Fernández, PL: «In Siria non è guerra civile ma guerra di rapina NATO»

da lantidiplomatico

Miguel Fernández Martínez, giornalista cubano e corrispondente dalla Siria per l’Agenzia di Stampa latinoamericana, Prensa Latina, rifiuta il luogo comune secondo il quale nel paese arabo, da quasi 5 anni, sia in corso una guerra civile. Per Fernández è in atto un aggressione ordita dalla NATO, con l’aiuto di Israele, Turchia, Giordania e delle Monarchie del Golfo per distruggere la Siria.

Aggressione finanziata dall’Occidente

Secondo l’UNICEF, 5,6 milioni di bambini siriani soffrono di povertà estrema e sono costretti a spostarsi continuamente per sfuggire dalle zone di guerra. Due milioni di rifugiati vivono in Libano, Giordania, Iraq, Egitto, Turchia e altri paesi del Nord Africa, mentre 3,6 milioni di bambini restano vulnerabili. Ventimila bambini sono morti in questa guerra imposta. «La foto del bambino siriano Aylan Kurdi, senza vita sulla sabbia di una spiaggia turca, è un colpo di frusta sulla coscienza di un Europa ipocrita e silenziosa, che nega la protezione alle sue vittime. Europa, Stati Uniti, Israele e i loro gendarmi hanno incoraggiato questa guerra fratricida. Aylan riflette altri bambini siriani che stanno morendo in questo momento a Damasco sotto il colpi di mortaio dei terroristi, o asfissiati dai gas tossici ad al-Foa e Kafraya, o brutalmente decapitati a Raqqa, o vinti dal calore e dalla sete nel deserto, cercando di sfuggire ai colpi di mortaio», ha affermato Fernández.

L’embargo degli Stati Uniti colpisce il popolo cubano anche nella comunicazione, Internet, radiodiffusione, qualcosa di simile avviene anche con la Siria?

«Tutte gli embarghi sono dannosi perché le vittime sono i poveri. Cuba lo sa che, dopo aver affrontato per più di 50 anni, un criminale blocco imposto dagli Stati Uniti le ha causato finora perdite e danni per più di 833.755 milioni di dollari. Le potenze occidentali nei confronti della Siria, guidate dagli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito non hanno mostrato alcuna pietà. Hanno bloccato le sue esportazioni, tutti i contratti, hanno congelato i conti bancari. Hanno interrotto i segnali satellitari, in modo che la verità non venga a galla, infine, hanno attuato una campagna mediatica destinata a destabilizzare, rompere e distruggere l’unità del popolo siriano, e minare la sua resistenza contro l’aggressione terrorista finanziata dall’Occidente».

Ci parli del governo di Bashar al-Assad. Come era la vita in Siria prima dell’intervento degli Stati Uniti e dell’Europa?

“Il presidente Bashar al-Assad è diventato il capro espiatorio dei maggiori circoli di potere internazionali per cercare di ripetere in Siria quello che hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Yemen, Libia e altri paesi della regione. Da molto tempo prima della crisi iniziata nel 2011,  al-Assad è stato preso di mira da Washington e dalle sue agenzie di intelligence, chiamato a diventare una vittima dell’avidità imperiale per non aver ceduto alle disposizioni della Casa Bianca.

Da quando il presidente al-Assad è salito al potere dopo la morte del padre Hafez al-Assad, ha proseguito le politiche pan-arabiste di unità regionale, che hanno dato molto risalto alla Siria nel Movimento dei Paesi Non Allineati. Al-Assad non ha venduto l’economia nazionale al FMI, seguendo l’esempio di suo padre, il più importante sostenitore della causa palestinese per la restituzione dei territori occupati da Israele e del ritorno di milioni di profughi palestinesi al loro luogo di origine. La Siria è sempre stato uno dei peggiori nemici di Israele, che ha condannato per le sue politiche espansionistiche e chiede la restituzione delle alture del Golan, occupate illegalmente dall’esercito israeliano dal 1967. A questo, bisogna aggiungere la solida amicizia tra il governo di Damasco e la Repubblica islamica dell’Iran, unite da legami storici di amicizia e cooperazione.

Bashar al-Assad ha promosso la modernizzazione della società siriana, iniziata dal padre negli anni ’70, ha difeso il concetto di Stato laico, imponendo la legge dello Stato su ogni religione e il diritto di coesistenza di una popolazione multietnica. Né ha permesso la privatizzazione del settore petrolifero e delle industrie più importanti del paese. Per tutti questi motivi è stato un obiettivo da distruggere da parte delle amministrazioni neocoloniali degli Stati Uniti e dai suoi alleati europei».

In Siria è in corso una guerra civile?

«Mi rifiuto di accettare la tesi che qui sia in corso una guerra civile. È falso come il sole che sorge di notte. Quello che succede qui è un aggressione internazionale organizzata dalla NATO. Il Dipartimento di Stato nordamericano e i servizi segreti israeliani sono riusciti a riunire le monarchie del Golfo Arabia Saudita e Qatar, insieme ai governi di Giordania e Turchia, per iniziare l’assedio della Siria. Le strategie per avviare la crisi erano chiare. Hanno cercato di portare in Siria gli effetti sperimentati da altri paesi di quella che è divenuta nota come la primavera araba, un mostro destabilizzante che ha lasciato conseguenze dolorose in ogni paese in cui è stata imposta. Per questo hanno usato diversi metodi, uno era la manipolazione dei Fratelli Musulmani, che era già stato utilizzata in Egitto, Libia, Tunisia e altri paesi, cercando di dare una sfumatura religiosa alle proteste, oltre ad altre politiche destabilizzanti organizzate dall’ambasciata degli Stati Uniti.

Non è un segreto che durante le presunte manifestazioni popolari nel marzo 2011 quando ebbe inizio il conflitto, l’ex ambasciatore USA a Damasco, Robert Ford, era sempre in viaggio nelle varie province per incontrare i leader dell’opposizione e per finanziare le proteste. In quelle manifestazioni “popolari” c’erano uomini armati che sparavano contro la polizia. Hanno creato il caos e la violenza, perché è stato tutto ben progettato per generare destabilizzazione e far posto a ai gruppi jihadisti, organizzati, armati e addestrati dall’Occidente, in attesa alle frontiere della Giordania, a sud; La Turchia, a nord, e l’Iraq a est. Non è un segreto che l’auto-proclamato Free Syrian Army, composta per lo più di disertori dell’esercito siriano, è stato finanziato da Parigi, e nel suo processo di disintegrazione, la maggior parte dei suoi membri è passata alle bande di terroristi dello Stato islamico o al-Nusra, il braccio armato di Al Qaeda in Siria.

Un altro modo utilizzato per attaccare la Siria è stato attraverso il reclutamento di mercenari provenienti da più di sessanta paesi, che vengono istigati da leader religiosi estremisti ed insistono a chiamare il jihad o guerra santa contro il governo legittimo in Siria. Infine, quattro anni dopo l’inizio di questa guerra di rapina, le forze sono state concentrate in due gruppi principali. Da un lato, le forze armate siriane, con un esercito di quasi 350.000 uomini, in collaborazione con le unità di milizia conosciuta come Difesa nazionale, e dall’altra gruppi terroristici che continuano a provocare caos e terrore».

