Il Venezuela non è l’Ucraina

_mg_28951396122154La rappresentazione degli scontri in Venezuela è notevolmente deformata dai media occidentali. Questo è un classico conflitto fra destra e sinistra, ricchi e poveri.

di Mark Weisbrot – The Guadian

Le proteste attualmente in corso in Venezuela ricordano un altro momento storico in cui le rivolte di strada sono state usate da politici di destra nell’ambito del tentativo di rovesciare il governo eletto.

Dal dicembre del 2002 fino al febbraio 2003 ci furono scioperi per lo più di colletti bianchi dell’industria petrolifera nazionale, insieme ad alcuni imprenditori. I media statunitensi diedero a credere che la gran parte del paese era in sciopero contro il governo, quando in realtà si trattava di meno dell’uno per cento della forza lavoro.

La diffusione dei video fatti con i cellulari e dei social media nello scorso decennio hanno reso più difficile falsificare la rappresentazione di cose che possono essere facilmente filmate. Ma la situazione del Venezuela è ancora clamorosamente distorta dai principali mezzi di informazione. Il New York Times ha dovuto fare un errata corrige la scorsa settimana per un articolo che si apriva con la frase «L’unica stazione televisiva che trasmette regolarmente voci critiche verso il governo…». La realtà è che tutte le emittenti televisive private «trasmettono regolarmente voci critiche verso il governo». E i media privati hanno oltre il 90% del pubblico televisivo in Venezuela. Uno studio fatto dal Carter Center della campagna per le elezioni presidenziali lo scorso aprile ha mostrato un vantaggio del Presidente Maduro sullo sfidante Henrique Capriles in termini di copertura televisiva (57% contro 34%), ma quel vantaggio è sensibilmente ridotto quando si prendono in considerazione gli ascolti.

Sebbene si siano registrati abusi di potere e ci sia uno stato di diritto imperfetto in Venezuela (come capita in tutto l’emisfero), è ben lontano dall’essere lo Stato autoritario che la maggior parte dei consumatori di informazione occidentali sono portati a credere. I leader dell’opposizione cercano al momento di rovesciare il governo democraticamente eletto (è il loro fine esplicito) dipingendolo come una dittatura repressiva che sta soffocando proteste pacifiche. Questa è una tipica strategia di “cambiamento di regime”, che spesso comprende manifestazioni violente al fine di provocare violenza di Stato.

Gli ultimi numeri ufficiali parlano di otto vittime confermate fra i manifestanti dell’opposizione, ma non ci sono prove che queste siano il risultato degli sforzi da parte del governo di schiacciare il dissenso. Sono state uccise anche almeno due persone simpatizzanti del governo, e due motociclisti sono stati uccisi (uno decapitato) da fili metallici piazzati dai manifestanti. Undici delle cinquantacinque persone attualmente detenute per crimini che sarebbero stati commessi durante le proteste sono agenti delle forze dell’ordine.

Naturalmente la violenza è deplorevole da entrambe le parti, e i manifestanti detenuti (compreso il loro leader Leopoldo López) dovrebbero essere rilasciati su cauzione a meno che non ci sia un motivo legale e valido per la custodia cautelare. Ma è difficile argomentare, a partire da ciò che sappiamo, che il governo sta cercando di sopprimere una protesta pacifica.

Dal 1999 al 2003 l’opposizione venezuelana ha una strategia di «presa del potere manu militari», secondo Teodoro Petkoff, un giornalista di punta dell’opposizione che pubblica il quotidiano Tal Cual. In questo si scrivono il colpo di stato dell’aprile 2002 e lo sciopero petrolifero e padronale del dicembre 2002-febbraio 2003, che mise in ginocchio l’economia. Anche se l’opposizione alla fine ha optato per una via elettorale al potere, non è stato il processo che si vede nella maggior parte delle democrazie, in cui i partiti di opposizione accettano la legittimità del governo eletto e cercano di cooperare almeno su alcuni obiettivi comuni.

Una delle forze più importanti che hanno incoraggiato questa polarizzazione estrema è stato il governo degli Stati Uniti. È vero che altri governi di sinistra che hanno implementato cambiamenti economici di tipo progressista sono stati politicamente polarizzati: Bolivia, Ecuador e Argentina, ad esempio. Ma Washington si è impegnata per un “cambiamento di regime” in Venezuela più che in qualsiasi altro paese del Sudamerica; e non sorprende, dato che nel suo sottosuolo ci sono le più grandi risorse petrolifere del mondo. E questo ha sempre fornito ai politici di opposizione un forte incentivo a non lavorare nella cornice del sistema democratico.

