BOLÍVAR VIVE

di Luis Britto García

Domenica 18 Dicembre 2011

BOLÍVAR VIVE

Bolívar vive nelle sue opere. È morto in vita chi non crea. Esistono appena quelli i cui lavori non sopravvivono. Il creatore vive mentre la sua opera sussiste. Siamo la durata dei nostri progetti. È abitudine, il 17 dicembre commemorare una vita passata. Prima di deplorare ciò che è perduto, bisogna celebrare quello che perdura.

BOLÍVAR MUORE

La battaglia per l’eternità è come quella che si libra per la vita: precaria e incessante. Bolívar muore ogni volta che il suo nome viene invocato contro le sue idee.

BOLÍVAR VIVE

Nei venti milioni di chilometri quadrati che aiutò a liberare.

BOLÍVAR MUORE

Ogni volta che gli imperi piantano bandiere nelle distese arraffate in Messico, nei territori occupati di Porto Rico, nella superficie colonizzata delle Malvinas, nei possedimenti ancora coloniali o nelle indipendenze nominali ma ancora sottomesse a statuti neocolonialisti.

BOLÍVAR VIVE

Nella prodigiosa geografia che conserva le più abbondanti risorse di acqua dolce, biodiversità, energia e minerali del pianeta; nelle norme che conferiscono la proprietà di questi ai nostri paesi, come il decreto che il Libertador rilascia a Quito il 24 Febbraio 1829, secondo il quale “le miniere di qualsiasi tipo appartengono alla Repubblica”.

BOLÍVAR MUORE

Ogni volta che una porzione del corpo non rinnovabile dell’America viene negoziata con le transnazionali, consegnata in cambio di cianfrusaglie, depositata per procurarsi il superfluo, per legittimare rapine ambientali dei monopoli, abbandonata all’inquinamento o al saccheggio o privatizzata per le appropriazioni esclusive e private delle imprese o delle etnie.

BOLÍVAR VIVE

Nel senza terra, nel senza lavoro, nel senza tetto, nell’affamato, nell’emarginato, nell’escluso, in chi non ha documenti, nell’esiliato, nello schiavo della molenda, nell’immigrato clandestino (espaldamojada), nel sequestrato, nel desaparecido, nel falso positivo.

BOLÍVAR MUORE

Nei parlamenti che annullano i diritti sociali, nei governi che proteggono le molende contro le tasse e le leggi sul lavoro, nei sindacati venduti ai padroni, nelle associazioni padronali che fingono le relazioni di lavoro terziarizzandole con intermediari fantasma.

BOLÍVAR VIVE

Nell’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela, che proclama come diritto irrinunciabile della Nazione l’Indipendenza, la sovranità, l’immunità, l’integrazione territoriale e l’autodeterminazione nazionale.

BOLÍVAR MUORE

Ogni volta che un giudice sentenzia che la sovranità del Venezuela non è assoluta e che la Repubblica non ha immunità davanti ai giudici, arbitri e carnefici stranieri.

BOLÍVAR VIVE

Quando i nostri paesi si ritirano dagli organismi che sottomettono la propria sovranità i loro contratti di interesse pubblico alle sentenze di dipendenza della Banca Mondiale o giunte arbitrali al servizio dei consorzi.

BOLÍVAR MUORE

Nel momento in cui un governo versa sul popolo un Debito impagabile per superfluità. Nell’istante in cui un Potere Legislativo sanziona Infami Trattati contro il Doppio Tributo, che difendono le transnazionali dal pagamento di tasse nei nostri paesi ed obbligano il popolo a pagare il carico tributario che i capitali stranieri eludono. Nelle norme tributarie regressive, che castigano coloro i quali guadagnano poco o niente e esentano chi accumula fortune.

BOLÍVAR VIVE

Quando i nostri paesi denunciano i falsi trattati di libero commercio, simili a quelli che il Libertador denuncia il 27 Ottobre 1825 tramite lettera al vicepresidente Santander da Potos: “Il trattato di amicizia e commercio tra Inghilterra e Colombia equivale a un peso che mostra su una faccia l’oro e sull’altra il piombo. Vendute queste due quantità vedremo se sono uguali. La differenza che ne risulterebbe sarebbe l’uguaglianza necessaria che esiste tra un forte ed un debole.”

