Napoli: Primo tavolo per l’Unità e il dialogo venezuelano

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di Indira Pineda Daudinot

3apr2014.- Il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli, insieme ad i rappresentanti delle associazioni di solidarietà, organizzazioni politiche, gruppi ecologisti e membri del mondo accademico e gioranlistico, ha costituito il primo tavolo di lavoro in Unione per la Pace. L’attività sì è tenuta nella Sala Simón Bolívar della Biblioteca Nazionale di Napoli, ed ha contato con la partecipazione di Jesús López e Rocío Arraiz, giornalisti venezuelani del Sistema Bolivariano di Comunicazione e Informazione.

Il console Carlos Abreu, ha esposto sulla politica internazionale messa in campo dal Venezuela in funzione della pace, in difesa dei Diritti Umani ed il rispetto della libertà di espressione, come nello spirito della Carta Magna della Repubblica.

“Il governo venezuelano ribadisce la sua determinazione a promuovere un clima di pace, la stabilità e la convivenza all’interno del popolo venezuelano, e chiede alla comunità internazionale di analizzare obiettivamente la natura di questi attacchi”, ha sottolineato il Console Abreu.

Tra le proposte avanzate da parte del Premio Nobel per la Pace Gnisci Bruno e Ciro Brescia, presidente di ALBAssociazione, quella di coinvolgere nel dialogo in relazione con l’America Latina e nello specifico con il Venezuela, i lavoratori latinoamericani migrati della regione Campania, gli intellettuali, gli accademici, le associazioni italo–venezuelane, gli attivisti del mondo pacifista, nonché la promozione di nuove Reti Associative Nazionali ed Internazionali ed Organizzazioni Sociali di solidarietà.

La professoressa Giovanna Russo della Università L’Orientale, ha proposto di dare a conoscere la realtà venezuelana attraverso scambi accademici e il livello di cooperazione educativa.

La eco-attivista contro le guerre, Marinella Correggia, ha ricordato l’importanza del Venezuela nelle iniziative di pace e contro le guerre negli ultimi anni, dalla guerra contro l’Iraq, la Libia e la destabilizzazione in atto in Siria.   

Francesco Guadagni, giornalista freelance, ha ricordato come la Repubblica Araba di Siria, primo paese extra-continentale ad aderire all’ALBA, stia resistendo contro la guerra di infiltrazione paramilitare foraggiata dall’imperialismo e come in questi anni l’esercito siriano si sia dovuto trovare a fronteggiare oltre 250mila mercenari terroristi provenienti da 89 paesi del mondo. 

Mentre l’artista grafico Leticia Cascone Ruiz, della GAlleЯi@rt, ha evidenziato l’importanza di sviluppare la pace attraverso la cultura e gli elementi più propriamente sociali, promuovendo la consapevolezza della identità e della tradizione venezuelana.

Gianmarco Pisa, dei Corpi civili di Pace, di ritorno dalla ex-jugoslavia, ha letto un passaggio della dichiarazione di Belgrado con la Repubblica Bolivariana del Venezuela denunciando la continua minaccia ed aggressione degli USA.

Il giornalisti Guido Piccoli ha ricordato come il Venezuela partecipi e sostenga i dialoghi per l’accordo di pace tra il governo colombiano e la guerriglia delle FARC-EP che si stanno svolgendo a La Habana-Cuba, un conflitto questo, militare e dispiegato che va avanti da decenni, e Francesco Romanetti de Il Mattino, ha sottolineato la necessità di rendere noti i fatti in Venezuela, con un linguaggio semplice e diretto, oltre a spiegare le cause interne del conflitto di classe nel paese.

L’iniziativa si è conclusa con la firma di un “Memorandum di Solidarietà per la Pace”, che promette di continuare ad analizzare e far conoscere la realtà venezuelana, arricchito con le dichiarazioni e le proposte espresse dai partecipanti alla sfera politica, culturale, sportiva e mediatica.