Il terrorismo dell’Isis

Come nasce l’Isis e come viene introdotto in Siria? Cosa controlla? Si dice che vendano petrolio per finanziarsi e dispongano di risorse milionarie

«Lo Stato islamico, gruppo terroristico, anche conosciuto in arabo come Daesh, è giunto qui da poco più di un anno, da uno smembramento di Al Qaeda che opera nel territorio dell’Iraq. Da quando ha iniziato la sua espansione in territorio siriano, hanno proclamato la creazione di un califfato, la cui capitale è la città di Raqqa, situata a poco più di 500 chilometri a est di Damasco, occupata dagli estremisti.

Sulle atrocità dello Stato Islamico si parla ogni giorno. Manipola la fede religiosa dei suoi membri e sostenitori, e fa un’interpretazione distorta del Corano, imponendo la legge della Sharia, e un tipo di governo tirannico che include l’imposizione di punizioni crudeli che possono variare dalla decapitazione alla lapidazione fino alla crocifissione ed ad altre forme barbariche per imporre la legge. Dietro c’è un intero gruppo di contrabbandieri, profittatori e criminali – la maggior parte sono proprio quei paesi che cercano di rovesciare Bashar al-Assad – che trafficano con loro il  petrolio nelle zone occupate, e le reliquie archeologiche e storiche vandalizzate da diversi villaggi ovunque vadano.

C’è un particolare che non voglio tralasciare circa la manipolazione esercitata dai grandi media occidentali sui territori occupati dall’Isis in Siria. Molti media insistono nel sostenere che occupa più del 50% del territorio siriano, ciò non corrisponde a nessuna verità. La maggior parte della popolazione siriana vive nelle zone sotto il controllo del governo, il centro ovest del Paese, sulla costa mediterranea. La maggior parte delle zone sotto il controllo dei terroristi sono zone desertiche a bassa densità demografica; L’Isis controlla solo la città di Raqqa, parte della città di Idleb e poco meno della metà di Aleppo. Dove sono forti in realtà nel controllo delle strade a est, impedendo il movimento delle truppe nelle zone di combattimento con ripercussioni sull’economia nazionale e sulla popolazione siriana».

A chi importa la distruzione della Siria?

«Ricordo molti anni fa qualcuno mi ha detto che gli Stati Uniti e le grandi potenze guardare al Medio Oriente come “un grande lago di petrolio”. L’Occidente non ha mai guardato con rispetto a questa parte del mondo. Qui ci sono presenti tracce del suo percorso coloniale, ha spogliato l’antica cultura di questi popoli e le loro principali riserve di combustibile. Nel caso della Siria, per aver rifiutato di essere un servitore delle potenze occidentali, è stata “condannata” ad essere invasa. Però non hanno fatto i conti con la resistenza del popolo siriano, che è stato in grado di difendersi in più di quattro anni da tutta questa campagna di aggressione terroristica. Inoltre, hanno usato anche una delle formule per  destabilizzare l’unità nazionale, come il settarismo, cercando di creare divisioni tra sunniti, sciiti, alawiti, curdi, armeni, drusi, cristiani, yazidi, che formano quell’amalgama storico e indistruttibile che si chiama popolo siriano».

Quali sono le difficoltà che lei deve affrontare per fare il suo lavoro come corrispondente di Prensa Latina?

«Le stesse di ogni siriano. Convivo con loro, soffriamo le stesse necessità e condividiamo le nostre speranze. Ho visitatole zone di combattimento, le scuole distrutte dalla guerra, i campi profughi, insomma, cerco di toccare con mano tutto. Ho potuto parlare con mercenari stranieri catturati dall’esercito e sentire dalle loro labbra quali forze esterne di gran lunga sono coinvolte in questa guerra. Ho avuto l’opportunità di intervistare ministri, così come la gente comune. Chi mi può dare la sua versione della guerra e mi permette di avere nuovi argomenti per spiegarli ai lettori, sarà sempre il benvenuto».

Qual è la situazione umanitaria in Siria?

«Secondo le Nazioni Unite, la Siria sta soffrendo la peggiore crisi umanitaria conosciuto da 70 anni a questa parte. Come risultato di questa guerra, più di quattro milioni di siriani si sono rifugiati in altri paesi. I principali paesi di accoglienza sono Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto. Circa undici milioni sono gli sfollati all’interno del paese, e il numero dei morti è scioccante. Finora, alcuni dicono che sono stime prudenti, ci sono più di 240.000 morti, di essi, 50.000 membri dell’esercito. In alcune aree vi è la fame e la mancanza delle cose più elementari, come l’acqua, l’elettricità. È una storia difficile e triste».

Come ha affrontato il governo la lotta contro il terrorismo?

«La Siria si è difesa con gli artigli da un’aggressione internazionale. L’esercito siriano e le milizie hanno portato tutto il peso di questa guerra ed un alto costo umano e materiale. Sulla Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, c’è poco da dire. Da più di un anno ”bombardano” presunte posizioni dei gruppi terroristici, e ciò che fanno è rafforzarli. Ci sono prove che in alcuni posti della Siria e dell’Iraq, questi stessi aerei hanno calato armi e munizioni che vanno nelle mani dei gruppi estremisti. Da parte loro, le milizie curdo-siriane che si identificano come YPG, hanno svolto anche loro un compito difficile nella difesa dei loro territori nel nord della Siria, soprattutto nelle zone a nord di Aleppo e nella provincia orientale di Hasaka, riuscendo persino ad espellere terroristi dai loro territori».

Cosa puoi dirci dei crimini contro donne, bambini e anziani e sulla distruzione dei beni culturali?

«Hanno scosso l’opinione pubblica internazionale. Sono metodi veramente sadici quelli utilizzati, come il taglio delle teste dei loro nemici o la crocifissione delle persone in luoghi pubblici, o lapidazione delle donne. Gli omosessuali li gettano dai tetti degli edifici, le donne sono picchiate per non aver indossato il velo o perché escono da sole per le strade. Quello che accade ai bambini mi fa male. Hanno chiuso molte scuole nelle aree occupate, e aperto delle scuole più piccole, dove si insegna l’importanza del suicidio al fine di raggiungere uno scopo, o diventano assistenti dei boia durante le esecuzioni. Il danno psicologico e sociale per questi bambini è impressionante».

Buen Abad: América Latina y Europa unidos contra la canalla mediática

Fernando Buen Abad Domínguez

por aporrea.org – AVN

Movimientos sociales de América Latina y Europa suman esfuerzos para derrotar la canalla mediática

20 Jun. 2015.- Los intelectuales y movimientos sociales de América Latina y Europa asumieron la tarea de organizarse para crear un frente común que permita vencer la guerra mediática internacional en contra de los pueblos de naciones progresistas.

“Para nosotros es vital que las fuerzas democráticas progresistas y revolucionarias asuman un papel de organización comunicacional para establecer un plan de unidad de medios que permita constituir cada una de nuestras luchas en un clamor mundial”, indicó el investigador mexicano Fernando Buen Abad.

Asimismo, planteó la necesidad de articular esfuerzos para enfrentar y contrarrestar las acciones de la canalla mediática internacional. “Es hora de que nuestros pueblos estén a la vanguardia y sumen esfuerzos comunes, porque si no somos capaces de organizarnos para dar una respuesta mediática potente no podremos derrotar a las grandes corporaciones mediáticas”, expresó a la Agencia Venezolana de Noticias (AVN).

Buen Abad sostuvo que las organizaciones sociales de América Latina y Europa deben establecer una agenda y definir los temas que se abordarán de manera unitaria.

“Hay luchas urgentes que son comunes a los ciudadanos de estos países que sufren los embates del capitalismo. Entre estos temas resaltan: la defensa de la soberanía y democracia de los pueblos, la defensa de los recursos naturales, y el objetivo de poder blindar con paz todas las regiones del planeta. Todos los esfuerzos comunicacionales deben tener estos tópicos como agenda base”, explicó.

