di Héctor Testa Ferreira*
Vista la crescente egemonia dei paesi occidentali nei processi di mondializzazione stimolati dal movimento espansivo del capitalismo industriale e dalle dinamiche colonialiste e imperialiste a esso consustanziali, i processi di costruzione dello Stato nel nostro continente (e negli altri del cosiddetto “terzo mondo”) sono la conseguenza di un processo esterno, coloniale, con alti livelli di disparità sociale. Nelle sue sfaccettature estreme, ma non per questo meno comuni, vi sono state diffuse realtà d’intenso sfruttamento economico, nelle quali ha vissuto la maggior parte della popolazione, compresa quella dei territori nazionali, sottoposta all’estrazione intensiva delle loro risorse. Senza per questo tacere dei molteplici aspetti sotto i quali si sono manifestati le violenze statali o parastatali compiute dalle varianti autoritarie dell’ordine oligarchico. Di modo che il “potere costituente” nel quale le élite e le oligarchie hanno rovesciato il loro progetto storico (di carattere rimodernatore e occidentale, o almeno nel tentativo di esserlo) ha per questa ragione una insolvenza sin dalle sue origini e nella propria essenza: il poco radicamento e la mancanza di legittimità nelle realtà sociali dove vive la maggioranza della popolazione e la maggior parte dei territori dove questa si sviluppa[1]. È quello che nel linguaggio giuridico è stato considerato come mancanza o carenza di effettività e di applicazione del diritto[2], e dalla teoria sociale e storiografica indicato con il termine di “Stato fallito”. La mancanza di legittimità che tante volte hanno sofferto i progetti storici delle élite nel continente ha la sua origine in questo carattere esterno, di “instaurazione” di un progetto, formulato e stimolato da una minoranza radicalmente differenziata e separata dal resto della maggioranza.
Se accettiamo la distinzione effettuata dalle teorie neocostituzionaliste[3], potremmo affermare che i paesi del nostro continente hanno avuto una Costituzione in senso formale (un testo scritto con alcune formulazioni e dichiarazioni), ma non una Costituzione in senso materiale (un ordinamento politico, sociale e giuridico, intriso dalle norme costituzionali). Ciò avrebbe una spiegazione o giustificazione dottrinale, il formalismo e l’anelito conservatore con il quale si finì per assumere i propri testi costituzionali nel corso del XIX secolo (fatto verificatosi anche nei luoghi dove sorsero le rivoluzioni liberali): questi testi sarebbero piuttosto da considerare delle formulazioni programmatiche o raccomandazioni ai poteri dello Stato che non hanno la forza giuridica della legislazione civile, commerciale, penale o processuale. In altri termini le pretese democratiche sono state sussunte e subordinate all’impeto dell’espansione capitalista. In questo modo le reazioni e le resistenze dei poteri monarchici, e quelle derivanti dagli ancien regime, alle trasformazioni messe in moto dall’avanzata del capitalismo industriale e dalle loro borghesie, ora sempre più coinvolte nella disputa del potere politico, produrranno uno spostamento conservatore nei confronti delle proprie teorie liberali, nel cui seno le varianti più democratiche e popolari andarono perdendo forza e incidenza politica, lasciando lo sviluppo concreto e l’approfondimento dei principi del costituzionalismo classico in una data da definirsi.
Nel nostro continente questa fase si plasmò in un “costituzionalismo di adattamento”[4] in cui le formulazioni, i dibattiti e le costruzioni dottrinali sono state importate in modo diretto e spesso senza riflettere, senza prendere in considerazione le singole realtà dei paesi latinoamericani. La deriva conservatrice e autoritaria in cui incapparono le rivoluzioni indipendentiste e i processi di edificazione degli Stati in ciascuno di questi paesi, si andò attuando in maniera radicale sin dalle origini e, man mano che trascorreva il tempo, questo gesto si sviluppò senza maggiori contrappesi. Le rivolte delle classi medie o popolari contarono, come avversario e nemico dichiarato, con uno Stato pervaso nella sua totalità dalle élite e dalle oligarchie nazionali[5].