 

Il Potere Costituente delle Elite ed il carattere fallito degli Stati latinoamericani

di Héctor Testa Ferreira*

Vista la crescente egemonia dei paesi occidentali nei processi di mondializzazione stimolati dal movimento espansivo del capitalismo industriale e dalle dinamiche colonialiste e imperialiste a esso consustanziali, i processi di costruzione dello Stato nel nostro continente (e negli altri del cosiddetto “terzo mondo”) sono la conseguenza di un processo esterno, coloniale, con alti livelli di disparità sociale. Nelle sue sfaccettature estreme, ma non per questo meno comuni, vi sono state diffuse realtà d’intenso sfruttamento economico, nelle quali ha vissuto la maggior parte della popolazione, compresa quella dei territori nazionali, sottoposta all’estrazione intensiva delle loro risorse. Senza per questo tacere dei molteplici aspetti sotto i quali si sono manifestati le violenze statali o parastatali compiute dalle varianti autoritarie dell’ordine oligarchico. Di modo che il “potere costituente” nel quale le élite e le oligarchie hanno rovesciato il loro progetto storico (di carattere rimodernatore e occidentale, o almeno nel tentativo di esserlo) ha per questa ragione una insolvenza sin dalle sue origini e nella propria essenza: il poco radicamento e la mancanza di legittimità nelle realtà sociali dove vive la maggioranza della popolazione e la maggior parte dei territori dove questa si sviluppa[1]. È quello che nel linguaggio giuridico è stato considerato come mancanza o carenza di effettività e di applicazione del diritto[2], e dalla teoria sociale e storiografica indicato con il termine di “Stato fallito”. La mancanza di legittimità che tante volte hanno sofferto i progetti storici delle élite nel continente ha la sua origine in questo carattere esterno, di “instaurazione” di un progetto, formulato e stimolato da una minoranza radicalmente differenziata e separata dal resto della maggioranza.

Se accettiamo la distinzione effettuata dalle teorie neocostituzionaliste[3], potremmo affermare che i paesi del nostro continente hanno avuto una Costituzione in senso formale (un testo scritto con alcune formulazioni e dichiarazioni), ma non una Costituzione in senso materiale (un ordinamento politico, sociale e giuridico, intriso dalle norme costituzionali). Ciò avrebbe una spiegazione o giustificazione dottrinale, il formalismo e l’anelito conservatore con il quale si finì per assumere i propri testi costituzionali nel corso del XIX secolo (fatto verificatosi anche nei luoghi dove sorsero le rivoluzioni liberali): questi testi sarebbero piuttosto da considerare delle formulazioni programmatiche o raccomandazioni ai poteri dello Stato che non hanno la forza giuridica della legislazione civile, commerciale, penale o processuale. In altri termini le pretese democratiche sono state sussunte e subordinate all’impeto dell’espansione capitalista. In questo modo le reazioni e le resistenze dei poteri monarchici, e quelle derivanti dagli ancien regime, alle trasformazioni messe in moto dall’avanzata del capitalismo industriale e dalle loro borghesie, ora sempre più coinvolte nella disputa del potere politico, produrranno uno spostamento conservatore nei confronti delle proprie teorie liberali, nel cui seno le varianti più democratiche e popolari andarono perdendo forza e incidenza politica, lasciando lo sviluppo concreto e l’approfondimento dei principi del costituzionalismo classico in una data da definirsi.

Nel nostro continente questa fase si plasmò in un “costituzionalismo di adattamento”[4] in cui le formulazioni, i dibattiti e le costruzioni dottrinali sono state importate in modo diretto e spesso senza riflettere, senza prendere in considerazione le singole realtà dei paesi latinoamericani. La deriva conservatrice e autoritaria in cui incapparono le rivoluzioni indipendentiste e i processi di edificazione degli Stati in ciascuno di questi paesi, si andò attuando in maniera radicale sin dalle origini e, man mano che trascorreva il tempo, questo gesto si sviluppò senza maggiori contrappesi. Le rivolte delle classi medie o popolari contarono, come avversario e nemico dichiarato, con uno Stato pervaso nella sua totalità dalle élite e dalle oligarchie nazionali[5].