El doctor en Filosofía y experto comunicacional aseguró que actualmente se está levantando la voz de luchadores europeos que tienen como referencia “los procesos revolucionarios y la gran batalla de las ideas que lideran, los gobiernos de Venezuela, Ecuador, Cuba y Bolivia”, para garantizar la mayor suma de felicidad posible para sus pueblos.

“Ahora mismo vemos a los núcleos de luchadores de países como Dinamarca, Suecia, Italia, España, Portugal y Grecia, tomando en sus manos la bandera de procesos de justicia y reivindicación como el socialismo bolivariano; y es necesario aprovechar ese gran caudal político y convertirlo en una fuerza organizativa que desde Europa nos permita difundir la verdad sobre la mentira de los imperios mediáticos”, dijo.

Cumbre de los pueblos para la comunicación

El intelectual señaló que durante la Cumbre “Una Alternativa al Neoliberalismo en América Latina y Europa”, que tuvo lugar la semana pasada en Bruselas, Bélgica, a la par de la segunda Cumbre de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac) y la Unión Europea (UE), los pueblos de ambos continentes denunciaron la campaña desestabilizadora y difamadora que ejecutan “los grandes monopolios mediáticos europeos asociados con los de Estados Unidos y América Latina”.

“Para profundizar la ofensiva que nos permita enfrentar y vencer a la gran maquinaria de guerra ideológica, recogimos en el foro internacional de Bruselas, la necesidad de realizar una gran cumbre de los pueblos en materia de comunicación, para generar el mandato que necesitamos tanto los movimientos sociales, como las autoridades”, expuso.

Precisó que esta propuesta será elevada a los organismos internacionales de integración como la Unión de Naciones Suramericanas (Unasur) y la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac), para que se desarrolle con el apoyo de los movimientos sociales de cada país.

“Debemos actuar ya, y no esperar a que ante el desespero ocasionado por la crisis del capitalismo, los poderes burgueses intensifiquen su guerra contra todo lo que represente libertad de expresión, independencia, respeto a los derechos humanos y socialismo”, advirtió.

Campaña en contra de Venezuela

Durante su intervención en la segunda Cumbre de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac) y la Unión Europea (UE), el vicepresidente Ejecutivo de Venezuela, Jorge Arreaza, denunció que uno de los más importantes desafíos a los que el Gobierno y el pueblo de Venezuela se deben enfrentar es a la dictadura persistente de los medios de comunicación.

“No pueden ser los medios constructores de falsas realidades, de instrumentos arbitrarios y oscurantistas de desprestigios ocultadores de la verdad, adormecedores de pueblos y defensores de guerra, de sistemas de dominación”, en vez de cumplir “con su rol de mediadores de la realidad y la verdad de los pueblos”, cuestionó.

Arreaza indicó en aquel momento que esta campaña ha sido asumida también por corporaciones mediáticas en Europa, las cuales han dedicado portadas, titulares principales, editoriales y reportajes a mentir con sañas contra el Gobierno de Venezuela y contra su pueblo.

“Quizás (esa campaña) se deba a algunos temores internos de las clases dominante que nada tiene que ver con Venezuela, ni con su realidad o quizás sea una estrategia de distracción para que sus pueblos no se concentren en sus problemas y en sus procesos”, consideró.

Asimismo, los representantes de los movimientos sociales y los intelectuales que se dieron cita en Bruselas, rechazaron la tergiversación y manipulación de los poderes mediáticos sobre los procesos de cambio que se desarrollan en América Latina, y en especial en contra de Venezuela.

“Nos comprometimos a que los planteamientos de este encuentro no se queden aquí, por eso vamos a establecer una plataforma común de información que nos permita enfrentar y vencer la canalla mediática que es bestial, tanto dentro de Venezuela como en el exterior”, indicó a AVN la vocera de la Red Sueca de Solidaridad con Venezuela Revolucionaria, Ruth Cartaya.

Criticó el bombardeo malintencionado que forma parte de la agenda comunicacional de la derecha e incluso, señaló, que en una nación como Suecia, que queda a tantos kilómetros de distancia de Venezuela, se puede evidenciar en los medios de comunicación “un corta y pega de las falsedades que dicen los medios y agencias de noticias españolas e internacionales, con la finalidad de empañar los logros del proceso socialista que impulsó el comandante Chávez y prosigue el presidente Nicolás Maduro”.

A su vez, el vocero del Consejo Portugués por la Paz y la Revolución, Phillipe Ferrera, lamentó que en Europa no haya lugar para las noticias que reflejan la realidad política y social de Venezuela.

“Mientras que en Portugal el capitalismo ha generado desempleo, miseria y desahucio, en Venezuela existe un gobierno socialista que protege al pueblo, que ha generado puestos de empleo y ha construido cientos de miles de viviendas. Eso no le conviene a la agenda de corporaciones mediáticas al servicio del imperio. Por eso es importante que la voz de los medios alternativos se fortalezca y gane espacios”, manifestó.

La Grecia minaccia uscita dall’Euro-gruppo per piegare la Troika

varoufakisdi Achille Lollo* da Roma (Italia)

CRISI- Sono dieci mesi che il primo ministro greco, Alexis Tsipras, e il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, tentano di negoziare con l’FMI, la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea nuove forme per il pagamento del debito e un aiuto straordinario del valore di 7,2 miliardi di euro.

Settimane fa, nel concedere una rapida intervista collettiva sulle scale del suo ministero, Nikos Voutsis, il ministro degli Interni della Grecia, è stato il primo a dichiarare che il paese va in direzione della bancarotta.

A giugno, la Grecia dovrà pagare all’FMI quattro quote del suo debito, per un totale di 1,6 miliardi di euro. Un valore che non sarà pagato, perché non abbiamo questi soldi. La Grecia solo avrà come pagare se si concretizzerà un accordo tra l’FMI, la Banca Centrale Europea (BCE) e la Grecia. In pratica, ancora esiste un certo ottimismo e crediamo che sia possibile concludere un accordo che permetta al nostro paese di respirare e allo stesso tempo onorare gli impegni del debito.”

Voutsis ha poi concluso il suo intervento ricordando che “… il nostro governo è determinato ad affrontare la strategia dei nostri creditori, che è la strategia dell’impiccagione. La Grecia non può più sopportare la politica di estrema austerità e di disoccupazione di massa. Per questo, non desisteremo da questa battaglia…”.

Le parole di Nikos Voutsis hanno anticipato in poche ore la dichiarazione ufficiale del governo greco che il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha presentato allo stupefatto speaker della BBC, Andrew Marr. Nelle sue parole, Varoufakis ha ricordato che il governo greco, in questi dieci mesi, ha fatto di tutto per negoziare e definire un accordo con le istituzioni finanziarie internazionali che, in risposta, hanno mantenuto sempre la posizione iniziale. “… Per questo, voglio ricordare” – ha sottolineato il ministro greco — “… che negli ultimi quattro mesi la Grecia, oltre a gestire da sola, senza nessun aiuto, il pagamento dei salari e delle riforme, ha dovuto dirottare il 14% del suo PIL per rispettare gli impegni con i creditori internazionali. Se questo non cambierà, il governo della Grecia non avrà più condizioni di onorare gli impegni del debito…”. Ha poi terminato con una drammatico allarme: “… Il nostro governo ha già fatto la sua parte, tuttavia, se questa situazione persistesse, saremo obbligati a uscire dall’Euro-gruppo, il che, a mio vedere, sarà una soluzione catastrofica non solo per la Grecia, ma anche per l’Unione Europea, visto che questo fatto rappresenterà l’inizio della fine del processo della moneta unica europea”.