Il Venezuela non è l’Ucraina, dove era possibile vedere i leader dell’opposizione collaborare pubblicamente con agenti statunitensi nei loro tentativi di rovesciare il governo, e non pagare apparentemente nessun prezzo per averlo fatto. Naturalmente gli Stati Uniti hanno aiutato l’opposizione venezuelana finanziandola: basta leggere i documenti del governo USA disponibili sul web per trovare circa 90.000.000 di dollari di finanziamenti statunitensi al Venezuela a partire dal 2000, compresi 5 milioni nell’attuale budget federale. Anche le pressioni per l’unità dell’opposizione e i consigli tattici e strategici aiutano: Washington ha decenni di esperienza nel rovesciare governi, e si tratta di un patrimonio di conoscenze specialistiche che non si imparano nei circuiti accademici. Ancora più importante è la sua enorme influenza sui media internazionali e quindi sull’opinione pubblica.

Quando John Kerry ha fatto dietro-front, ad aprile, riconoscendo i risultati delle elezioni venezuelane, ha determinato la fine della campagna dell’opposizione per il non riconoscimento. Ma la vicinanza della leadership dell’opposizione al governo statunitense è anche un punto di debolezza in un paese che è stato all’avanguardia della “seconda indipendenza” del Sud America iniziata con l’elezione di Hugo Chávez nel 1998. In un paese come l’Ucraina potevano sempre indicare la Russia (e ancora di più adesso) come una minaccia per l’indipendenza nazionale; i tentativi dei leader di opposizione venezuelani di dipingere Cuba come una minaccia per la sovranità venezuelana sono risibili. Sono solo gli Stati Uniti a minacciare l’indipendenza del Venezuela, con Washington che lotta per riprendere il controllo di una regione che ha perso.

A undici anni dallo sciopero petrolifero, le linee di divisione del 2002 non sono cambiate poi tanto. C’è l’ovvia divisione in classi, e c’è ancora una differenza percepibile in termini di colore della pelle fra l’opposizione (che è più bianca) e le folle partigiane del governo, cosa che non sorprende in un paese e in una macro-regione in cui il reddito e la razza sono spesso fortemente correlati.

Per quanto riguarda le leadership, una fa parte di un’alleanza macro-regionale anti-imperialista, l’altra ha Washington come alleato. E sì, c’è una grossa differenza fra le due leadership riguardo al rispetto per una democrazia elettorale ottenuta a duro prezzo, come è dimostrato dagli attuali scontri. Per l’America Latina, è una classica divisione fra sinistra e destra. Il leader dell’opposizione Henrique Capriles ha cercato di coprire questa distanza con una metamorfosi, trasformandosi dalla quintessenza della destra nel Lula del Venezuela nelle sue campagne presidenziali, lodando i programmi sociali di Chávez e promettendo di ampliarli. Ma ha avuto un atteggiamento altalenante per quanto riguarda il rispetto delle elezioni e della democrazia e, vistosi superato dall’estrema destra (Leopoldo López e María Corina Machado), la settimana scorsa ha rifiutato le offerte di dialogo del presidente. A conti fatti sono tutti troppo ricchi, elitari e di destra (pensate a Mitt Romeny e al suo disprezzo per il 47%) per un paese che ha ripetutamente votato per dei candidati che proponevano una piattaforma socialista.

Nel 2003, poiché non controllava l’industria petrolifera, il governo non aveva ancora mantenuto molte delle sue promesse. Un decennio più tardi, la povertà e la disoccupazione sono state ridotte di oltre la metà, la povertà estrema di oltre il 70%, e milioni di persone hanno pensioni che non avevano prima. La maggior parte dei venezuelani non getteranno via tutto questo perché hanno avuto un anno e mezzo di inflazione alta e una maggiore scarsità di beni di consumo. Nel 2012, secondo la World Bank, la povertà è diminuita del 20%, la diminuzione più sensibile nelle Americhe. I recenti problemi non durano da abbastanza tempo affinché la maggior parte della gente abbandoni un governo che ha innalzato il loro tenore di vita più di qualsiasi altro da decenni a questa parte.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Pier Paolo Palermo – Si ringrazia Shirley Moore per la segnalazione]

 

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