A questo crollo di legittimità iniziale del potere costituente da parte delle élite come prodotto del loro carattere “esterno” alla maggioranza sociale si aggiungerà un altro elemento con le caratteristiche proprie dell’ideologia e del programma politico di derivazione europeo-occidentale ricevuto durante e dopo i processi d’indipendenza. A questo punto non è più necessario rimarcare in modo eccessivo il ruolo fondamentale delle ideologie e delle diverse formazioni culturali nel processo di costruzione delle legittimità e dei consensi sociali. Nemmeno il fatto che tali ideologie esprimono sempre un universo simbolico che, anche se prodotto dalle loro basi materiali, non necessariamente coincide con esso. Quindi secondo quanto detto fin qui la ricezione delle teorie e delle politiche del liberalismo classico europeo e nordamericano aggiunse al carattere esterno del potere costituente delle élite la possibilità e le attese sociali circa la concreta realizzazione dell’ideologia modernizzatrice e rivoluzionaria del liberalismo classico: la sovranità popolare e l’ampliamento della democrazia, la modernizzazione e i diritti dei cittadini. In modo particolare le bancarotte e le visibili fratture e contraddizioni che si riscontravano nella sfera sociale, straziavano a ciascuna delle nazioni latinoamericane. Dagli inizi del XX secolo questi avvenimenti avrebbero generato diverse correnti e progetti politici di carattere nazional-liberale, nazional-popolare, ricerche e riforme per lo sviluppo nazionale, inclusione sociale e nazionalizzazione economica.

Sulla base delle mancanze di legittimità del potere costituente delle élite oligarchiche si poterono costituire i diversi processi politici che cercavano di mettere in discussione il limitato e conservatore quadro istituzionale. Fu grazie ad esso che le costruzioni statali si plasmarono subito dopo i processi d’indipendenza e finirono di configurare un XX secolo apertamente antiliberale. La particolarità di questo percorso che ha attraversato ogni paese sarebbe lunga da descrivere in questo spazio, ma è rilevante porre l’accento su alcune delle caratteristiche generali del quadro nel quale sorse. Sebbene le guerre d’indipendenza avessero un forte accento americanista (a livello continentale), libertario e integratore di culture e popoli (all’interno di ciascun paese), queste potevano raffigurare anche come possibile e necessaria una unità sudamericana delle nazioni e una integrazione dei popoli originari e meticci nelle incipienti costruzioni nazional-statali. Le oligarchie e le élite militari che condussero questi processi o non ebbero le capacità e le circostanze per portare a termine questo programma politico o furono sconfitte da coloro che non lo consideravano prioritario o desiderabile. Forse è dipeso anche dal fatto che le medesime circostanze storico-sociali del continente lo impedivano o lo rendevano impossibile. In ogni caso i nuovi Stati si andarono configurando con una forte egemonia oligarchica e conservatrice (e, nel migliore dei casi, mediante accordi liberal-conservatori), il che sottopose a invisibilità e insufficienza di portata politica quelle forze e tendenze più progressiste come il federalismo più genuino e decentralizzato, oppure gli stessi attori più direttamente liberali democratici o popolari.

In alcuni paesi queste dispute finirono col concretarsi in scenari fortemente centralisti, conservatori e autoritari (il caso del Cile appare sotto questo aspetto un buon riferimento), in altri invece, si presentarono sotto forma di centralismo appena attenuato dalle stesse condizioni geografiche delle loro estensioni territoriali (Argentina, Brasile, Colombia o Venezuela e i loro rispettivi federalismi piuttosto attenuati e, in molti sensi, centralizzati). In molti casi, per non dire nella loro quasi totalità, con la presenza di notevoli instabilità e precarietà istituzionali che, a lungo termine, aggravarono la mancanza di legittimità dell’ordine politico-sociale (qui, si potrebbe citare come eccezione relativa l’Uruguay e, in tono minore, Argentina e Cile, fino ad allargarsi ai nuclei urbani delle capitali e delle città più grandi di ogni paese). La presenza di questo carattere esterno, coloniale o fallito dello Stato aveva nei paesi e nelle regioni con maggiore presenza di popoli originari e di una elevata popolazione afroamericana i loro esempi più visibili, il che non è una novità se tali questioni siano considerate prioritarie e fondamentali nel momento di caratterizzare i nuovi processi costituenti contemporanei: il riconoscimento del pluri-nazionalismo, i conflitti territoriali, la messa in discussione di un ordine caratterizzato da un alto centralismo dei poteri e delle ricchezze e dalla considerazione dei rapporti di classe sotto una prospettiva di tipo razziale.