A questo crollo di legittimità iniziale del potere costituente da parte delle élite come prodotto del loro carattere “esterno” alla maggioranza sociale si aggiungerà un altro elemento con le caratteristiche proprie dell’ideologia e del programma politico di derivazione europeo-occidentale ricevuto durante e dopo i processi d’indipendenza. A questo punto non è più necessario rimarcare in modo eccessivo il ruolo fondamentale delle ideologie e delle diverse formazioni culturali nel processo di costruzione delle legittimità e dei consensi sociali. Nemmeno il fatto che tali ideologie esprimono sempre un universo simbolico che, anche se prodotto dalle loro basi materiali, non necessariamente coincide con esso. Quindi secondo quanto detto fin qui la ricezione delle teorie e delle politiche del liberalismo classico europeo e nordamericano aggiunse al carattere esterno del potere costituente delle élite la possibilità e le attese sociali circa la concreta realizzazione dell’ideologia modernizzatrice e rivoluzionaria del liberalismo classico: la sovranità popolare e l’ampliamento della democrazia, la modernizzazione e i diritti dei cittadini. In modo particolare le bancarotte e le visibili fratture e contraddizioni che si riscontravano nella sfera sociale, straziavano a ciascuna delle nazioni latinoamericane. Dagli inizi del XX secolo questi avvenimenti avrebbero generato diverse correnti e progetti politici di carattere nazional-liberale, nazional-popolare, ricerche e riforme per lo sviluppo nazionale, inclusione sociale e nazionalizzazione economica.
Sulla base delle mancanze di legittimità del potere costituente delle élite oligarchiche si poterono costituire i diversi processi politici che cercavano di mettere in discussione il limitato e conservatore quadro istituzionale. Fu grazie ad esso che le costruzioni statali si plasmarono subito dopo i processi d’indipendenza e finirono di configurare un XX secolo apertamente antiliberale. La particolarità di questo percorso che ha attraversato ogni paese sarebbe lunga da descrivere in questo spazio, ma è rilevante porre l’accento su alcune delle caratteristiche generali del quadro nel quale sorse. Sebbene le guerre d’indipendenza avessero un forte accento americanista (a livello continentale), libertario e integratore di culture e popoli (all’interno di ciascun paese), queste potevano raffigurare anche come possibile e necessaria una unità sudamericana delle nazioni e una integrazione dei popoli originari e meticci nelle incipienti costruzioni nazional-statali. Le oligarchie e le élite militari che condussero questi processi o non ebbero le capacità e le circostanze per portare a termine questo programma politico o furono sconfitte da coloro che non lo consideravano prioritario o desiderabile. Forse è dipeso anche dal fatto che le medesime circostanze storico-sociali del continente lo impedivano o lo rendevano impossibile. In ogni caso i nuovi Stati si andarono configurando con una forte egemonia oligarchica e conservatrice (e, nel migliore dei casi, mediante accordi liberal-conservatori), il che sottopose a invisibilità e insufficienza di portata politica quelle forze e tendenze più progressiste come il federalismo più genuino e decentralizzato, oppure gli stessi attori più direttamente liberali democratici o popolari.
In alcuni paesi queste dispute finirono col concretarsi in scenari fortemente centralisti, conservatori e autoritari (il caso del Cile appare sotto questo aspetto un buon riferimento), in altri invece, si presentarono sotto forma di centralismo appena attenuato dalle stesse condizioni geografiche delle loro estensioni territoriali (Argentina, Brasile, Colombia o Venezuela e i loro rispettivi federalismi piuttosto attenuati e, in molti sensi, centralizzati). In molti casi, per non dire nella loro quasi totalità, con la presenza di notevoli instabilità e precarietà istituzionali che, a lungo termine, aggravarono la mancanza di legittimità dell’ordine politico-sociale (qui, si potrebbe citare come eccezione relativa l’Uruguay e, in tono minore, Argentina e Cile, fino ad allargarsi ai nuclei urbani delle capitali e delle città più grandi di ogni paese). La presenza di questo carattere esterno, coloniale o fallito dello Stato aveva nei paesi e nelle regioni con maggiore presenza di popoli originari e di una elevata popolazione afroamericana i loro esempi più visibili, il che non è una novità se tali questioni siano considerate prioritarie e fondamentali nel momento di caratterizzare i nuovi processi costituenti contemporanei: il riconoscimento del pluri-nazionalismo, i conflitti territoriali, la messa in discussione di un ordine caratterizzato da un alto centralismo dei poteri e delle ricchezze e dalla considerazione dei rapporti di classe sotto una prospettiva di tipo razziale.