BOLÍVAR MUORE

Quando le disposizioni di Trattato di Libero Commercio, uniformemente rifiutati, come l’ALCA, si infiltrano nuovamente attraverso accordi bilaterali, Trattati di Promozione e Protezione di Investimenti, vergognose clausole incostituzionali nei contratti di interscambio pubblico e accordi di scambio mercantile con paesi che a loro volta hanno Trattati di Libero Commercio con gli imperi.

BOLÍVAR VIVE

Nel miliziano che prende le armi per imporre la sovranità popolare o difenderla.

BOLÍVAR MUORE

Ogni volta che nella “quarta parte del mondo” che lui ha liberato si aprono basi militari esterne alla regione, si sottoscrivono trattati di assistenza militare all’imperialismo, si creano scuole imperiali di contro-insorgenza o missioni castrensi per tutelare la nostra milizia, si finanziano con fondi dell’imperio smisurati macchinari militari che attentano all’equilibrio strategico della regione, si dà via libera a guerre fratricide con l’intento esclusivo delle transnazionali, partono aggressioni programmate, appoggiate e dirette dagli imperi, si creano forze paramilitari per favorire il terrorismo di Stato, si ammette l’ingerenza di forze di polizia o parapolizia foranea, si inviano latinoamericani come carne da macello in truppe ausiliarie o mercenarie per lottare in guerre imperiali ai confini del mondo.

BOLÍVAR VIVE

Nel sabotato Congresso Anfitrionico di Panama, nel suo piano del 1826 di una “federazione tra Bolivia, Perù, Colombia più stretta degli Stati Uniti, capeggiata da un presidente e un vicepresidente e retta dalla costituzione boliviana, che potrà servire agli stati in particolare e per la federazione in generale, facendo variazioni sul caso. L’intenzione di questo patto è la perfetta unità possibile sotto forma federale”. Il Libertador rivive nei progetti latinoamericani di Eloy Alfaro e Cipriano Castro, Augusto Cesar Sandino, nel Mercosur, nell’Alba, in Unasur, nella Celac, in tutti ed in ognuno degli sforzi dei latinoamericani e dei caraibici per riconoscerci nella grande nazione che siamo e che saremo.

BOLÍVAR MUORE

Nelle cospirazioni secessioniste della Cosiata, nello smembramento della Gran Colombia e del Centroamerica, nei tentativi di frammentare i nostri paesi invocando scuse regionali o etniche, nelle Organizzazioni Non Governative, che operano come lacchè sostenute dalle potenze straniere, nel panamericanismo servile, nelle organizzazioni costituite come Ministeri delle Colonie degli imperi che pretendono guidare i nostri governi, i nostri tribunali e le nostre economie, le nostre coscienze.

BOLÍVAR VIVE

Nei sistemi educativi gratuiti per tutte le classi sociali e centrati nell’apprendimento dell’esperienza e la ricerca sostenuta da Simón Rodríguez; nella partecipazione politica fondata sulla conoscenza e non sulla proprietà, istaurata nella prima Costituzione della Bolivia; nell’articolare il pensiero che la divulga, esamina, critica e dibatte.

BOLÍVAR MUORE

Nei sistemi educativi con tariffe per i privilegiati, tutelati da burocrazie imperiali o clericali; nella conoscenza trattata come merce, nel meccanismo di copyright concepito come carcere per la schiavitù mentale, nei mezzi al servizio dell’interesse foraneo o oligarchico che diffondono solo contenuti fallaci o importati.

BOLÍVAR VIVE

In chi inventa, in chi crea, in chi si interroga, in chi impegna tutta la propria coscienza sull’enigma inesauribile dell’essere americano.

BOLÍVAR MUORE

In chi copia, in chi imita, in chi rimisura, in chi non ha buon senso, in chi plagia, in chi vitupera il suo proprio essere, in chi claudica.