*Héctor Testa Ferreira, “Aproximación a los procesos y tendencias constituyentes recientes en América Latina”, capitolo pubblicato nel libro di Jorge Riquelme, Máximo Quitral e Carlos Huerta, América Latina: Nuevas Miradas desde el Sur, Santiago de Chile, Minimo común Ediciones, 2013, in http://www.rebelion.org/docs/182078.pdf

 

[trad. dal castigliano per AlbaInformazione di Vincenzo Paglione]

 —

 

[1] Come fondamento critico per una teoria critica da e per quelle circostanze è di particolare attinenza l’opera di Boaventura de Sousa Santos, si veda, ad esempio, la sua Refundación del Estado en AméricaLatina. Perspectivas desde una epistemología del Sur (Bolivia: Alianza Interinstitucional CENDA-CEJIS-CEDIB, 2006). Si veda anche Marcos Roitman, Pensar América Latina. El desarrollo de la sociología latinoamericana (Argentina: CLACSO, 2008).

[2]Mauricio García Villegas, Ineficacia del derecho y cultura de incumplimiento de reglas en América Latina”,in El derecho en América Latina. Un mapa para el pensamiento jurídico del siglo XXI, coord. César Rodríguez Garavito, Argentina, Siglo Veintiuno Editores,2011.

[3]Un buon ripasso del nuovo costituzionalismo è presente nella compilazione della Corte Costituzionale dell’Ecuador per quanto concerne il periodo di transizione, El nuevo Constitucionalismo en América Latina, Quito: Corte Constitucional de Ecuador, Ecuador, Corte Constitucional de Ecuador para el período de transición, 2010; Roberto Gargarella, “Pensando sobre la reforma constitucional enAmérica Latina” in El derecho en América Latina. Un mapa para el pensamiento jurídico del siglo XXI, coordCésar Rodríguez Garavito, Argentina, Siglo Veintiuno Editores, 2011, pp. 67-80; Rubén Martínez DalmaueRoberto VicianoPastor,“Los procesos constituyentes latinoamericanos y el nuevo paradigma constitucional”, IUS. Revista del Instituto de Ciencias Jurídicas de Puebla 25 (2010), pp.7-29,e “Fundamentosteóricosy prácticosdelnuevo constitucionalismo latinoamericano”,in Revista Gaceta Constitucional, Lima, 2011, pp.307-328; José María Serna de la Garza, comp. Procesos constituyentes contemporáneos en América Latina.Tendencias y perspectivas, México, Instituto de Investigaciones Jurídicas de la UNAM, 2009; Carlos Villabela,“Constitucióny democracia en el nuevo constitucionalismo latinoamericano”IUS. Revista del Instituto de Ciencias Jurídicas de Puebla 25, 2010, pp.49-76. Questi volumi servono come fondamento e introduzione a buona parte delle riflessioni qui sviluppate, in particolare alle argomentazioni di carattere più strettamente giuridiche costituzionali.

[4] Vicepresidencia de la República y Presidencia del Congreso Nacional, Cuadernos de reflexión.Elproceso constitucionalenBolivia.Perspectivas desde el nuevo constitucionalismo latinoamericano. Exposición del constitucionalista Rubén Martínez Dalmau, La Paz, Vicepresidencia de la República y Presidencia del Congreso Nacional, 2008.

[5] Nel Cile, tanto per indicare un riferimento in quanto a costruzione statale in ordine, forte, con una certa stabilità politica e senza maggiori dispute tra le élite, già nel 1829 le correnti liberali e federaliste subirono la loro sconfitta definitiva da parte della tendenza conservatrice e centralista. Per quanto concerne la costruzione dello Stato in Cile si veda Gabriel Salazar, Construcción del Estado en Chile (1800-1937). Democracia de los “pueblos”. Militarismo oligárquico, Chile, Editorial Sudamericana,2005.

Firenze: Difendiamo la Rivoluzione bolivariana!