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*Héctor Testa Ferreira, “Aproximación a los procesos y tendencias constituyentes recientes en América Latina”, capitolo pubblicato nel libro di Jorge Riquelme, Máximo Quitral e Carlos Huerta, América Latina: Nuevas Miradas desde el Sur, Santiago de Chile, Minimo común Ediciones, 2013, in http://www.rebelion.org/docs/182078.pdf
[trad. dal castigliano per AlbaInformazione di Vincenzo Paglione]
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[1] Come fondamento critico per una teoria critica da e per quelle circostanze è di particolare attinenza l’opera di Boaventura de Sousa Santos, si veda, ad esempio, la sua Refundación del Estado en AméricaLatina. Perspectivas desde una epistemología del Sur (Bolivia: Alianza Interinstitucional CENDA-CEJIS-CEDIB, 2006). Si veda anche Marcos Roitman, Pensar América Latina. El desarrollo de la sociología latinoamericana (Argentina: CLACSO, 2008).
[2]Mauricio García Villegas, Ineficacia del derecho y cultura de incumplimiento de reglas en América Latina”,in El derecho en América Latina. Un mapa para el pensamiento jurídico del siglo XXI, coord. César Rodríguez Garavito, Argentina, Siglo Veintiuno Editores,2011.
[3]Un buon ripasso del nuovo costituzionalismo è presente nella compilazione della Corte Costituzionale dell’Ecuador per quanto concerne il periodo di transizione, El nuevo Constitucionalismo en América Latina, Quito: Corte Constitucional de Ecuador, Ecuador, Corte Constitucional de Ecuador para el período de transición, 2010; Roberto Gargarella, “Pensando sobre la reforma constitucional enAmérica Latina” in El derecho en América Latina. Un mapa para el pensamiento jurídico del siglo XXI, coord. César Rodríguez Garavito, Argentina, Siglo Veintiuno Editores, 2011, pp. 67-80; Rubén Martínez DalmaueRoberto VicianoPastor,“Los procesos constituyentes latinoamericanos y el nuevo paradigma constitucional”, IUS. Revista del Instituto de Ciencias Jurídicas de Puebla 25 (2010), pp.7-29,e “Fundamentosteóricosy prácticosdelnuevo constitucionalismo latinoamericano”,in Revista Gaceta Constitucional, Lima, 2011, pp.307-328; José María Serna de la Garza, comp. Procesos constituyentes contemporáneos en América Latina.Tendencias y perspectivas, México, Instituto de Investigaciones Jurídicas de la UNAM, 2009; Carlos Villabela,“Constitucióny democracia en el nuevo constitucionalismo latinoamericano”IUS. Revista del Instituto de Ciencias Jurídicas de Puebla 25, 2010, pp.49-76. Questi volumi servono come fondamento e introduzione a buona parte delle riflessioni qui sviluppate, in particolare alle argomentazioni di carattere più strettamente giuridiche costituzionali.
[4] Vicepresidencia de la República y Presidencia del Congreso Nacional, Cuadernos de reflexión.Elproceso constitucionalenBolivia.Perspectivas desde el nuevo constitucionalismo latinoamericano. Exposición del constitucionalista Rubén Martínez Dalmau, La Paz, Vicepresidencia de la República y Presidencia del Congreso Nacional, 2008.
[5] Nel Cile, tanto per indicare un riferimento in quanto a costruzione statale in ordine, forte, con una certa stabilità politica e senza maggiori dispute tra le élite, già nel 1829 le correnti liberali e federaliste subirono la loro sconfitta definitiva da parte della tendenza conservatrice e centralista. Per quanto concerne la costruzione dello Stato in Cile si veda Gabriel Salazar, Construcción del Estado en Chile (1800-1937). Democracia de los “pueblos”. Militarismo oligárquico, Chile, Editorial Sudamericana,2005.