BOLÍVAR VIVE

Viva Bolívar!

[trad. dal castigliano di Martina Tabacchini]

Da Caracas a Damasco: siamo tutti siriani!

di Francesco Guadagni

Sotto lo slogan, “Siamo tutti con il popolo siriano”, una serata di poesia a Caracas a sostegno della Siria.

Noi tutti siamo con il popolo siriano, il Ministero venezuelano della Cultura, su iniziativa della scuola poetica venezuelana “Simón Bolívar”, ha organizzato una serata poetica e culturale in solidarietà con la Siria contro la campagna di aggressione imperialista.

Poeti e intellettuali del Venezuela e di alcuni paesi dell’America Latina, nonché rappresentanti delle istituzioni venezuelane e i figli della comunità siriana hanno partecipato alla riunione tenutasi durante le attività del 10 ° Festival Mondiale della Poesia, inaugurato la settimana scorsa dal ministro venezuelano della Cultura.

Nelle loro poesie, i poeti hanno espresso i loro sentimenti più profondi e la loro solidarietà con il popolo siriano e il legittimo governo, nella loro lotta contro l’imperialismo e il terrorismo, rendendo omaggio alla forza della Siria e hanno espresso la loro solidarietà ai bambini siriani che costituiscono la più grande perdita nella crisi.