 

 

I mercati

Di fronte a un possibile default della Grecia, i mercati non hanno reagito come il primo ministro greco, Alexis Tsipras, e il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, credevano che sarebbe successo. Ci sono state, è vero, delle variazioni nelle borse valori che, d’altra parte, non hanno incendiato le redazioni e i gabinetti delle cancellerie europee.

Secondo i porta-voci delle “eccellenze” del mercato, questa apparente calma non è casuale, dal momento che la decisione del governo greco era, in realtà, attesa dopo l’ultimo incontro realizzato nella capitale dell’Estonia, Riga, tra il primo ministro greco, la prima ministra della Germania, Angela Merkel, e il presidente della Francia, François Hollande. A Riga, il giovane primo ministro greco ha ricevuto un brutale ultimatum dalla Merkel, che, parlando a nome dell’Unione Europea, ha dichiarato che non credeva più alle promesse del governo greco.

Merkel ha sentenziato che: “… L’aiuto promesso dalla Banca Centrale Europea, per il valore di 7,2 miliardi di euro, sarà concesso solamente dopo la realizzazione delle riforme definite anteriormente con la Commissione Europea …”.

Bisogna sottolineare che in questa riunione non era presente il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Junker, che, secondo i porta-voce delle “eccellenze” del mercato, sarebbe stato “troppo condiscendente con Tsipras sulle proposte di revisione del debito greco”. Anche così, c’è chi assicura che l’esclusione di Jean-Claude Junker è stato uno stratagemma diplomatico della Merkel, visto che “qualcuno” dovrà riprendere il dialogo dopo che il governo greco ha dichiarato che uscirà dall’Euro-gruppo.

Il futuro dell’U.E.

Nei giorni seguenti l’annuncio del governo greco, i media main-stream, al posto di analizzare le conseguenze monetarie e finanziarie che il futuro default della Grecia potrebbe provocare nei paesi europei, hanno scelto di speculare sul futuro politico dell’Unione Europea (UE), visto che, in Spagna, il partito Podemos ha vinto il comune di Barcellona e tutto porta a credere pure quello di Madrid; il governo britannico pretende di fissare nel 2016 il referendum “BRITEX” per definire se il Regno Unito deve o no rimanere nell’Unione Europea; mentre in Polonia, il partito populista – abbastanza ostile ai tecnocrati di Bruxelles, ha vinto le elezioni presidenziali.

Non c’è dubbio che, se il primo ministro greco firmerà, il giorno 3 giugno, il decreto-legge che sanziona l’uscita della Grecia dall’Euro-gruppo e la ripresa dell’antica moneta greca, la dracma, l’ immagine politica dell’Unione Europea dovrà soffrire alcune conseguenze. Ma saranno solo smagliature, visto che il debito della Grecia, in totale, è di solo 320 miliardi di euro. Un valore che potrà essere coperto dai principali paesi dell’UE con estrema facilità, anche perché la maggior parte di questo debito già è sotto il controllo dell’FMI e della BCE. Questo significa che nessuna banca privata europea o mondiale andrà a soffrire con la bancarotta della Grecia.

Per esempio, il governo italiano che, nel 2012, ha comprato titoli sovrani della Grecia per un valore di 40 miliardi di euro, ufficialmente, andrà a perdere questi soldi. Tuttavia, questa perdita sarà recuperata in un prossimo futuro con l’entrata in vigore del “Prestito Salva-Stati” della BCE, nel caso che le negoziazioni dovessero piegare definitivamente il governo di Alex Tsipras. Prestito questo, che il presidente della BCE, Mario Draghi, già ha nei cassieri della BCE e che sarà “offerto” al governo greco solamente quando lo stesso si sottometterà, accettando di implementare tutte le “riforme” che la Troika (FMI, BCE e UE) ha definito nel 2011. Cioè: la privatizzazione dei “gioielli” dello Stato greco, il taglio del sistema pensionistico, la riduzione della burocrazia pubblica (si parla di disoccupazione definitiva per quasi 5.000 persone) e l’apertura dell’economia agli investitori, in particolare alle transnazionali petrolifere, interessate a sfruttare, in regime di esclusività, l’off-shore del Mar Egeo.

Pertanto, dal mese di aprile, tutto il mondo già sapeva che il governo greco non sarebbe stato più in condizioni di pagare all’FMI la quota di 750 milioni di euro che scade a giugno. In più, c’era la piena certezza che la Banca Centrale della Grecia, nel mese di maggio, non avrebbe avuto più risorse per pagare i salari degli impiegati statali e delle riforme, nel caso che, il giorno 5 giugno, restituisse all’FMI una quota di 300 milioni di euro, assumendo l’impegno di depositare il resto dopo poco.

Alex Tsipras

Molto probabilmente, la drammatica situazione della Grecia sarà valutata anche nella prossima riunione del G7, quando gli U.S.A. e la Germania potranno proporre agli Stati del G7 una “colletta” per coprire i debiti della Grecia, che, in realtà, interessano appena l’FMI, il quale, da parte sua, non può apparire come il “perditore politico dello scontro con il governo di sinistra della Grecia” e, allo stesso tempo, essere considerato “il benefattore dei Greci”.

In realtà, l’andamento e la qualificazione delle negoziazioni con la Troika dipendono dal chiarimento che deve essere fatto in seno al partito Syriza, soprattutto da parte del gruppo dirigente legato al primo ministro Alexis Tsipras. Infatti, il problema è prima di tutto politico, visto che una consistente minoranza (30%) del partito Syriza non accetta le imposizioni della Troika e il 59% della popolazione pure rifiuta il trattamento che i creditori internazionali pretendono di imporre al popolo greco.

Alex Tsipras ha promesso ai Greci che non avrebbe mai accettato le regole del Memorandum del 2011 ed è stato con questa promessa che Syriza ha vinto le elezioni. D’altro canto, non possiamo dimenticare che la caduta della produttività a quasi il 28% ha fatto esplodere la disoccupazione, che è arrivata al record europeo del 29% – con il 50% di questa massa rappresentata da lavoratori giovani tra i 18 e i 38 anni. Di modo che, in conseguenza di ciò, il 12% della popolazione già vive in regime di povertà assoluta e il 32% sprofonda nella miseria, non riuscendo più a pagare gli affitti, le bollette della luce e della fornitura dell’acqua e del gas.

Di fronte a questo drammatico scenario socio-economico, nel caso che Alex Tsipras accetti le “riforme” del Memorandum del 2011, difficilmente il partito Syriza continuerà unificato. In questo caso, l’ampliamento della coalizione con la partecipazione delle vecchie volpi uscite dal PASOK (il partito social-democratico che ha firmato il Memorandum del 2011) potrà evitare nuove elezioni, tuttavia, non potrà evitare lo scioglimento politico del partito Syriza e del proprio Tsipras.

Un altro elemento che preoccupa abbastanza il gruppo dirigente di Syriza è la reazione dei comunisti del KKE e delle confederazioni sindicali, nel caso che il governo privatizzi il porto del Pireo e tutte le altre imprese pubblicche, provocando un’ondata di licenziamenti.

Un contesto che potrà essere sfruttato anche dalla destra fascista (Alba Dorata), il cui apparente anti-europeismo è l’anti-sala della soluzione golpista, con la quale le “eccellenze del mercato” potranno ristrutturare lo Stato secondo i loro interessi e seppellire definitivamente i comunisti e la sinistra greca. Un film che già abbiamo visto nel 1968!

