetto fondamentale attinente il capitolo Shoah della storia dell’uomo su cui è importante soffermarsi: l’arte e le forme di resistenza nei campi di concentramento. Perchè esistono infiniti modi di fare resistenza ed i deportati sopravvissuti ma anche quelli che morirono magistralmente ce lo insegnano. Il 27 gennaio si parla molto dell’Olocausto. Per non dimenticare. E per non dimenticare, come testimone di seconda generazione, Maria Teresa Iervolino compie un lavoro esemplare; lei è un’insegnate, unica traduttrice italiana ufficiale di Ivan Klíma ed attraverso i suoi libri parla alle nuove generazioni: lo ha fatto in due istituti scolastici rispettivamente il 28 e il 29 gennaio: al Liceo Scientifico Statale “Arturo Labriola” di Napoli sotto la presidenza di Luisa Vettone e al Liceo linguistico-classico e scientifico “Alfonso M. De’ Liguori” di Acerra accolti dal dirigente scolastico Giovanni La Montagna. Entrambe le scuole hanno aperto le porte a temi profondi. Insieme agli alunni ed al corpo docente si è discusso e riflettuto molto sulle barbarie compiutesi nel campo di concentramento di Terezin.
Il campo degli artisti e dei bambini dove lo scrittore ceco Klíma fu deportato. Ed è proprio in questo campo di concentramento, non di sterminio, che la resistenza divenne attiva seppur passiva. Theresienstadt si trova a sessanta chilometri da Praga; è nota per aver concentrato nel campo i maggiori artisti, il fior fiore degli intellettuali ebrei mitteleuropei, pittori, scrittori, musicisti e con una forte presenza di bambini. Le SS utilizzarono a scopo di propaganda il campo. Quando un Capo di Stato faceva visita in quel campo tutto doveva apparire nelle migliori condizioni. Uno spettacolo terrificante. Venivano distribuite, solo a pochi eletti per il macabro show, doppie razioni di “pappa”. Solo per pochi eletti la doccia con l’acqua calda e abiti puliti. Solo per pochi eletti la vetrina finta del benessere. Loro, gli sfortunati pochi eletti immediatamente concluso il tour sarebbero partiti per l’Est. Senza mai più ritorno. Ad Est di Terezin vi è Auschwitz. La musica fu bandita ovunque quindi divenne clandestina, tranne a Theresienstadt dove furono eseguiti centinaia di concerti con un pubblico misto di ebrei ed SS. Il repertorio proposto era infinito. I tedeschi non si resero conto di aver innescato una macchina inarrestabile di resistenza. Il maestro Angelo Branduardi introducendo un suo lontano concerto afferma che la musica crea una sensazione di ondeggiamento lontano, si muove in una sorta di magia, di sogno: è la sua tipicità. Trasporta. La musica non è qui e ora, trascende il concetto dell’oltre. Il musicista vede al di là del muro. La musica – spiega – è l’unica attività umana che riesce a conciliare l’inconciliabile. Si suona con l’anima, con la mente e con il corpo. La musica esprime sempre la potenza della vita e della gioia di vivere perché sconfigge la paura.
Per un secondo provate a contestualizzare: immaginate; usate la fantasia e non serviranno parole.
Secondo l’Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti il fermento musicale di Theresienstadt fu dovuto al fatto che molti artisti imprigionati cercarono di mantenere la loro identità musicale attraverso la prosecuzione delle loro attività precedenti e non solo: la musica diventa arma di ribellione, ed è usata come strumento per infondere sia la speranza in una possibile liberazione dal tiranno, sia la forza morale per poter agire in una tale condizione di dolore e disperazione. La fiaba offriva pertanto ai detenuti una via per allontanarsi dalla realtà e rifugiarsi in un altro mondo, per dare sfogo alle fantasie e ai desideri collettivi, identificando in quel malvagio, il tiranno invisibile della loro storia, Hitler, che finalmente erano riusciti, anche se “virtualmente”, a rovesciare. L’opera musicale Brundibar ha infuso nei prigionieri di Theresienstadt, seppur per breve tempo, la speranza, la voglia di continuare a vivere e a sperare in tutta una serie di cose che difficilmente essi avrebbero potuto immaginare di nuovo e rivivere. L’arte, più in particolare la musica, nel nostro caso assume dunque una funzione “catartica”, di purificazione dei traumi vissuti attraverso la rievocazione tragica degli stessi che quasi va sfumando nel comico, nel grottesco, spiga l’ANED.
A Terezin vennero deportati i bambini di età compresa tra 7 e 13 anni. Dall’analisi dei loro disegni si evince che non compare mai la figura umana (le uniche figure umane raffigurano deportati e sono stati disegnati sotto l’ordine imposto dalle SS di “disegnare cosa vedi”). Il disegno libero invece ritrae il più delle volte la natura (animali, fiori) o la propria abitazione. Pertanto considerando che il disegno della figura umana rappresenta l’espressione di sé, o del corpo, nell’ambiente, e l’immagine composita che costituisce la figura disegnata è intimamente legata al Sé in tutte le sue ramificazioni pertanto l’obiettivo dell’annullamento della persona voluto dai tedeschi nazisti stava funzionando. Storie di bambini sono contenuti nel nuovo libro di Maria Teresa Iervolino “Un Bambino a Terezin” Iod edizioni.
La resistenza nei campi di concentramento non è una resistenza armata partigiana. questa è una vera e propria resistenza della specie umana. Entra in gioco l’istinto di sopravvivenza: consapevolmente o meno i meccanismi psicologici e cognitivi si sono armati per resistere e lottare contro qualcosa che anche per l’uomo stesso è inconcepibile.