Datagate? Iniziò a Roma: quando Nsa spiò Chávez

Nel maggio 2006 l’intelligence Usa organizzò una massiccia operazione di spionaggio contro il presidente venezuelano. La Capitale fu intercettata per una settimana
Il DatagateEbbe inizio a Roma nel maggio del 2006 quanto su ordine di George Bush mezza città venne intercettata dalla Nsa perché si voleva carpire ogni minimo dettaglio sulla visita di Hugo Chávez in Italia. Prima Roma, poi il G20 del 2009 con tecniche e tecnologie più affinate. Ha rivelato Edward Snowden che il G20 del 2009 era stato caratterizzato da un articolato sistema di spionaggio delle conversazioni di intere delegazioni e dei leader presenti al vertice, attraverso l’installazione di Internet point truccati con software-spia e il controllo capillare del sistema dei Blackberry utilizzati dagli ospiti e ogni altra diavoleria.
Quello che ancora non si sa – e che Globalist è in grado di riferire tramite una fonte qualificata che ebbe un ruolo diretto nella vicenda – è che la grande operazione di spionaggio del G20 ha avuto in Italia il vero banco di prova. Un’azione massiccia dell’Nsa che determinò un salto di qualità che avrebbe consentito all’agenzia di intelligence di diventare il grande fratello su scala planetaria di cui oggi si parla tanto.
Bisogna tornare al maggio 2006, seconda visita di Hugo Chávez, presidente del Venezuela, in Italia. Chávez, allora, era in una posizione di scontro frontale con gli Stati Uniti e, in particolare, con George Bush che alcuni mesi dopo (a settembre) avrebbe definito il diavolo che puzza di zolfo. Del resto gli Stati Uniti anni prima avevano appoggiato il fallito colpo di Stato contro il presidente venezuelano e uno degli agenti della Cia coinvolti nel complotto era successivamente stato destinato proprio alla stazione Cia di Roma. Combinazioni.
La National Security Agency, durante quei giorni, mise in atto un’operazione di Sigint (signal intelligence) ossia di spionaggio elettronico senza precedenti che rappresentò l’inizio di una nuova fase nelle capacità di controllo e penetrazione.
7 Maggio 2008. A Ciampino, area riservata, atterra un aereo con a bordo alcune persone “invisibili”, senza né nome, né identità. La procedura è la stessa che sarebbe poi diventata tristemente nota all’opinione pubblica per le extraordinary rendition e che era già una proceduta standard: massima segretezza, il minor numero di tracce possibili.
Gli occupanti dell’aereo erano parte di un team di eccellenza dell’Nsa. Arrivati a Ciampino furono portati direttamente in un’ala dell’ambasciata degli Stati Uniti in via Veneto, nella quale restarono come reclusi in isolamento per tutta la durata della missione. Niente alberghi, niente contatti con l’esterno e nemmeno con il personale dell’ambasciata. Finita la missione stesso percorso al contrario per Ciampino. Il team aveva con se delle attrezzature di assoluta avanguardia (parliamo del 2006) in grado di interagire con il sistema satellitare e guidarlo e interagire con gli aerei spia.
9 maggio 2006. Sul cielo della Capitale cominciano a volare due aerei spia direttamente controllati dall’Nsa. Due aerei che, dandosi il cambio, sarebbero rimasti ininterrottamente (h24 nel gergo militare) in volo sopra Roma per non far mancare nemmeno per un minuto la vigilanza.
10 maggio 2006. A Roma arriva il presidente del Venezuela Hugo Chávez. Il suo è un tour in Europa. A Roma l’incontro più importante è quello previsto per l’11 mattina con Papa Benedetto XVI. In agenda anche una visita e colloquio privato con il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Chávez va diretto in un albergo di via Veneto, paradossalmente a poche decine di metri dal team giunto nella capitale per spiarlo. Ma è solo un dettaglio: le tecnologie avrebbero garantito egualmente un controllo a distanza di chilometri.
L’operazione Nsa comincia in tutti i suoi aspetti. Sotto controllo finiscono tutte le frequenze radio (comprese quelle degli apparati italiani); sotto controllo finisce la rete internet secondo modalità simili, ovviamente secondo le possibilità di quel periodo, a quella descritta da Snowden per la Cina: si entra nei gangli delle reti di comunicazione che danno accesso alle comunicazioni di centinaia di migliaia di persone senza dover piratare ogni singolo computer; ovviamente i telefoni.
Per tutta la durata del viaggio Hugo Chávez viene pedinato elettronicamente grazie a due strumenti di straordinaria importanza per la Signal Intelligence: il bombardamento radio e la capacità diascolto a grande distanza. Ossia con il solo utilizzo dei satelliti e degli aerei spia Nsa fu un grado di ascoltare le conversazioni di Chávez, anche quelle private e che si svolgevano nei luoghi chiusi e, ovviamente, nei luoghi aperti. Non c’era bisogno di microfonare le stanze o di mandargli alle calcagna qualche spia armata di microfono.Tutto via satellite con le potentissime tecnologie. Ovviamente costosissime.
Ma quando il presidente venezuelano si spostava da un luogo all’altro, oppure si trovava in qualche posto dove le onde radio provocavano interferenze e non si riuscivano ad ascoltare le conversazioni, Nsa era in grado di attivare un dispositivo di emergenza: l’abbattimento di tutte le onde e le frequenze in un raggio di circa 500/600 metri. In pratica mentre era attivato il dispositivo i telecomandi di tv o cancelli non funzionavano; la linea dei telefoni cellulari si interrompeva; le radio diventavano mute. Il tutto non per ore ma per qualche decina di secondi. Nulla che non potesse essere scambiato per un normale temporaneo malfunzionamento, senza quindi generare sospetti. Ma che garantiva a Nsa il tempo necessario per “pulire” il segnale.
L’operazione Chávez costò un’enormità ma fu voluta da George Bush in persona che vedeva nel presidente venezuelano uno dei principali nemici e che voleva conoscere ogni dettaglio sul suo avversario, le sue strategie e quali fossero i suoi contatti e referenti internazionali.
Partito Chávez i due aerei spia migrarono per altri cieli. Il team dell’Nsa rimase un altro giorno recluso in ambasciata prima di essere riportato segretamente a Ciampino; i vertici Nsa che avevano seguito tutto dalla sala situazione (esattamente come Obama avrebbe seguito l’uccisione di Bin Laden e come si vede nei film) cominciarono ad analizzare il bottino.
Quale fu il bottino di quell’operazione? Il seguito alla prossima puntata. Al momento una consapevolezza: l’operazione Chávez fu un banco di prova. Senza di quella non ci sarebbe stata quella del G20 e chissà quante altre. Correva l’anno 2006. Da allora non ci si è fermati più.
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