* Achille Lollo è un giornalista italiano, corrispondente di Brasil de Fato in Italia, curatore del programma TV “Quadrante Informativo” ed editorialista del Correio da Cidadania.

 

[Traduzione dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Declaración FSP y PIE en el marco de la segunda cumbre UE CELAC

por european-left.org

26mayo2015.- El II Encuentro de Jefes de Estado y de Gobierno de los países miembros de la Unión Europea y de la Comunidad de Estados de América Latina y el Caribe será los días 10 y 11 de junio próximos en Bruselas, bajo el lema «Modelar nuestro futuro común: trabajar por unas sociedades prósperas, cohesivas y sostenibles para nuestros ciudadanos».

Este encuentro se inscribe en la ya larga lista de cumbres birregionales que se han llevado a cabo desde 1999. Desde entonces, la Unión Europea negocia con los países latinoamericanos y caribeños acuerdos de asociación y tratados de libre comercio que dejan poco espacio a un verdadero diálogo político y con un enfoque de la cooperación más centrado en la asistencia que en un verdadero proyecto en favor del desarrollo. Finalmente, la orientación que la Unión Europea da a las negociaciones corresponde a sus propios objetivos de consolidación de la competitividad y predominio de sus empresas transnacionales gracias a la liberalización comercial y a la protección de sus inversiones.

En este marco, los representantes de los partidos miembros del Foro de Sao Paulo y del Partido de la Izquierda Europea, reunidos en Bruselas los días 7 y 8 de mayo de 2015, desean expresar sus proposiciones apoyándose en las aspiraciones de los pueblos de ambos continentes.

La crisis sistémica profunda que viven los pueblos de Europa ha acabado por afectar a los pueblos de América Latina y del Caribe, así como a los pueblos de otros continentes. En Europa esta crisis está siendo enfrentada por la instituciones europeas con la implementación de políticas de ajuste estructural que imponen la austeridad, la desvalorización del trabajo y de los salarios, con políticas fiscales favorables a las grandes empresas y a los sectores financieros y se legalizan la precarización del empleo y la exacerbación de la competencia en nombre de la competitividad. Las condiciones de vida no cesan de agravarse y el desempleo y la marginalización alcanza a amplios sectores de la población. Estas mismas políticas favorecen la emergencia de fuerzas de extrema derecha, racistas y xenófobas, que son la reminiscencia de tiempos en que el continente europeo vivió bajo la amenaza de fuerzas obscurantistas provocadoras de guerras y de genocidio.

En América Latina y el Caribe, los pueblos han decidido dejar atrás los tiempos del consenso de Washington, que impuso las mismas políticas que son aplicadas hoy en Europa por la troika. Un número importante de países han electo gobiernos progresistas que están implementando con éxito políticas favorables al empleo, de desarrollo de la protección social y programas sociales que han sacado de la pobreza a millones de personas. La justicia social y la redistribución de las riquezas producidas han permitido asentar las democracias y favorecer la emergencia de economías dinámicas que favorecen la justicia social. En Europa, el pueblo griego a elegido una opción política que contesta las lógicas neo-liberales y que propone una alternativa a la austeridad.

Las deudas en América Latina y en el Caribe han sido renegociadas de manera substancial o sometida a auditorias, mostrando la posibilidad de soluciones diferentes, alternativas a las que se imponen a los pueblos de Europa, sin importar el costo humano tienen como única preocupación satisfacer las exigencias de un sector financiero responsable en gran parte por la situación actual.

La Unión Europea y la CELAC deben converger en el apoyo a las iniciativas en favor de la creación de instrumentos de regulación y de re-estructuración de las deudas soberanas y la implementación de un instrumento internacional legalmente vinculante en derechos humanos para las corporaciones transnacionales y otras empresas.

El Foro de Sao Paulo y el Partido de la izquierda Europea consideran que las intervenciones militares y la preponderancia de las políticas de injerencia que se vienen dando desde hace 25 años, en particular en el Medio Oriente han profundizado y exacerbado las divisiones entre los pueblos. La Unión Europea, al participar en estas acciones refuerza la militarización de las relaciones internacionales y se niega la posibilidad de ser una voz autónoma y propositiva en favor de la paz. El Foro de Sao Paulo y el Partido de la Izquierda Europea ven con suma preocupación la escalada que se ha dado en Ucrania y llaman a las partes en conflicto a redoblar esfuerzos en la búsqueda de una solución política y negociada que excluya todo recurso a la violencia.

En América latina y el Caribe, declarada zona de paz y libre de armas de destrucción masiva, los dos últimos grandes conflictos existentes en la región, el conflicto colombiano y las tentativas estadounidenses de someter a Cuba a sus designios, están conociendo una evolución positiva sobre la base de la negociación y del diálogo.

Cuba y los Estados Unidos se encaminan a una normalización de sus relaciones diplomáticas. Se trata de un hecho significativo en la historia del continente. El Foro de Sao Paulo y el Partido de la Izquierda Europea se felicitan de la reanudación del dialogo entre Cuba y la UE. Esta relación fundada sobre el respeto y la no injerencia deberá llevar a la anulación lo mas rápidamente posible de la posición común adoptada en 1996 por la UE. La UE debe actuar de manera más determinada por el levantamiento del bloqueo estadounidense contra Cuba.

El Foro de Sao Paulo y el Partido de la Izquierda Europea respaldamos absolutamente el diálogo entre las FARC-EP y el gobierno Colombiano por una paz justa y democrática que garantice la participación política y la justicia social, diálogo que debe ampliarse a otras fuerzas como el ELN. Consideramos que retirar a las FARC-EP y al ELN de la lista de organizaciones terroristas de la Unión Europea seria un gesto político importante en favor de la paz.

Además, el FSP y el PIE respaldamos la solidaridad con Venezuela expresada por la CELAC frente al decreto ejecutivo de Barack Obama declarando a este país como una amenaza para su seguridad.

El multilateralismo y la ONU se ven cada vez más marginalizadas o instrumentalizadas en función de los intereses de las grandes potencias. El Foro de Sao Paulo y el Partido de la Izquierda Europea abogan por una relación euro-latinoamericana que trabaje en favor de un multilateralismo respetuoso del derecho de los pueblos.

Los partidos miembros del Foro de Sao Paulo y del Partido de la Izquierda Europea consideran que la Unión Europea y la Comunidad de Estados de América Latina y el Caribe deben ser los actores de un nuevo tipo de relación que tenga por objetivo primero el acercamiento entre los pueblos en favor de una cooperación que ponga en el centro el desarrollo humano, la justicia social y la acción en favor de la paz y del desarme. Los acuerdos propuestos deben ser respetuosos de las vías que los pueblos se dan para avanzar en las vías de un desarrollo y del medio ambiente.

La inclusión en los acuerdos UE/CELAC de cláusulas de respeto de la democracia y de los derechos humanos no deben ser simples elementos de retórica y deben ser concretizadas con mecanismos de participación de las organizaciones, movimientos sociales y parlamentos. Es inaceptable que las negociaciones de acuerdos y tratados de libre comercio se den haciendo caso omiso de las repetidas violaciones de los derechos humanos, persecuciones y asesinatos, como han sido los casos en Colombia, Honduras, Perú, Guatemala y México.

El comercio entre América Latina y el Caribe y la Unión Europea debe ser un vector de desarrollo y no una manera más de imponer una relación desigual destructora de las economías nacionales.