Difendiamo la Rivoluzione in Venezuela

Negli ultimi due mesi l’opposizione venezuelana, guidata dai rampolli dell’oligarchia come Enrique Capriles Radonsky (proprietario dei principali media privati del paese) e Leopoldo López (uomo forte della destra legato all’Opus Dei) ha nuovamente dato vita a una sanguinaria campagna di destabilizzazione del paese. 
I media privati venezuelani ed internazionali hanno sostenuto che gli studenti dell’opposizione che manifestavano pacificamente contro il presidente Maduro e la Rivoluzione Bolivariana, sono stati selvaggiamente repressi dalle forze dell’ordine e che a decine hanno perso la vita a dimostrazione dell’esistenza di una dittatura in Venezuela.

Ma questo ammasso di menzogne è solo l’ennesima campagna di disinformazione e criminalizzazione del processo rivoluzionario in corso.

I media di proprietà dei padroni hanno, infatti, omesso di dire che le manifestazioni dell’opposizione erano tutt’altro che pacifiche e soprattutto che la maggioranza dei morti che ci sono stati in queste settimane sono chavisti, uccisi dai sicari della destra.

L’opposizione ha attaccato  i chavisti  e le forze dell’ordine con armi da fuoco e molotov; ha incendiato sedi dei partiti di sinistra e del governo; ha attaccato numerosi ambulatori pubblici per l’unico fatto che ci lavorano medici cubani; ha organizzato barricate e missioni punitive fino ad compiere atti di una crudeltà raffinata come quello di spianare fil di ferro sulle strade e a 1.50m d’altezza non solo per far cadere i motociclisti ma anche per decapitarli.  
L’oligarchia venezuelana è sempre stata una classe senza scrupoli che ha  fatto ricorso al terrore e alla tortura per mantenere la propria ricchezza e il proprio potere. Prima che venisse eletto presidente della Repubblica Hugo Chavez, le forze repressive dello Stato venivano impiegate per spezzare qualsiasi aspirazione della classe popolare ad un maggiore benessere e a maggiori diritti.

I sindacalisti venivano imprigionati, torturati, e molte volte desaparecidos per le loro lotte. I contadini uccisi dai funzionari corrotti dai latifondisti.

E anche per reprimere i cortei studenteschi la polizia e i militari usava fucili e pistole, facendo così migliaia di morti negli anni.  

Fino ad arrivare al Caracazo, quando il 27 febbraio 1989 hanno massacrato più di 5.000 persone a- Caracas,  durante una rivolta popolare contro l’aumento dei prezzi imposto dal governo di Carlos Andrés Perez.
E da quando ha vinto Chávez, non ha smesso un attimo di tramare contro la Rivoluzione Bolivariana provando a farla cadere in tutti i modi. Nel 2002 ha fatto un colpo di Stato militare ad aprile (fallito per il sollevamento popolare generalizzato) e una serrata padronale criminale di due mesi a partire da dicembre. Nel 2003 organizza le prime guarimbas  (barricate e attacchi a chavisti). Nel 2004 ci riprova in occasione del Referendum Revocatorio e nel 2006 per le elezioni presidenziali. Nel 2007 scatena la propria violenza in occasione del referendum sulla riforma costituzionale e da quel momento sviluppa anche una perfida strategia volta a creare l’insoddisfazione nel paese, ritirando dal commercio i beni di prima necessità come il latte, lo zucchero, la carta igienica, il caffè etc., grazie al controllo che ha delle principali catene di distribuzione del Venezuela. 

Senza parlare poi dei sicari e paramilitari che recluta per uccidere quotidianamente contadini, sindacalisti e studenti chavisti in tutto il paese.

Tutto ciò esclusivamente perché rifiuta di accettare tutte le conquiste fatte in questi anni dal popolo organizzato: istruzione, salute, benessere economico, potere politico… e perché aborra le proposte di socialismo, cogestione, proprietà sociale e proprietà collettiva avanzate in questi anni dal governo.
Tuttavia, anche questa volta, non sono arrivati a far cadere il governo perché il popolo organizzato si è mobilitato nuovamente in difesa  della Rivoluzione e delle sue conquiste.
Ne parliamo con dei rappresentanti della Coordinadora Simón Bolívar e di altri movimenti sociali di Caracas, con i quali ci collegheremo in videoconferenza
Giovedì 10 Aprile 
alle 20.30
al Centro Popolare Autogestito Firenze-Sud
via Villamagna 27/a
Cena e a seguire serata di Salsa latinoamericana
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