Una acción verdaderamente eficaz en favor de la lucha contra el cambio climático exige una re-definición de la función del comercio en las políticas de desarrollo. Las reglas del comercio internacionales han sido definidas en beneficio de los grandes conglomerados que producen y exportan haciendo caso omiso del derecho de cada ser humano a vivir en un ecosistema único que puede agotar sus limites.

Frente al drama humano que se esta dando en el mar Mediterráneo en el que miles de personas han perecido tratando de alcanzar las costas europeas, mas que nunca apoyamos la opción de respeto al derecho de movilidad y de establecimiento de los seres humanos. Este derecho es tanto aun mas legitimo que este éxodo masivo de personas es el resultado de guerras y conflictos y consecuencia de políticas erróneas y del pillaje de las riquezas naturales de las que no son ajenas las potencias europeas. Solo la acción solidaria con quienes emigran y el abandono de las visiones neo-coloniales pueden aportar una alternativa a la situación actual.

Para fortalecer los principios del multilateralismo que deben conducir las relaciones entre las naciones soberanas, el FSP y el PIE apoyan el reclamo del gobierno y del pueblo de Argentina de la soberanía sobre las islas Malvinas, llaman al gobierno del Reino Unido a cumplir con la resolución 2065 de las Naciones Unidas de constituir una mesa de dialogo y a la UE a asumir una actitud responsable.

Rechazamos las lógicas de dominación que son subyacentes a las proposiciones avanzadas en los marcos del Tratado Transatlántico y del Tratado Transpacífico. Las relaciones entre la Unión Europea y la Comunidad de Estados de América Latina y el Caribe no deben hacer parte de estas lógicas que tratan de modelar y de perennizar las relaciones entre los pueblos según los patrones neo-liberales que nuestros pueblos rechazan.

El Foro de Sao Paulo y el Partido de la izquierda Europea subrayan la necesidad de llegar a una convergencia entre los países europeos y latinoamericanos en la reunión de la COP-21, que se llevara a cabo en París en diciembre próximo, que permita un acuerdo sobre la estrategia frente al cambio climático. Se trata de una urgencia dadas las consecuencias que se dejan sentir en diferentes puntos del planeta. La posición revindicada por los países en desarrollo en favor del reconocimiento de una responsabilidad compartida y diferenciada de los Estados debe ser tomada en cuenta por los países industrializados, que son también seguidos los antiguos colonizadores de otros continentes.

Es necesario que la Unión Europea escuche las proposiciones de los países latinoamericanos en cuanto a la protección de la propiedad intelectual, que debe cesar de ser una manera de proteger los intereses de las transnacionales en detrimento de los derechos a la salud y a la educación.

Un verdadero diálogo político deberá hacer de la Unión Europea y de la CELAC actores decididos en favor del desarme y del tratado de no proliferación y una fuerza propositiva en favor de la creación de marcos para la prevención y solución de conflictos. América Latina y el Caribe tienen proposiciones y una experiencia en este dominio, la Unión Europea puede convertirse en un ejemplo aceptando entrar en un proceso de desarme negociado.

El Foro de Sao Paulo y el Partido de la Izquierda Europea proponen el desarrollo y patrocinio de iniciativas sociales a favor de la paz iniciativas sociales del tipo “red de América Latina y del Caribe y la UE de Universidades por la paz” y de “red de organizaciones artísticas de América Latina y caribe y de la UE en favor de la paz”.

El Foro de Sao Paulo y el Partido de la Izquierda Europea, en su carácter de entidades regionales que reagrupan a diversas fuerzas progresistas de América Latina y de Europa desean implicarse en la acción en favor de una verdadera integración que se funde sobre la cooperación, la complementaridad y la solidaridad entre nuestros pueblos. Juntos, continuaremos trabajar para crear las convergencias necesarias que hagan avanzar este objetivo. 

Bruselas 10-11jun2015: La II Cumbre CELAC-UE y los Pueblos

CUMBRE DE LOS PUEBLOS LATINOAMERICANOS Y CARIBEÑOS Y EUROPEOS, A CELEBRARSE EN EL MARCO DE LA II CUMBRE CELAC-UE

 

Bruselas, 10 y 11 de junio de 2015

 

Programa preliminar

Jueves 11 de junio de 2015

 

Lugar: Pianofabriek. Rue du Fort 35, 1060 Saint-Gilles (Bruselas)

 

09h30 – 16h00: MESAS DE TRABAJO

 

Temas:

 

1)    Paz y solidaridad. Intervencionismo y sanciones (EE.UU., OTAN)

2)    Preservación de la madre tierra y la especie humana (retos para América Latina y El Caribe y Europa).

3)    Acuerdos de Libre Comercio ¿Libres para quién?

4)    La integración de los pueblos de América Latina y El Caribe (CELAC, UNASUR, ALBA)

5)    Todos los derechos humanos para todos en América Latina y El Caribe y Europa.

6)    Protección social en América Latina y El Caribe y Europa.

7)    El poder global de los medios como herramienta del imperialismo.

 

16h00 – 18h00: ACTO DE SOLIDARIDAD CON VENEZUELA

 

Lugar: Pianofabriek

 

 

19h00: Plenaria: Reunión de solidaridad con los Pueblos de América Latina y El Caribe y Europa, con la participación de líderes de América Latina y El Caribe y Europa.

Lugar: Passage 44. Boulevard du Jardin Botanique 44, 1000 Bruselas

Assad riceve parlamentari francesi: «Aperti nel rispetto di sovranità»

da sana.sy

Il presidente Bashar al-Assad ha discusso, oggi con una delegazione francese guidata dal membro del Senato Jean Pierre Vial, lo stato degli sviluppi e delle relazioni siro-francese nella regione araba e in Europa, in particolare, con sul terrorismo. I parlamentari francesi stanno svolgendo una missione in Siria per la prima volta dopo la rottura delle relazioni diplomatiche decisa a maggio 2012 congiuntamente da Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania e Spagna.

Nel corso di questo incontro aperto e franco, i membri della delegazione francese hanno espresso il desiderio di molti parlamentari francesi di visitare la Siria per conoscere la realtà e riportarla al popolo francese, sottolineando la necessità di coordinarsi per lo scambio di informazioni tra i due Paesi sulle questioni di interesse comune.

Hanno sottolineato l’importanza di un’azione comune in vari settori a beneficio di entrambi i popoli, francese e siriano, garantendo il ripristino della sicurezza e della stabilità nella regione e la cooperazione con la Siria per mettere fine al terrorismo che minaccia l’Europa, così come la Francia.

Da parte sua, il presidente al-Assad ha sottolineato che la Siria, nel corso della sua storia, è stata e sempre sarà per lo sviluppo e il rafforzamento delle relazioni con gli altri paesi sulla base del rispetto della sovranità e non ingerenza nei rispettivi affari interni, sottolineando l’importanza del ruolo dei parlamentari nella razionalizzazione delle politiche di governo per realizzare gli interessi del popolo.

Assad ha precisato che la lotta contro il terrorismo richiede una volontà politica e la forte convinzione che minaccia tutti, chiedendo di adottare questo principio nel trattare la questione per avere risultati positivi al più presto possibile.

«La Siria ha sempre promosso la cooperazione tra i paesi, perché è il modo migliore per fermare la diffusione del terrorismo e per eliminarlo», ha dichiarato al-Assad.

La delegazione francese era composta da Jacques Myard, vice presidente del Comitato Amicizia Francia-Siria all’Assemblea nazionale, François Zocchetto, senatore francese ed altri.

Inoltre, anche il presidente del Assemblea Popolo Mohammad Jihad al-Laham ha incontrato la delegazione francese.

Le due parti hanno sottolineato il rafforzamento delle relazioni e il dialogo tra parlamentari al servizio della stabilità e degli interessi comuni.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

 

L’UE vuole riprendere i contatti con Siria e Hezbollah

da al manar

Alti rappresentanti, tra cui il presidente del dipartimento del Parlamento europeo, Elmar Brok, hanno sottolineato che l’Unione europea sta ora discutendo un cambiamento nella sua politica nei confronti del governo di Bashar al Assad in Siria.

 Brok, che recentemente ha fatto una visita in Libano, non ha dato molti dettagli, ma ha annunciato che l’Unione europea è pronta a combattere l’Isis e si sta muovendo nella direzione della ricerca di una collaborazione con Assad in questo campo.

 All’inizio della guerra, l’Unione europea ha tagliato le sue relazioni con il governo di Assad e fermato le importazioni di petrolio siriano.

 Ora, però, molti nell’Unione europea, in particolare l’Italia, temono l’ascesa di gruppi terroristici in Medio Oriente e Nord Africa. Recentemente ci sono state segnalazioni che l’Isis cerchi di invadere l’Europa dalla Libia e Nord Africa.

«Siamo in una nuova battaglia mondiale», ha affermato Brok ed ha spiegato che l’Europa è stata profondamente colpita dal terrorismo takfiro. Recentemente, individui legati agli estremisti attuali hanno compiuto attacchi in Francia e Danimarca.

Il dibattito, però, non è finito, perché gli Stati Uniti e la Turchia e alcuni paesi dell’UE, come la Francia e il Regno Unito, hanno sollevato obiezioni al riguardo.

 Nel frattempo, la Reuters ha citato diplomatici di diversi paesi europei che, in privato, affermano che la chiusura delle ambasciate a Damasco è stato un errore e che è giunto il momento di ristabilire le relazioni con la Siria.

 Tra i paesi, oltre l’Italia, a difendere questa nuova posizione, ci sarà la Svezia, la Danimarca, la Romania, la Bulgaria, l’Austria, la Spagna e la Repubblica Ceca, che non hanno chiuso le loro ambasciate in Siria. Norvegia e Svizzera, al di fuori dell’UE, figurano fra quei paesi che sono d’accordo nel seguire questa direzione

 Secondo questi diplomatici, «il presidente Bashar al-Assad è una realtà e dobbiamo tenerne conto quando si parla di minacce contro l’Europa, in relazione ai terroristi europei di ritorno dalla Siria».

 Anche in Francia sono in crescita le voci che si oppongono alla posizione del governo anti-siriano Hollande. Un diplomatico francese ha dichiarato a Reuters di essere a favore del dialogo con la Siria e il suo alleato l’Iran. «La chiusura dell’ambasciata (francese) a Damasco è stato un errore», ha detto aggiungendo che «il desiderio di dialogo è presente nell’ambiente dell’ intelligence».

Rapporti con Hezbollah

Brok ha anche invitato Hezbollah, uno stretto alleato del governo di Assad, a «favorire un clima di unità politica» in Libano e ha ipotizzato che l’ala militare del partito potrebbe essere rimossa dalla lista delle organizzazioni terroristiche nel prossimo futuro, nel caso in cui ci fosse una «prova di responsabilità» per allentare le tensioni in Libano.

Inoltre, ha precisato che se è ancora prematuro per dire che se l’UE faccia questo passaggio, ha comunque, tenuto colloqui con il gruppo.

Brok ha anche espresso sostegno al dialogo tra Hezbollah e il Movimento del Futuro e ha sottolineato quanto sia necessario per la stabilità. Egli ha osservato che tali conversazioni sono anche fondamentali per condurre le elezioni parlamentari e le elezioni presidenziali in Libano.

Il rappresentante della UE ha ribadito che la situazione regionale è fragile, in particolare, anche se la minaccia dell’Isis e di altri gruppi terroristici potrebbero servire a unire le diverse fazioni libanesi.

Brok, infine, ha spiegato che la sua visita in Libano mira «a mostrare e fornire sostegno al paese nelle attuali circostanze, in particolare, per quanto riguarda la questione dei profughi».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

(VIDEO) Maduro a Tsipras: «Un altro mondo è possibile»

918da Correo del Orinoco

Il capo dello Stato ha confermato che Tsipras, uscito vincitore dalle elezioni tenutesi il 25 gennaio 2015 nel paese ellenico, realizzerà un tour in America Latina con l’obiettivo di tirare fuori il suo paese da quella crisi dove il «sistema neoliberista lo ha fatto sprofondare»

Il Presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, nel corso di una conferenza tenuta nello stato di Carabobo ha reso noto di aver sostenuto una conversazione telefonica con il primo ministro greco Alexis Tsipras.

«Ho invitato Alexis a venire il più presto possibile qui in Venezuela, visto che ha intenzione di recarsi in America Latina», ha confermato Maduro.

Il capo dello Stato ha confermato che Tsipras, uscito vincitore dalle elezioni tenutesi il 25 gennaio 2015 nel paese ellenico, realizzerà un tour in America Latina con l’obiettivo di tirare fuori il suo paese da quella crisi dove il «sistema neoliberista lo ha fatto sprofondare».

Il successore di Chávez ha poi sottolineato che Tsipras è stato vittima di una campagna diffamatoria, «ma nonostante questo attacco, dove sono stati utilizzati gli stessi sporchi trucchi di cui si è avvalsa la campagna antichavista, il popolo greco ha appoggiato la sua nuova proposta».

Maduro ha infine spiegato che il Venezuela e la Grecia stanno lavorando in maniera congiunta a una serie di accordi di cooperazione bilaterale: «La Grecia è un grande paese con un eccellente industria navale, una buona base industriale e sviluppo tecnologico. La Grecia può risollevarsi. Sosteniamo l’enorme sforzo di Alexis Tsipras, insieme vogliamo dimostrare che un altro mondo è possibile».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

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Assad: «Siamo contro le uccisioni di innocenti in ogni parte del mondo»

da sana.sy

Commentando i recenti eventi in Francia in un’intervista al quotidiano ceco “Literární Noviny,” al-Assad ha dichiarato: «Quando si tratta dell’uccisione di civili è terrorismo, indipendentemente dalla posizione politica o di accordo o disaccordo con le persone che sono state uccise».

«Abbiamo sofferto quattro anni questo tipo di terrorismo e abbiamo perso migliaia di persone innocenti. Questo è il motivo per cui noi stiamo con le famiglie delle vittime », ha spiegato il Presidente siriano.

Al-Assad ha aggiunto che la Siria aveva evocato questi effetti fin dall’inizio della crisi e aveva avvertito del rischio l’occidente, sia per i loro paesi e per le loro persone, con il sostegno al terrorismo, ma i politici occidentali non gli hanno dato ascolto avendo una visione miope.

«Quello che è successo a Parigi ha dimostrato che avevamo ragione e che le politiche dell’UE sono responsabili di ciò che stava accadendo nella regione e in Francia di recente e probabilmente quello che è successo già in altri paesi europei», ha sottolineato il presidente al-Assad.

Alla domanda circa il modo migliore per combattere il terrorismo, Assad ha risposto: «Dobbiamo distinguere tra la lotta contro i terroristi e la lotta contro il terrorismo, se vogliamo parlare della situazione attuale, dobbiamo lottare contro i terroristi perché uccidono persone innocenti ed è nostro dovere difenderle. Per ora, questo è il modo più urgente e più importante per affrontare questo problema».

Inoltre, ha evidenziato che «La lotta contro il terrorismo non ha bisogno di un esercito, ma di una buona politica».

«Bisogna affrontare l’ignoranza attraverso la cultura e costruire una buona economia per lottare contro la povertà e scambiarsi le informazioni tra i paesi coinvolti nella lotta contro il terrorismo», ha sostenuto Assad, ribadendo che il problema non deve essere affrontato come è avvenuto in Afghanistan.

Il presidente al-Assad ha ricordato di aver detto a un gruppo di membri del Congresso che erano in visita a Damasco, nel momento in cui si parlava di l’invasione dell’Afghanistan per vendicare quello che era successo a New York, che il problema non si risolve in questo modo, perché la lotta al terrorismo è come trattamento del cancro che sarà sconfitto solo attraverso la sua eliminazione totale.

«È successo in Afghanistan ed ha portato alla rapida diffusione del terrorismo e per questo, come ho detto, dobbiamo concentrarci sulla buona politica, economia e cultura», ha concluso il presidente.

[Trad dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Algeria: L’Ue offre fino a 150.000 euro a chi “gioca a fare l’oppositore”

di Meriem Sassi – Algerie Patriotique

L’iniziativa della delegazione dell’Unione europea in Algeria che vuole sovvenzionare associazioni algerine, fino a 150 000 euro, per svolgere attività legate alla “difesa dei diritti umani,” è in buona fede? La questione si pone per l’obiettivo che potrebbe nascondersi dietro una tale iniziativa che, con il pretesto di assistenza ad azioni pacifiche, potrebbe essere interpretata come un chiaro incentivo per le azioni di “sovversione”, sostenute da cospicui finanziamenti.

La delegazione dell’Unione europea, in ogni caso, gioca sulla “trasparenza” pubblicando la sua offerta sul suo sito web e si nasconde dietro il termine “pace”, come se volesse escludere la responsabilità per probabili perdite o azioni di deviazione che potrebbero essere condotte attraverso il suo finanziamento.

La delegazione dell’Unione europea in Algeria si è, infatti, prefissa di lanciare un invito a presentare proposte con l’obiettivo dichiarato di sostenere le organizzazioni della società civile, al fine di «consolidare e rafforzare il loro ruolo e le strategie nella promozione dei diritti umani e delle riforme democratiche», si legge sul suo sito web.

«La sovvenzione per ogni azione verrà fissata tra i 50 000 e 150 000 euro» e le azioni di finanziamento ammissibili deve soddisfare almeno una delle priorità, che l’Unione europea specifica nel «sostegno alla libertà di espressione e promozione dei valori democratici, la promozione della libertà di riunione pacifica, l’adozione di misure per lottare contro gli ostacoli all’esercizio di tali libertà. Sostenere lo sviluppo del dibattito democratico con lo scopo di promuovere la libertà di espressione, in particolare, attraverso la formazione professionale di avvocati dei diritti umani e giornalisti, prevenire e combattere la corruzione, aumentare la consapevolezza e promuovere la cittadinanza attiva dei giovani».

La Ue in Algeria prevede anche il finanziamento di azioni in relazione alla «tutela e alla promozione dei diritti e del ruolo delle donne, giovani e bambini nella società, comprese le azioni relative all’integrazione sociale, il dialogo e la lotta contro la violenza».

Si evidenziano, tra l’altro, anche le azioni che prevedono un «programma di sovvenzioni a cascata, permettendo, ad esempio, alle organizzazioni di nuova costituzione senza capacità di gestione dei progetti su larga scala e alle organizzazioni che non hanno familiarità con le procedure dell’Unione europea, di beneficiare dell’accesso ai finanziamenti comunitari, al rafforzamento delle capacità e/o per implementare le attività mirate ad alto valore aggiunto, per amplificare così la portata e la qualità dell’azione». L’UE avverte che saranno scelti i progetti, in particolare, «sulla base della loro pertinenza, sui risultati attesi e la loro potenziale efficacia».

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Napoli: continuano le mobilitazioni di solidarietà con l’Ucraina Antifascista

di Francesco Guadagni

Questa mattina, a Napoli, in Piazza del Gesù, nuovo presidio informativo delle compagne ucraine contro i crimini compiuti dal regime fascista di Kiev. Da mesi le lavoratrici ucraine e provenienti da altre repubbliche dell’Ex Urss, organizzano presidi, partecipano alle manifestazioni per controbattere l’offensiva mediatica che tace sui crimini commessi dal regime fascista e golpista di Kiev, finanziato e armato dagli Usa, dalla Nato e dalla UE.

Non solo, è stato evidenziato il ruolo del Governo italiano, con l’invio di armi e addestratori militari, nella guerra del regime golpista alle popolazioni del Donbass.

Al presidio abbiamo portato la nostra solidarietà all’Ucraina Antifascista esponendo la bandiera della Repubblica Araba Siriana. Fascisti in Ucraina e i terroristi del Fronte Al Nosra e dell’Isis in Siria, sono solo gli esecutori dei piani di dominio e di rapina degli Usa, della Nato, della UE, delle monarchie del Golfo, di israele e Turchia.

Da questo presidio nasce la volontà di costruire a Napoli un comitato di Solidarietà Antimperialista e Antifascista con i popoli colpiti dagli attacchi imperialisti, a partire dall’Ucraina, fino alla Siria, il Venezuela Bolivariano e alla Palestina.
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L’Isis invia i suoi membri in Europa come rifugiati siriani

da rt

I membri del gruppo terroristico Isis arrivano in Europa fingendosi rifugiati siriani. Lo ha affermato un trafficante di esseri umani, il quale racconta di averli aiutati in questa operazione.

Il trafficante, che ha scelto il soprannome di “Hassan”, ha detto in un’intervista a ‘BuzzFeed News’, che ha inviato più di una dozzina di membri dell’Isis in Europa dalla scorsa estate.

Hassan, che da ha più di tre anni organizza l’invio di imbarcazioni di profughi dalla Turchia verso l’Europa meridionale, ha affermato che la sua attività ha avuto una dimensione ancora più oscura la scorsa estate, quando uno dei suoi “clienti” gli disse che era un membro di medio livello dell’Isis e andava in Europa per preparare attacchi terroristici.

«Il mondo occidentale crede che non ci sono combattenti dell’Isis nel loro paese, che tutti i jihadisti sono andati a combattere e morire in Siria», commentando la partecipazione di diverse migliaia di islamisti europei in Siria e Iraq.

«Ma questa persona ha detto che non è così. Stiamo inviando i nostri soldati a riprendere il loro posto», ha aggiunto.

Quando l’uomo sbarcò in Grecia, precisa Hassan, gli annunciò che voleva portare anche i suoi “fratelli”.

Da allora questo membro dell’Isis gli ha portato 10 persone, secondo quanto ha raccontato il trafficante. Ognuno ha pagato 1.000 dollari in più rispetto al prezzo normale per un posto sulla barca.

Altri trafficanti, citati dal portale, che hanno anche insistito per l’anonimato, hanno confessato di aver trasportato decine di persone sospettate di avere legami con l’Isis.
Dal momento che il conflitto è scoppiato in Siria, a marzo 2011, più di un milione di profughi sono arrivati in Turchia.

Secondo l’agenzia di controllo delle frontiere Frontex dell’UE, più di 20.000 rifugiati, tra cui molti siriani, sono stati trasportati dalle mafie dalla Turchia alla Grecia, Bulgaria e Cipro nei primi otto mesi di quest’anno.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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